Le archisculture di Pino Castagna

Il castello di Pergine e i dintorni ospitano, fino al 5 novembre, le «concrete utopie» di uno scultore che opera in grande, utilizzando materiali possenti e cercando la simbiosi con la natura e l’ambiente.
03 Luglio 2001 | di

Quel sabato 21 aprile, al pomeriggio, quando giunsi al castello di Pergine per l`€™inaugurazione della mostra di Pino Castagna, tutto sembrava partecipare alla sfida che le sue sculture, anzi le sue "archisculture", lanciano da oltre trentacinque anni alle montagne, ai cieli e alla terra.

Aveva appena smesso di nevicare, il 21 di aprile, e le cime dei piceti sui pendii imbiancavano l`€™aria liberandosi, fra i mulinelli di vento, dai veli grigi delle nuvole. Più sotto, sui pendii della valle, che a Pergine forma come una grande scodella, o meglio uno di quei piatti di legno di un tempo per la scrematura del latte nelle malghe, un altro biancicare: sono le migliaia di ciliegi in fiore che albicano per i prati verdi.

E i nembi nel cielo, violacei. E gli squarci improvvisi d`€™azzurro. E il profumo amaro degli olmi che stanno fogliando nella foresta che circonda il castello.

Nel piazzale della radura del Pian della Panizza, prima che la strada inerpichi sulla costa orientale dello sperone di roccia scistosa su cui troneggia il castello, ecco la prima scultura, un muro composto e scomposto di cemento e metallo (acciaio cor-ten): Mastio (1987). Pesa tonnellate. Hanno dovuto usare uno di quei tir mastodontici che ingombrano un`€™autostrada per portarlo quassù, eppure sembra pulsare nell`€™aria umida sotto gli abeti bianchi e i faggi: quasi ogni blocco si componesse e si ricomponesse nella posizione complessiva del gruppo.

È la caratteristica delle grandi composizioni di Castagna

: come le Mura di Gerico (che sono rimaste a Castermano), arrugginite come antiche armature, e ondulate; mobili e immense (pensate: oltre ventitré metri di lunghezza per sei di altezza) a respirare l`€™ora che sale dalla baia di Garda.

Poi ci si addentra nella foresta per la strada che inerpica sempre più ripida e stretta e all`€™ultimo tornante, ecco la leggerezza delle tonnellate di ghisa delle Vele (1981): nereggiano sulle pendici erbose e le punte forano i nembi sempre più bassi (tra poco copriranno le torri del castello) e sembrano penetrare nel lungo e alto muro di cinta.

Pare impossibile, ma è la realtà  della sua scultura, da sempre indicata da tutti i critici che di lui si sono interessati (De Micheli, Steingraber, Magagnato, Belli, Ragghianti, Trucchi, Santini, Crispolti, Erbesato`€¦ un elenco che non finisce più): la sua arte è il prodotto di una curiosità  artigianale ai massimi livelli, mossa da un desiderio di fare in grande che riesce a rendere concrete le utopie.

"Concrete Utopie" ha voluto chiamare questa mostra al castello di Pergine Franco Batacchi (curatore anche del sobrio ed elegante catalogo), che da dieci anni porta fra le rocce scoscese e le ruvidi pareti di questo castello medievale i più grandi scultori: da Benetton a Somaini, da Staccioli a Celiberti.

Direi che è già  un`€™utopia concreta in sé non rincorrere le mode e le tendenze e permettersi il lusso di inseguire le nuvole del cielo e farle scendere in terra, fondendole in una fonderia: in ghisa.

Non c`€™è un prototipo "Castagna", eppure una sua opera la riconosci all`€™istante, anche in una maquette o in bozzetto: vi avverti il grandioso che respira dall`€™interno delle forme e che si espanderà  nella creazione finale.

Castagna si confronta con i monti e sostiene il confronto, aprendo un varco nel visibile, andando oltre il visibile, per farti immaginare l`€™impossibile che la sua fantasia esprime con la solenne innocenza del poeta: si illumina d`€™immenso!

