L’arte del viaggio
Un biciclo sbucato direttamente dal XIX secolo attraversa un cielo a pecorelle. Dalla flemma con cui il conducente pedala si direbbe che il suo viaggio sia appena iniziato. Forse avrebbe fatto meglio a salire sulla Bike caravan acquerellata da Anna Emilia Laitinen, così si sarebbe portato appresso pure i bagagli. Se invece avesse ceduto al fascino della mongolfiera di Andrea Dalla Val (Fratelli Mongolfier), di certo ora gongolerebbe già alla meta. Ma, come diceva il giornalista Tiziano Terzani, «il fine del viaggiare è il viaggiare stesso e non l’arrivare».
Così – augurando una buona pedalata al ciclista ritratto da Anna Obon (Passa il tempo) – non ci resta che indossare le preziose babbucce di Valentina Salmaso (Scarpe magiche per andare in Cina), prendere in prestito valigia e carta geografica dallo spaesato viaggiatore di Marie Van Praag (I miei verdi sogni) e avviarci a piedi verso l’ignoto. Calpestiamo una moquette verde squillante che richiama il profumo degli spazi aperti e della libertà. Per un attimo entriamo nei panni di Robert Redford nel film del ’67 A piedi nudi nel parco, ma non siamo a New York, bensì nel cuore del Museo diocesano di Padova, dove, fino al 2 giugno, va in scena la rassegna d’illustrazione «I colori del sacro» (poi diverrà itinerante in varie città italiane). Giunta alla settima edizione, dopo aver affrontato temi come la creazione e i quattro elementi (acqua, fuoco, terra e aria), la mostra s’incentra quest’anno sul viaggio, inteso come punto di partenza e di arrivo, come «desiderio di andare, sogno di qualcosa che ancora non si conosce, ma anche esperienza, conoscenza e cambiamento» spiega Andrea Nante, direttore del Museo diocesano di Padova e curatore della rassegna.
Oltre centoquaranta opere – acquerelli, collage, disegni a matita e pitture a tempera – e sessantotto artisti selezionati tra più di trecento candidati da tutto il mondo (Europa, ma anche Mongolia, Ecuador, Giappone, Argentina, Messico, Israele e Uzbekistan…). Che si tratti di una mostra internazionale è ben chiaro fin da subito. «Dove vai?», «Where are you going?», «On estàs anant?», «Wo gehst du hin?» – e così via in altre ventisette lingue –, chiede retorico il pannello all’ingresso della galleria. Poco più in là, un altro cartellone tempestato di biglietti di viaggio ci invita a lasciare un souvenir. Appuntiamo la ricevuta del capotreno tra un biglietto dell’autobus e un voucher aereo timbrato London-Gatwick e ci prepariamo a volare nel tempo e nello spazio, alla scoperta di un filone da sempre connaturato all’uomo. Perché, come scriveva Bruce Chatwin, «Il viaggio non soltanto allarga la mente; le dà forma».
Rotta verso Dio
«Va’… verso la terra che io ti indicherò». Il comando dato a un perplesso Abramo viene nientemeno che da Dio. A ricordarcelo è il libro della Genesi che di rimandi al tema del viaggio è pieno. Pensiamo all’episodio del diluvio universale: ha l’aria affannata il Noè di Sana Habibi Rad (Il viaggio di Noè) mentre carica sull’arca gli ultimi ospiti a quattro zampe: un elefante e una giraffa. Molto più sereni i volti del popolo eletto che segue Mosè attraverso i flutti marini (Passaggio del Mar Rosso di Giuliano Ferri). La Terra promessa è ancora lontana, ma, armati di fede e libertà, gli ex schiavi egiziani non si lasciano spaventare neppure dagli abissi.
Anche il Nuovo Testamento è un succedersi di tragitti: da quello di Maria in visita alla cugina Elisabetta a quello della Vergine e del suo sposo verso Betlemme. Nella hit list dei viaggiatori ispirati da Dio si guadagnano un posto d’onore anche i Re Magi: lasciare agi e comodità e prendere il deserto in groppa a un cammello – il tutto per poter contemplare un umile bambinello venuto al mondo in una capanna – non è certo una decisione facile!
