Le chiese dei Giudicati

Dopo il Mille, per contrastare l’egemonia religiosa bizantina, arrivarono dal continente monaci-artisti e maestranze specializzate. Iniziò così una nuova stagione per l’arte e la fede.
05 Settembre 1999 | di

 Le oltre cento chiese romaniche sparse nella pianura della Sardegna sull'asse viario nord-sud, costituiscono un elemento fondamentale del suo paesaggio; sono il frutto, oltre che della religione cattolica accortamente introdotta dai papi di Roma, anche di un lungo periodo di indipendenza, benessere e relativa pace, seguito a molti secoli di dominazioni varie, che avevano devastato l'isola con razzie e guerre furibonde. Nel 534 la Sardegna fu sottratta ai Vandali da Giustiniano imperatore d'Oriente e divenne bizantina. A governarla era un Dux che risiedeva a Cagliari. Bisanzio, però, lontana e impegnata a combattere le sue guerre altrove, non era in grado di difenderla dai continui assalti degli arabi. Così si suppone che i Sardi finissero con l'organizzare in proprio la difesa dell'isola e che, nel contempo, si riducessero anche gli ormai già  deboli legami con il governo d'Oriente, fino a spezzarsi. Come ciò avvenne non si sa, giacché i documenti di quel tempo sono quasi inesistenti. Si può supporre che in principio la difesa si fosse concentrata nelle città  costiere, le più colpite dalle scorrerie saracene; e che, una volta scongiurato il pericolo e ormai libere, le città -stato iniziassero a espandersi nell'entroterra sino a raggiungere la quadripartizione dell'isola in regni chiamati Giudicati, che ricalcavano grosso modo le attuali province. A capo erano i Iudike (re) liberamente eletti dal popolo, emblema dei quali è oggi la famosa Eleonora d'Arborea.

Gregorio VII invia gli ordini monastici

Se della probabile data di nascita dei Giudicati si hanno notizie solo per via di lettere che nell'815 i pontefici Leone IV e Nicola I inviarono ai Giudici sardi per condannare l'abitudine ai matrimoni fra consanguinei, delle chiese romaniche, mini cattedrali radicate saldamente al suolo come nuraghi, e che si stagliano contro il cielo in deserti di terra spesso brulli e silenziosi, sappiamo tutto fin dalla metà  dell'XI secolo, quando sul trono di Pietro sedeva papa Gregorio VII. Egli, preoccupato dal persistere in Sardegna dell'egemonia religioso-bizantina, favorì, d'accordo con i Giudici, l'inserimento nell'isola di ordini monastici, i quali dettero avvio a un'intensa attività  costruttiva, con l'erezione di numerose chiese e monasteri, nella forma architettonica definita poi romanica nell'Ottocento, edificate su quelle bizantine, che prima demolivano.
I primi ad arrivare in Sardegna, intorno al 1065, furono i Benedettini di Montecassino e i Vittorini di Marsiglia, seguiti nel tempo dai Camaldolesi e dai Vallombrosiani. Si installarono prima nel Giudicato di Cagliari, e in seguito nel Logudoro e in Arborea, ricevendo in donazione terreni e servi. Questi monaci lavoravano di persona o chiamavano, in assenza di maestranze locali, architetti e abili artigiani di varia provenienza, che ricostruivano secondo la corrente del tempo. Toscani, lombardi, francesi, trovarono nell'isola condizioni favorevoli per esprimere le loro capacità  artistiche. Importarono modelli e stili dei loro paesi d'origine, svelandoli poi ai Sardi, già  specializzati nel nell'arte del taglio della pietra, tramandata forse dall'epoca nuragica.
Parallelo e pure precedente a questo rinnovamento che vide anche una notevole espansione demografica, iniziò una progressiva infiltrazione pisano-genovese, attraverso istituti religiosi come l'Opera di S. Maria di Pisa e la Chiesa di S. Lorenzo di Genova, che ottennero molti benefici. In seguito giunsero esponenti di famiglie nobili di queste città , come alleati dei giudici nella difesa dalle incursioni arabe, e ottennero, pure loro, grandi proprietà . Lungo il XII secolo i Visconti si insediarono a Cagliari, i Malaspina a Bosa, il Conte Ugolino a Iglesias, i Doria ad Alghero e a Castelgenovese (Castelsardo), imparentandosi tutti, tramite matrimoni di convenienza, con i giudici.