Andiamo oltre, varchiamo uno stretto portone ed entriamo nel primo cortile del castello: sul prato e sugli spalti, grandi, eppure perfettamente innestate nell`€™ambiente, altre sculture. Anzi: numerose sculture: Tensione (1977) si intitolano tondini di ferro come lance o come proiettili pronti a schizzare nel cielo; Papiro (1977) in legno noce Daniela: un rotolo che si sfoglia per tutta la sua altezza di 3 metri e 40, con la calda dolcezza del colore naturale e la scioltezza di un racconto nascosto che, adesso adesso che si apre, potremo leggere; Memoria gotica (1989) in ghisa (nello studio di Costermano ne ho viste in vetro brillante e opalescente), quasi una sintesi, un`€™allusione, un simbolo della verticalità  che qui si esalta nello slancio massiccio e sovrano delle torri del castello; nel vallo prima dell`€™ingresso alla sala centrale, Figure (1969) in pietra morta: antiche cariatidi, solenni e stanche, misteriose e dolenti, in bilico fra un misterioso menhir e un`€™altrettanto misteriosa pietra tombale.

Sugli spalti più alti troneggia uno dei capolavori in assoluto dell`€™archiscultura mondiale: La foresta di Birnam (1999, cm. 540 x 160 x 530) formata da 537 travi di ferro e 96 elementi in cemento armato "si alza e si muove nella notte con i soldati di Malcom mimetizzati con i rami degli alberi, rappresenta la fine del megalomane usurpatore e tiranno Macbeth". La Foresta è in tempesta, i ferri feriscono gli occhi e le stelle con la chioma fitta delle centinaia di sbarre, mobili: sembrano roteare come sciabole nere o come nera criniera di un mostro immane denso di terrore: un mostro goyesco a ricordarci il sonno della ragione.

Le archisculture di Castagna ti incontrano

e tu puoi incontrarle: nel salone al primo piano, la "Sala delle armi" `€“ un ombrello poderoso con il pilastro centrale come un rondella veneziana `€“ ecco le sue composizioni da vivere e da calpestare, anzi, da passarvi in mezzo, come Paesaggio sonoro (1993), una foresta di canne d`€™acciaio innestate su cemento armato che il tuo passo farà  suonare e risuonare a lungo; e più su Cespo veneziano (1995) di acciaio e ceramica e Onda (1998) di acciai vari che ondeggiano come alghe fluviali o come lunghi cespugli notturni.

E poi il Canneto (1999), nella "Cantina Rosa", una delle ultime edizioni di questi suoi incredibili esseri architettonici in vetro soffiato a più colori che ornano da tempo cortili e piazze delle più belle città  d`€™Europa. Magagnato scrisse che avevano il soffio sonoro di un organo. Qui, a castel Pergine, hanno una delicatezza inedita, forse accentuata dalla ruvida durezza del luogo, severo quanto altri mai.

Nella piccola stanza a volta a botte che si apre oltre le scale alla fine del salone, una maquette di Muro (1977): la luce gioca fra i riflessi bianchi del cemento e le pareti e sembra cadere goccia a goccia, come cadeva goccia dietro goccia in questa stanza la tortura immaginata da un giudice crudele del tempo che fu. "Prigione della Goccia" si chiama, infatti, il luogo.

Nella "Cantina Rosa" Castagna espone anche alcuni dei suoi Vasi, per cui e su cui lavora da quasi quarant`€™anni, scoprendo nell`€™arte della ceramica uno dei cardini della sua creatività  artistica; forse perché il risultato è dato solo dall`€™incontro con il fuoco, il grande fuoco dei forni a oltre mille gradi: l`€™incontro con la forza sovrana della natura che tutto trasforma e tutto completa.

Si ritorna nei cortili e sugli spalti per riscoprire altre versioni di Tensioni e di Memorie gotiche, altre Figure: non le avevi viste entrando, come preso dalla voglia di andare oltre, di trovarti sempre più vicino e sempre più dentro. Ancora di più, allora, ti convinci che è la creazione di Castagna una delle poche che sta in piedi, perché si può confrontare con il creato intero, porsi nel mezzo con la naturalità  di una rupe, di un albero, di un monte e l`€™incredibile leggerezza di una nube; con la necessità  della sua storia di allusioni e di pensieri e con la semplicità  del sogno e dell`€™immaginazione.

Una scultura, un`€™architettura grande e quotidiana. Appunto: una concreta utopia che si confonde con la Natura.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017