Ma il viaggio nella tradizione cristiana non si traduce solo in una ricerca di Dio. «Si tratta anche di una provocazione all’incontro col prossimo – spiega monsignor Antonio Mattiazzo, vescovo di Padova –. Ognuno di noi può riconoscersi nell’esperienza immaginata o provata dall’altro, in una dimensione di condivisione negli atteggiamenti, nelle emozioni, nella ricerca durante il viaggio della propria vita». Prima che viaggiatore, dunque, l’uomo è pellegrino, chiamato dal Signore a un percorso di fede che passa per l’altro da sé. Se ancora il concetto non è chiaro, si pensi alla parabola del buon samaritano. Nel dipinto acrilico su carta (Il buon samaritano) di Tommaso D’Incalci, l’attenzione del viandante che soccorre l’uomo derubato dai briganti, lo carica sul suo cammello e procede a piedi sotto il sole cocente è emblema di quello spirito di condivisione e di attenzione all’altro che sta alla base di andate e ritorni. Ancora una volta, non ha importanza quanta strada si percorre: obiettivo del viaggio non è arrivare alla meta, bensì raggiungere la consapevolezza che siamo tutti interconnessi e che dipendiamo gli uni dagli altri.
Tra mito e favola
Al posto dell’uomo maturo e scaltro che ci si potrebbe aspettare, incontriamo invece un Ulisse ragazzino, pallido e fragile, proprio come la barchetta di carta a bordo della quale si appresta a solcare i mari. Per aver trascorso gli ultimi dieci anni di vita a combattere nella guerra di Troia al fianco di eroi come Achille e Aiace Telamonio, il giovanissimo Ulisse ritratto da Cristina Pieropan appare fin troppo innocente. Ci penserà il viaggio verso la patria, l’isola greca Itaca, a temprarlo nel fisico e nello spirito. Altri dieci anni di peripezie che il poeta greco Omero narrò nella sua Odissea e che – a distanza di millenni (l’opera risale al IX secolo a.C.) – ancora oggi costituiscono un pilastro della letteratura fantastica sul tema del viaggio. Dal mito alla fiaba, sono tanti i racconti che nel corso dei secoli hanno descritto partenze e arrivi. C’è chi – come Marco Polo – ha percorso migliaia di chilometri per raggiungere la Cina, salvo poi insediarsi alla corte del Gran Khan (leggere Il milione per saperne di più) e chi invece – Robinson Crusoe docet – non si è mai mosso dall’isolotto che l’ha accolto dopo il naufragio.
Reale o immaginario, il viaggio è frutto dell’esperienza, ma anche del sogno e della fantasia. Tra le più fervide ricordiamo, a partire dal XVIII secolo, quella di Jonathan Swift (I viaggi di Gulliver), di Jules Verne (Viaggio al centro della Terra), di Lewis Carroll (Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie), fino a quella del «nostro» Carlo Collodi (Le avventure di Pinocchio). Che dire poi di Emilio Salgari, veronese doc trasferitosi a Torino, che, per narrare le imprese del suo Sandokan in Malesia (Le tigri di Mompracem, I misteri della jungla nera, Il re del mare...) non viaggiò mai oltre la biblioteca civica vicina a casa? Come avrà fatto il pittore Henri Rousseau – tra i massimi esponenti dell’arte naïf di fine Ottocento – a dipingere giungle tanto dettagliate (Il sogno, L’incantatrice di serpenti) senza mai lasciare l’ufficio comunale del dazio di Parigi dove lavorava? Pensandoci bene, il viaggio migliore forse è proprio quello sulle ali della fantasia, perché non conosce limiti o schemi prestabiliti. Di questo avviso deve essere stata anche l’ungherese Jacqueline Molnár che a «I colori del sacro» è approdata grazie al sorriso contagioso di una tigre e del suo «cavaliere» – una ragazzina dai capelli neri – sullo sfondo di una foresta variopinta quanto una tavolozza (La vita è una giungla).
La natura si stinge e lascia spazio all’effetto optical nell’opera digitale di Hamano Akira, Ostacoli. L’occhio corre subito ai due rospi ai lati del foglio e alle spirali che si ritrovano per ventre: due vortici in grado di risucchiare anche il più accorto dei passanti. Un monito a non scordare mai che l’altro nome del viaggio è rischio. Sia che affrontiate gli ostacoli sul vostro cammino sia che vi diate alla fuga, quel che importa è procedere. Perché, come dice il proverbio, una volta in viaggio «chi si ferma è perduto».