L'unico ritratto di un Giudice

Le cause della conservazione del patrimonio isolano di chiese romaniche, in misura maggiore, sia qualitativa che quantitativa, rispetto ad altre regioni italiane, si individuano prima di tutto nell'imponenza del fenomeno edilizio, in secondo luogo nella stabilità  strutturale dei sistemi costruttivi, e, infine nel suolo sardo immune da movimenti sismici. Inoltre la conservazione è stata favorita dalla stessa povertà  dell'economia isolana, che ha impedito tanto il modificarsi come il moltiplicarsi degli edifici sardi, così che quelli esistenti sono stati sempre utilizzati, e ancora si utilizzano per esigenze di culto, anche se lontane dai centri abitati.
Una è la Basilica di San Gavino di Torres, costruita in due tempi tra il 1065 e il 1111 da Gonario-Comita giudice di Torres e Arborea, ad adempimento votivo; fu ultimata dal figlio Torcotorio-Barisone I. Sorge alta sul mare nell'area della necropoli orientale, sopra una basilica bizantina preesistente, della quale sono rimaste poche testimonianze. Nei secoli è stata spesso restaurata, e oggi è parrocchiale del moderno centro di Porto Torres (Sassari).
Fra le prime ad essere edificate dal giudice del Giudicato di Cagliari (1089-1119) c'è la Basilica di san Saturno di Caralis (Cagliari), nei pressi della più antica area funeraria cristiana del IV secolo. Della stessa epoca e giudicato è la Basilica di sant'Antioco di Sulcis (Sant'Antioco), sito che conserva una necropoli punica del VI-II secolo a.C.; una romano-imperiale I-IV secolo d.C.; e catacombe cristiane del IV-VII secolo. Tralasciando le altre pur belle e numerose, spessissimo dedicate alla Vergine, la chiesa campestre di S. Sabina, impiantata nei pressi del villaggio nuragico omonimo dal giudice di Torres, e la parrocchiale di S. Maria del Regno di Ardara (Sassari), contengono tracce di frequentazioni di età  nuragica e romana. La Basilica di S. Giusta (Oristano) del terzo decennio del XII secolo) domina da un poggio, con la sua facciata in cantoni di arenaria, l'abitato omonimo, lungo la strada principale di collegamento fra il nord e il sud sardo.
Tra le più significative, commentate nel magnifico volume pubblicato dal Banco di Sardegna, S. Maria di Bonarcatu (Giudici d'Arborea), la parrocchiale di Bonarcatu (Oristano), e la spettacolare chiesa della SS. Trinità  di Saccargia (Codrongianus, Sassari), a filari alterni bicromi di conci calcarei e basaltici, che conserva perfetto lo stile delle maestranze pisano-pistoiesi. Splendida è S. Maria Di Uta (Cagliari) del XII secolo; e S. Maria di Tatalia (Tratalias, Cagliari) ben conservata e parrocchiale fino agli inizi del secolo, che risulta semi abbandonata per lo sviluppo dell'abitato moderno in un sito forzatamente distanziato.
E che dire di S. Pietro Extra Muros (Nuoro), a poca distanza dal fiume Temo, e di S. Pietro di Zuri (Ghilarza, Oristano) che sorge ai margini dell'abitato? E della parrocchiale di S. Pantaleo a Dolianova (Cagliari)?
Un cenno merita pure la parrocchiale di S. Nicola di Othana del 1160 circa (Nuoro), speciale, a mio parere, per un polittico trecentesco: unica opera in cui è raffigurato Mariano IV d'Arborea, allora giovinetto, giudice che, insieme a sua figlia Eleonora che gli succedette al trono, lottò strenuamente per l'indipendenza della Sardegna.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017