L’Argentina riparte dallo spazio

L’Agenzia spaziale italiana e quella argentina alleate nello sviluppo di un avanzatissimo sistema di satelliti radar per la gestione delle emergenze. Lingua di lavoro: l’italiano. Un trampolino per il Cono Sud.
19 Aprile 2004 | di

Aveva solo nove anni quando, nel 1951, Conrado Franco Varotto lasciò con la famiglia Brugine, un piccolo paese veneto, per raggiungere il padre Luigi, che già  lavorava come meccanico in Argentina. Dopo i corsi scolastici, la laurea e il dottorato in Fisica presso l";Istituto universitario Balseiro di Bariloche, si trasferì negli Stati Uniti dove svolse attività  di Ricercatore associato all";Università  di Stanford, nei pressi di San Francisco. Furono anni di seria preparazione che gli permisero di dedicarsi, con competenza e professionalità , alla ricerca nel mondo della fisica dei materiali e nucleare. Ritornato, infatti, in Argentina, iniziò un programma di ricerca applicata e, nel 1976, fondò con alcuni colleghi un";impresa: la Invap che il professor Varotto diresse fino al 1991. Oltre alle importanti opere attuate in Argentina, il professore "; che ho potuto incontrare a Padova in occasione della «Premiazione dei padovani che hanno onorato l";Italia» "; mi ricorda i reattori nucleari realizzati in Argentina, in Perù, in Algeria e in Egitto e, negli ultimi anni, quello attualmente in costruzione in Australia. Nel 1994 è stato chiamato a farsi carico dell";Agenzia spaziale della Repubblica Argentina, Conae, come presidente esecutivo, e dal 1996 come direttore esecutivo e tecnico. In quegli anni diviene anche membro dell";Accademia Nazionale delle Scienze di Cordoba. Incarichi importanti che però non hanno fatto dimenticare al professor Varotto il suo legame con la terra d";origine. Un rapporto che egli ha voluto approfondire promuovendo una collaborazione tra l";Agenzia Spaziale Italiana, Asi, e la Commissione nazionale delle attività  spaziali dell";Argentina, Conae.
Msa. Qual è l";obiettivo di questa collaborazione?
Varotto. Quello di sviluppare dei progetti congiunti, italoargentini. L";Asi e il Conae hanno già  il supporto dei ministeri degli Esteri dei due Paesi, e hanno già  coinvolto imprese e università  italiane. Attualmente stiamo sviluppando un sistema di satelliti molto avanzato, unico al mondo. L";Italia sta sviluppando il sistema di satelliti Radar Skymed in una frequenza che si chiama «Banda X»; l";Argentina invece lavora ad un sistema simile, ma in una frequenza che si chiama «Banda L». Quando potremo lavorare unitamente, cioè nel «Sistema Italo Argentino di Satelliti per la Gestione di Emergenze, avremo una sinergia incredibile. È un progetto unico al mondo, formato da sei satelliti, quattro italiani e due argentini, che ora sono in costruzione».
Come avviene il lavoro tra le due équipe?
La nostra collaborazione in ambito scientifico ha serie prospettive, e quindi incrementa il rapporto umano instaurato tra ricercatori e scienziati dell";Asi e del Conae. Nelle nostre riunioni di studio e di ricerca spesso comunichiamo in lingua italiana, dato che molti dei miei colleghi argentini sono d";origine italiana. Io continuo a sentirmi italiano come tanti altri italoargentini. Devo anzi aggiungere che è molto difficile non sentirsi tali. La nostra presenza ha donato al Paese, che ha benevolmente accolto in passato i nostri padri, tanta creatività  e professionalità ; ma l";Argentina ci ha largamente ripagato dandoci la possibilità  di studiare e di qualificarci fino a raggiungere i risultati attuali.
Ha avuto anche dei riconoscimenti per la sua attività  scientifica?
