L'Arca del Santo emoziona e commuove
Padova
Rivedere la Cappella dell’Arca nella Basilica del Santo – cuore della devozione antoniana ma anche capolavoro artistico del pieno Rinascimento italiano – dopo l’accurato restauro che si è protratto per un anno e mezzo, è una meravigliosa rivelazione. Niente è più come prima. Le luci e i colori dei marmi hanno ricreato l’originale armonia di bianchi, di grigi e di neri.
Oggi la Cappella è una gemma che torna a brillare: risplendono l’oro del soffitto e l’argento dei candelabri – opera del celebre orafo veneziano Balbi, eseguita tra il 1673 e il 1688 – che poggiano sui bellissimi basamenti marmorei, scolpiti da Filippo Parodi e Orazio Marinali, restituiti alla loro autentica cromia.
La Cappella è stata riaperta al pubblico in ottobre ed è già divenuta meta di studiosi, amanti dell’arte e devoti che sono tornati ad apprezzarne l’incommensurabile bellezza.
«La Veneranda Arca di sant’Antonio – afferma il rettore della Basilica, padre Enzo Poiana – insieme con i frati della Basilica ha lanciato anche un progetto di comunicazione denominato “Arca del Santo” per contribuire alla conoscenza e alla riscoperta delle opere d’arte del complesso basilicale». Sant’Antonio ha «cambiato casa» il 13 aprile 2008: dalla Cappella dell’Arca, infatti, le sue spoglie sono state trasferite nella Cappella di San Giacomo, contraddistinta dagli splendidi affreschi di Altichiero da Zevio, e collocate in una tomba di marmo. Da qui, il 20 febbraio le spoglie del Santo verranno riportate nella Cappella dell’Arca che è uno dei risultati più apprezzabili e sorprendenti del Rinascimento italiano. È un omaggio «teatrale» della città di Padova rappresentata, con i suoi monumenti sopra le lunette più importanti, al potere taumaturgico del Santo. Dicant Paduani «lo dicano i padovani» recita il noto Si quaeris miracula, e così i massari dell’Arca che sovrintendevano alle opere d’arte della Basilica fin dal XIII secolo – un po’ come fanno oggi i membri della Presidenza della Veneranda Arca – incaricarono numerosi artisti di illustrare e celebrare i miracoli di sant’Antonio. «I massari – ha detto Gianni Berno, presidente capo della Veneranda Arca – volevano uno scenario grandioso nella Cappella in cui sono custodite le spoglie del Santo».
«Terminati i lavori di restauro della Cappella dell’Arca, ne iniziano altri nella Cappella adiacente perché la Basilica richiede una cura costante», afferma il professor Leopoldo Saracini, membro della Presidenza della Veneranda Arca di sant’Antonio, che da tempo si occupa con passione e grande competenza della conservazione e del restauro del patrimonio artistico del complesso basilicale.
Un anno e mezzo di lavoro – spiega ancora Saracini – ha comportato dapprima l’intervento sulle strutture: muri, vetrate e serramenti, per rimuovere le cause del degrado: infiltrazioni d’acqua, condensa, umidità. Quindi sono stati eseguiti una serie di test sui ben quarantadue tipi di marmo presenti provenienti dalla Lunigiana, in Toscana, e dalla Carnia, in Friuli, per procedere finalmente alla pulitura e al restauro delle opere: gli altorilievi con i miracoli del Santo, ma anche i bronzi di Tiziano Aspetti e i già citati candelabri d’argento in cui sono tornate ad essere visibili le firme degli autori». Il tutto per una spesa complessiva di circa 600 mila euro sostenuta per la parte più significativa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, e dall’americana Venetian Heritage Inc.
Questa cappella aveva in origine un impianto tardo-gotico, cioè a porticato, come quella di San Giacomo che le sta di fronte, ma quella che vediamo oggi è la versione rinascimentale, frutto di oltre cento anni di lavori che videro impegnati i più grandi architetti e scultori dell’epoca, una ventina in tutto: Tullio e Antonio Lombardo, Sansovino, Falconetto, Cattaneo, Campagna.
