L’avventura della mia vita
VANCOUVER
Una vita avventurosa quella di Pietro Corsi, ricca di sfide personali e di esperienze comunitarie. Moderno Ulisse, Corsi lasciò giovanissimo il Molise, sua terra natale, per esplorare il mondo alla ricerca di se stesso e del senso della vita. Curioso, inquieto e determinato, la sua è la storia di un personaggio che ha percorso le tappe della giovinezza e della maturità costruendosi opportunità di lavoro e d";impegno non comuni. Nei suoi libri, romanzi-verità e saggi sull";emigrazione, è racchiuso il segreto di un movimento senza tregua, di una vita che s";è realizzata nel servizio agli altri. Come se quest";uomo avesse trovato la gioia di vivere, che l";aveva stuzzicato adolescente, creando occasioni di gioia per tanti: tramite i mezzi di comunicazione, la cooperazione con l";industria cinematografica, il turismo del mare... e, in ultima analisi, la scrittura creativa, viaggio senza età e senza stanchezza. Ma come rievoca quest";avventura? «All";età di 13 anni ho lasciato la scuola pensando che avrei potuto farne a meno, ma anche se oggi so che è stato un errore, non me ne sono mai pentito», dice. Non s";era innamorato di una ragazzina, ma di una... macchina per scrivere, scoperta nello studio notarile del suo paese, dove aveva trovato lavoro. Trasformatosi in provetto dattilografo, l";offerta lusinghiera di un avvocato del capoluogo lo strappò al notaio. Ma c";è un altro «ma»: «avevo Roma in mente "; ammette "; e presi la prima decisione importante della mia vita: dopo tre anni abbandonai il comodo e facile lavoro della provincia per l";incerta avventura della capitale». L";avvocato non voleva che il giovane se ne andasse, e gli offrì un aumento di stipendio. Quando lo rifiutò, gli chiese chi o che cosa lo aspettasse a Roma. Il giovane gli rispose «mi aspetta la vita!» e «lui capì, mi regalò un orologio e mi disse «spero che ti conti sempre ore buone!», e «da quel momento quell";orologio cominciò a contarmi le ore più belle della mia vita!».
Roma, ti conquisterò!
Roma, metà anni Cinquanta: Pietro apre una copisteria con annesso ufficio di traduzioni in via del Viminale, di fronte al Teatro dell";Opera. «All";inizio guadagnavo appena il sufficiente per pagare l";affitto dell";appartamento al primo piano. Poi, dalla fiorente industria cinematografica, cominciò ad arrivarmi lavoro a non finire... copioni da tradurre, soprattutto dall";inglese, e da duplicare. Al tempo io non parlavo inglese, ma non mancavano traduttori che bussavano alla porta del mio ufficio in cerca di lavoro». La sua cliente più importante era la Euro International Films che allora doppiava film mitologici e western. E tra le sue mani di piccolo coraggioso impresario, giunto «da una provincia lontana e abbandonata», passarono persino le numerose pagine del libro L";isola di Arturo di Elsa Morante, che «lei correggeva e correggeva, giorno dopo giorno, cercando la perfezione che per uno scrittore non esiste (...) Sul corretto, si continua a correggere, in continuazione...». È facile intuire che qui parla lo scrittore.
Ma com";è nata in Pietro Corsi la passione per la scrittura? «Scrivendo, direi», è la sua risposta, e precisa che verso la metà degli anni Cinquanta, il Molise viveva un agitato fermento politico, restando tuttavia «isolato, abbandonato, una ";postilla"; nascosta dentro la regione Abruzzo che la gente nominava al plurale dicendo Abruzzi (per non dire Abruzzo e Molise, come sarebbe stato giusto)». Attento ai problemi della sua provincia, Corsi cominciò a scrivere articoli per tre quotidiani romani e continuò a farlo. «Dopo un paio d";anni, anche Roma mi diventò stretta e cominciai a sognare altri orizzonti» narra oggi Corsi che, ottenuto un visto turistico per il Canada, nella primavera del 1959 arrivò a Montréal dove accettò un";offerta di lavoro dal direttore del Cittadino Canadese. «Sulle pagine di quel giornale è nato Pietro Corsi scrittore "; ricorda "; con racconti che narravano le vicende del tipico emigrante del dopoguerra». Il suo romanzo La Giobba (*) è oggi considerato un classico dell";emigrazione degli anni Cinquanta. Montréal e i contatti nati grazie al giornale costituiscono anche la cerniera per le successive esperienze del Corsi navigante. Un ex collega di lavoro, che aveva ripreso a navigare dopo essere stato anni prima Commissario di bordo sull";Irpinia (la nave che da Napoli aveva portato in Canada tanti emigranti), un bel giorno gli chiese di raggiungerlo a New York sulla nave Acapulco che stava per iniziare un programma di crociere tra Los Angeles e Acapulco. «Era il mese di dicembre: dalla neve, mi dissi, sarei passato su una nave che andava a conoscere il sole tropicale! Volevo conoscerlo anch";io! Fu, quello l";inizio di un sogno durato fino al 1992 quando, con la carica di vicepresidente esecutivo, sono andato in pensione dalla Princess Cruises , compagnia che ho aiutato a nascere, nel 1965, e a crescere».