Due anni fa ho ricevuto dal Presidente della Repubblica italiana la medaglia d";oro «come benemerito della scienza e della cultura» e, nel 2003, l";«Ordine della Stella della Solidarietà  Italiana» con grado di cavaliere. Nello stesso anno ho partecipato a Roma come «invitato» al convegno dei ricercatori e degli scienziati italiani all";estero. È stato un convegno in cui si è subito notata la differenza del gruppo degli scienziati cresciuti e formati nei Paesi d";accoglienza, da quelli invece che operano all";estero, ma hanno avuto la loro formazione in Italia. La nostra proposta, come scienziati e ricercatori nati o cresciuti all";estero, mira a promuovere tra l";Italia e i Paesi dove risiediamo, progetti congiunti di grande importanza. A Roma si parlava infatti di due «esportazioni»: la prima legata alle migrazioni di braccia, di cui noi siamo figli, e la seconda alla fuga dei cervelli. Al convegno sono emersi anche alcuni punti interrogativi interessanti. I vari ministri e rappresentanti del governo italiano si sono infatti chiesti come mai un Paese, come l";Italia, che ha una delle economie più importanti del mondo ed è ricco di know how , nell";attuale situazione mondiale rischia di perdere il treno. Cosa potete suggerire voi che risiedete all";estero? "; ci hanno chiesto. Il secondo interrogativo riguardava l";attuale migrazione di cervelli italiani all";estero. Per il governo italiano, questo problema è negativo se non c";è un contraccambio: se cioè dai Paesi del mondo, magari di maggiore concentrazione italiana, non c";è un reciproco confluire in Italia di scienziati e ricercatori.
Ma come promuovere questo interscambio? Le nostre risposte hanno evidenziato come in Italia manchi un serio investimento nei settori della ricerca scientifica, tanto da non raggiungere la media dei Paesi europei. Mentre i ministri, presenti al convegno, hanno sostenuto come sia minore alla media europea l";investimento dei privati, non quello dello Stato, che rimane superiore a tale media. Per me, il problema si presenta senza una soluzione, essendo l";economia italiana basata sulla piccola e media impresa. Io penso che nei Paesi dove operano grandi aziende private, coloro che investono ingenti risorse economiche, pagano anche meno tasse perché scaricano i costi. Dove, invece, operano piccole e medie imprese "; come in Italia "; queste usano sì il know how , cioè tutto il patrimonio di conoscenze per lo sviluppo delle imprese, ma non hanno la possibilità  di investire e, quindi non potendo scaricare i costi, pagano tutte le tasse. Io penso che quando l";economia è basata sulla piccola e media impresa, spetta allo Stato mettere la differenza corrispondente all";apporto che viene dato dalla parte privata negli altri Paesi.
Vede una prospettiva per l";italianità  in Argentina?
Essendo il Paese più italiano al mondo, penso che l";Italia dovrebbe fare qualcosa di più per garantire un futuro al patrimonio culturale legato alla sua terra e promuovere maggiori interscambi nei vari settori operativi dei due Paesi. Per la promozione della lingua e della cultura italiane nelle scuole statali dell";Argentina, ci vorrebbe un maggior impegno da parte del governo italiano. In passato, nella Provincia di Buenos Aires, la lingua italiana era la prima lingua insegnata nelle scuole, mentre oggi non è più ritenuta una lingua necessaria come invece l";inglese. L";italiano è una bella lingua che offre ai giovani un grande arricchimento culturale e nuove opportunità  per le loro future professioni.
Oggi il governo e le regioni italiane stanno rivolgendo all";Argentina, che sta vivendo un momento di crisi, attenzioni e gesti di concreta solidarietà . Per l";Italia è un";occasione per ricambiare quanto l";Argentina ha fatto, per tantissimi italiani, dalla fine dell";Ottocento agli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, accogliendoli, offrendo loro un lavoro e la possibilità  di dare un avvenire ai loro figli; e, negli anni del secondo dopoguerra, inviando ingenti aiuti economici ed alimentari. In Italia allora mancava non solo il lavoro, ma anche il cibo. Oggi, la solidarietà  del governo, delle regioni e del mondo associazionistico italiano testimonia la gratitudine per i tanti beni ricevuti in passato, ma è anche motivo per incrementare, in futuro, nuove e reciproche collaborazioni. Personalmente sono fiducioso sulla ripresa del mio Paese.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017