«La progettazione dell’Arca – scrive Giorgio Segato, membro della Presidenza della Veneranda Arca – fu un evento culturalmente molto importante perché restituiva alla figura umana la sua centralità nello spazio». Non è sempre facile seguire la storia delle singole opere presenti nella Cappella: accadeva spesso che l’artista cui era stato affidato l’incarico di scolpire un altorilievo (sono nove in tutto), non riuscisse a portarlo a termine, come testimoniano alcune tracce di pagamenti e contratti stipulati dai massari.
Tuttavia i rilievi hanno un punto in comune: l’intento celebrativo e l’impostazione teatrale con diverse figure umane che rappresentano una scena. La prima: Sant’Antonio riceve il saio, è opera di Antonio Minello. Il marito geloso pugnala la moglie è di Giovanni Rubino (detto il Dentone) e Silvio Cosini. «La figura del Santo – racconta Saracini – non è posta all’interno della scena, ma è collocata nella centina superiore dove appare nell’atto di intercedere per il miracolo». Ben diversa è l’atmosfera dello stesso soggetto rappresentato da Tiziano nell’affresco della Scoletta del Santo.
Il giovane risuscitato dal Santo, iniziato da Danese Cattaneo e ultimato da Girolamo Campagna, vide operare forse anche Jacopo Sansovino, mentre è certamente di quest’ultimo Il miracolo della ragazza annegata, una composizione classica in cui balzano subito in evidenza le tre donne: la giovane annegata, la madre affranta e la vecchia che cerca di lenirne il dolore, che rappresentano le tre età della vita in uno schema compositivo tipico delle Pietà.
«Questo è il vero nucleo drammatico che coinvolge emotivamente – afferma Saracini –: attira gli sguardi e orienta compositivamente tutte le altre figure della scena. Due in particolare, quelle più esterne, poste ai lati del gruppo, richiamano esplicitamente suggestioni michelangiolesche, evocando immagini e spunti figurativi della Cappella Sistina». L’opera è firmata dal maestro toscano e venne realizzata durante il lungo periodo di permanenza veneziana del Sansovino, che si protrasse dal 1527 al 1570. «Si tratta indubbiamente di un capolavoro. È l’attimo – dice ancora Saracini – dell’accadimento miracoloso. Sulla centina superiore dell’arco compare in bella prospettiva la Basilica antoniana, un modo suggestivo, ma esplicito, per affermare il santuario padovano come centro e riferimento perenne di tutti coloro che, lungo i secoli, si sono rivolti al Taumaturgo ottenendone sicura intercessione e protezione». Allo stesso modo Sant’Antonio risuscita un bambino annegato ha almeno qualche tocco del Sansovino. Anche qui si può vedere chiaramente il gioco dei piani: dal bassorilievo al tuttotondo delle figure che paiono quasi balzare fuori.
Il miracolo del cuore dell’avaro, l’opera più grecizzante, è di Tullio Lombardo, la cui mano si vede anche ne Il Santo riattacca il piede a un giovane. Il miracolo del bicchiere rimasto intatto dopo essere stato scagliato a terra è di Giovanni Maria Mosca e di Paolo Stella che erano della scuola dei Lombardo. Il bambino che scagiona la madre dall’accusa di adulterio è invece opera di Antonio Lombardo. E questo, per la cronaca, è il bambino che accarezzavano le giovani che desideravano avere un figlio.
Il restauro ha ridonato alle diverse tipologie di marmi la loro colorazione originaria, e così anche le sfumature diverse sono diventate una sinfonia di bianchi, di grigi, di beige.
«L’altare di Tiziano Aspetti – sottolinea Leopoldo Saracini – non era così prima del restauro. Adesso lo si può ammirare nella sua integrità perché è stato smontato tutto il rivestimento in lastra d’argento e le sovrastrutture che erano state applicate nel Settecento. E ora si può ammirare davvero il Cinquecento italiano». Questo altare è stato realizzato secondo precisi vincoli dati dai massari dell’Arca, e ispirandosi anche, in senso ideale, all’altare di Donatello. Sulla balaustra, proprio a coronare l’Arca del Santo, in origine c’erano le statue delle quattro virtù. «Le statue delle quattro virtù – conclude il professor Saracini – costituivano un preludio alla santità, rappresentata dai santi retrostanti».