Pietro Corsi, sposato con la messicana Elsa de la Luz, «ha viaggiato per il Messico in lungo e in largo fino ad assimilarne umori e cultura che traspaiono in molti dei suoi libri"; (**) si legge sulla retrocopertina della sua ultima opera L";ambasciatore di don Bosco , edito nel 2004 da Cosmo Iannone per la serie Quaderni sull";emigrazione (***). È la storia fedelmente documentata "; ma anche emotivamente rivissuta dall";autore per le molte coincidenze parallele "; del salesiano Raffaele Maria Piperni, staccatosi dalla terra natale per diventare «pescatore di uomini» secondo il Vangelo. Il «missionario di tre continenti» era anch";egli nato a Casacalenda del Molise (1842 - San Francisco 1930). «Non si trattava di scrivere una semplice biografia, ma di far conoscere agli altri l";esperienza del Pietro Corsi che va conoscendo quella dell";altro molisano, padre Raffaele Piperni, in tutte le sue dimensioni. Le esperienze di due uomini che sognano orizzonti infiniti, luoghi senza frontiere», scrive nella prefazione il salesiano Francisco Castellanos Hurtado, concludendo «è come se tu Pietro, con lui a braccetto, andassi in giro per mondo proclamando la Buona Notizia».
Il senso dell";italianità
Ho chiesto a Corsi come vede e come vedrebbe la «missionarietà » oggi, e quanta e quale italianità ha trovato nelle sue escursioni in giro per il mondo. Alla prima domanda ha risposto: «Credo che non ci sia più posto per il missionario, oggi, nei Paesi dell";America del Nord. Forse neanche nei Paesi dell";America Latina, dove le missioni sono state, fino ad epoca recente, molto importanti. Però "; ha aggiunto "; credo che ci sia ancora e sempre posto per il buon missionario nei Paesi emergenti, soprattutto quelli che soffrono povertà e mali endemici». Quanto all";italianità , mi ha detto di avere trovato in Canada un";emigrazione giovane e fresca, ma anonima. «Era come insabbiata, tardava ad inserirsi nella realtà locale, si rifiutava di accettarla. Oggi so che era troppo fresca quando paragonata a quella degli Stati Uniti o di altri Paesi dell";America Latina. Oggi le promesse sono buone, con scrittori dello stampo di Nino Ricci, che anche l";Italia sta scoprendo, e Joe Fiorito e Antonio D";Alfonso e Mary Melfi. La cultura italo-canadese sta appena nascendo, direi, ma non tarderà ad imporsi e contribuirà notevolmente allo sviluppo della storia di quel grande Paese».
Negli Stati Uniti, Corsi ha trovato «un";italianità già molto importante. Non solo a New York e nel New Jersey ma anche in California, soprattutto a San Francisco. L";ho scoperto quando ho iniziato a fare le ricerche su un missionario che proprio lì, a San Francisco, aveva fondato la prima casa di don Bosco, nel 1897. Erano giorni difficili, quelli: storicamente, però, erano gli stessi che l";italiano viveva in Canada nell";immediato dopoguerra. Con la differenza che a San Francisco arrivò all";epoca quel testardo salesiano, don Raffaele Piperni che si propose di salvare l";emigrante italiano dalla dannazione "; e non solo religiosa "; che questi invocava su se stesso. Dopo il terremoto del 1906, ebbe inizio un movimento di rinascita comunitaria guidato dall";instancabile ambasciatore di don Bosco, e così ebbe vita il senso di italianità che ha portato alla luce nomi come quelli di Giannini "; fondatore della Banca d";America ";, Ghirardelli, Alioto, Rossi, Fugazi, De Martini, Molinaro: famiglie di grande rispetto non solo in California, ma in tutti gli Stati Uniti».
Quanto al Messico «ho trovato la presenza di un";importante italianità , palpabile così, nell";aria, e nelle parole della gente di strada». Ne riparleremo.
(*) La Giobba (Enne 1982, in inglese Winter in Montreal, Guernica 2000). Premio Bressani per la Letteratura, Vancouver 2002.
(**) Ritorno a Palenche, Un certo giro di luna, Lo sposo messicano, Amori tropicali di un naufrago, pubblicati tra il 1985 e il 1989.
(***) Nella stessa collana, di Pietro Corsi: Halifax. L";altra porta d";America (2003).