L’Avvento dimenticato.

08 Novembre 1998 | di

Scrive il teologo Jean Baptiste Metz: «La malattia del nostro secolo è l'oblio dell'Avvento». Dimenticare l'Avvento, equivale a tradire il senso della bellezza e della speranza che contiene il mistero dell'Incarnazione. «Dio è colui che viene»: l'attesa dell'uomo non è finzione o semplice rievocazione del passato; non è vana o vanificata dalla prima venuta storica... La venuta di Dio è una realtà  sempre da attendere, da invocare, da accogliere. Thomas Merton, il grande contemplativo trappista del nostro secolo, davanti all'interrogativo se l'Avvento fosse il fondamento della speranza cristiana o la tragedia della delusione, ricorda «la profonda, e in un certo modo tormentosa, serietà  dell'Avvento».

Nella civiltà  occidentale consumistica, forse si è portati a considerare l'Avvento, consapevolmente o no, come il periodo che prelude alla festa del Natale, alle vacanze invernali, ai giochi, quando nelle gioie tradizionali e familiari si scambieranno i doni sotto l'albero vestito di luci e di colori, mentre i fiocchi di neve, felicità  dei bambini, danzano con pizzi e ricami sui vetri della finestra. Poesia? No, l'Avvento è e vuole essere altro: è la celebrazione della venuta e della presenza di Cristo nel mondo. E così, il «nostro» Avvento diventa la celebrazione di questa speranza. «Dio è colui che viene» e la Chiesa, comunità  di attesa e di speranza, sapientemente ci invita a non dimenticare che l'Avvento è tempo di preparazione e vigilanza, e non tempo di presenza e di incontro.

L'attesa fa parte della vita umana e cristiana e richiede la capacità  di sostare, di fare silenzio dentro di sé, di aprire gli occhi e gli orecchi, per guardare verso Qualcuno, per ascoltarne la Parola, per accoglierne la Presenza: quando verrà ! L'attesa trova il suo necessario sostegno nella pazienza. La nostra civiltà  è anche, e purtroppo, la civiltà  dell'impazienza. Il progresso della tecnica rende - inutili - transizioni e preparazioni. L'aereo abolisce lo spazio e le distanze. Basta un gesto per illuminare una stanza e un altro per cuocere un cibo preconfezionato. L'innalzamento del livello e tenore di vita e gli stimoli della pubblicità  - sempre più sovrana e sottilmente seducente - hanno fatto sì che si contragga sempre di più il tempo intercorrente tra il desiderio, il suo appagamento e poi il suo rinnovato inasprimento.

Noi del XX secolo, e ormai alle soglie del terzo millennio, siamo ripieni e paghi di trionfi del progresso e ce ne esaltiamo come di una civiltà  superiore. Ma quale civiltà ? Si confondono forse i termini: il progresso può coesistere con la civiltà , ma non è la civiltà ; il progresso deriva dalla tecnica, mentre la civiltà  è un prodotto della cultura intesa nella sua accezione più alta, di espansione dei valori spirituali dell'uomo.

L'uomo cerca di liberarsi dalle molte schiavitù, affinando e perfezionando gli strumenti della scienza; ma non si accorge che lascia arrugginire i valori dello spirito? Suggeriva, già  all'inizio del secolo, il celebre filosofo francese Henry Bergson: «Ci vuole un supplemento di spirito nella nostra civiltà  fatta di sassi e non di cuori, di soldi e non di anima». E, sulla stessa linea, lo scrittore Federico Sciacca: «La vita, dagli ultimi decenni del secolo scorso ai nostri giorni, con un crescendo impressionante, è scesa dal livello spirituale a quello biologico e - perché no? - zoologico». In questa presunta e tanto vantata civiltà , analizzando con serietà  la situazione nella sua complessità  e drammaticità , oggi più che mai, occorre risvegliare in noi il senso del tempo come attesa paziente e vigile. Quello che deve essere cambiato è il rapporto della nostra civiltà  con il tempo.

L'Avvento è «il momento favorevole»: in effetti che cosa c'è, per noi, di più importante di questo appuntamento che ci attende? Ci vuole del tempo per attendere, per capire, del tempo per amare. Capire che tutto il resto è secondario, appariscente e relativo rispetto al momento decisivo del ritorno del Signore. Ci vuole del tempo, duro e talvolta arido, nel deserto desolato della nostra umanità  e nelle notti dello spirito, per far maturare degli istanti di commozione e di gioia.

Signore, solo il tuo amore di Dio fatto uomo coglie gli abissi dei nostri immani desideri. Noi siamo creature del desiderio, più che del bisogno. Suscita in noi il desiderio di incontrarti. Ti conosciamo poco, troppo poco. Donaci la pazienza sapiente dell'attesa e la sollecitudine della vigilanza per conoscerti meglio, vivo e vicino a noi, affinché possiamo stringere con te un'amicizia intima. Come tanti pinocchi sempre in fuga, fa' che non cerchiamo disperatamente di essere un altro, non rincorriamo la vita, la pace, l'amore... fuori di noi, ma la troviamo in te, che stai venendo in mezzo a noi, ancora una volta, per salvarci.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017