Il viaggio della speranza
Valigie e pacchi d’ogni sorta, carrozze del treno e stralci di giornale, grandi navi a vapore e parole sparse qua e là tra cielo, terra e mare. Ci avviamo verso un’altra sezione della rassegna. Qui i protagonisti sono viaggiatori particolari: gli emigranti del primo Novecento che, in cerca di lavoro e fortuna, lasciarono l’Italia alla volta di Europa, Americhe e Australia. Tra questi spiccano pure i membri di una famiglia illustre. Era il gennaio del 1929 quando i Bergoglio salparono dal porto di Genova alla volta di Buenos Aires (Giovanni Manna, La famiglia Bergoglio arriva in Argentina). Sette anni dopo, nella metropoli argentina nasceva Jorge Mario: l’attuale papa Francesco può vantare origini migranti.
Gli anni passano, le fortune vanno e vengono, ma gli ostacoli della vita sono una costante. Se nel XX secolo l’Italia era terra di emigrazione, oggi è divenuta meta di immigrazione. I nuovi migranti, che vengono da Paesi poveri, in guerra o preda di carestie, sono moltissimi: ogni giorno alcune migliaia intraprendono un vero e proprio viaggio della speranza affrontando rischi e spesso sfidando la morte. A immortalare il loro senso di smarrimento attraverso gli occhioni lucidi di una giovane africana ci ha pensato Daniela Miotti (Il viaggio della speranza). Anche il capo chino della ragazzina di colore ritratta da Sabrina Cesaro in Giungeremo là dove siamo partiti parla da sé.
Alle sue spalle le sagome di donne e uomini: da un lato gli abitanti di una metropoli, dall’altro quelli di un villaggio africano. Due realtà talmente diverse che pensare possano dialogare è quasi fantascientifico. Ma alla protagonista dell’opera sfugge un timido sorriso. Se è vero che integrazione fa rima con determinazione, la partita è ancora tutta da giocare…
Al contrario di quello intrapreso dai moderni migranti, il nostro viaggio nelle gallerie del Museo diocesano è quasi giunto a termine. A un tratto le luci si abbassano e la musica prende il sopravvento. Dal soffitto della galleria sembrano piovere sedie e ombrelli. S’inseguono banchi di pesci, carovane, elefanti e battelli a vapore. Tutti dettagli estrapolati dalle opere in mostra per dar vita a uno dei tre filmati che ogni mezz’ora sorprendono i visitatori lungo i corridoi del Museo. A «show» terminato, diamo una sbirciatina alla sala video oltre una tenda scura. Sullo schermo vanno in onda spezzoni di film «itineranti»: 2001: Odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, Fitzcarraldo di Werner Herzog (1982), Paris, Texas (1984) di Wim Wenders, fino al più recente I diari della motocicletta (2004) di Walter Salles. Gli spunti non mancano.
Torniamo alla luce e ci avviamo verso l’uscita del Museo sulle note di una nenia orientaleggiante. In un angolino lo schermo di un pc ci invita a digitare un pensiero sul viaggio appena concluso. Ubbidiamo e corriamo all’entrata al cospetto di un curioso uomo di legno con valigetta alla mano. In realtà la ventiquattrore è uno schermo che trasmette a ripetizione le frasi lasciate dai visitatori. «Viaggiar descanta (“sveglia”, in dialetto veneto)» scrive uno di loro, «L’emozione di partire è la gioia di tornare» gli fa eco un altro. Qualcuno si augura di arrivare «…dove porta il cuore», perché «il viaggiare di dentro e di fuori può portare molto vicino». Ma se è vero che quando «il cuore vola, il respiro salta…», l’importante è «aggiungere un passo ogni giorno al viaggio della vita» e «seeking for a new balance of life (cercare un nuovo equilibrio di vita)». Nella speranza di «viaggiare per sempre».
INFO
I colori del sacro – Il viaggio 7ª rassegna internazionale d’illustrazione
Museo diocesano, piazza Duomo, 12 - Padova
fino al 2 giugno 2014
www.icoloridelsacro.org