Le dispari opportunità
Il nocciolo della disparità è racchiuso in due semplici parole: doppia presenza. Lavoro fuori e lavoro in casa, senza l'aiuto delle politiche sociali, dei servizi, dei datori di lavoro e spesso dei mariti. Non a caso le donne italiane hanno due tristi primati: quello di lavorare più ore al giorno rispetto alle consorelle dei paesi industrializzati (28 per cento in più degli uomini contro il 13 per cento in più delle europee), e quello di avere il minor numero di figli rispetto alle donne di tutti gli altri paesi del mondo.
La diseguaglianza ha tre facce: meno opportunità di lavoro, meno opportunità di carriera, meno opportunità di tempo libero. Vediamole nel dettaglio.
Riguardo al primo punto i dati Istat sono inequivocabili: in Italia la disoccupazione femminile tocca il 16,6 per cento contro il 9,4 per cento di quella maschile. Eppure tra le donne c'è il boom della scolarizzazione, mai visto prima nella storia italiana. Alla fine del 1995, tra i 20 e i 24 anni, risultava diplomato il 69,8 per cento delle ragazze e il 63,3 per cento dei ragazzi. Per quanto riguarda l'università , nel 1991 c'è stato il sorpasso: le matricole femmine erano più dei maschi. Nell'anno accademico 1994-1995 le laureate erano il 52,8 per cento di tutti i laureati. Eppure una ricerca Istat su quanti laureati del 1992 avessero trovato lavoro nel 1995 dimostrava che l'80,7 per cento degli uomini e solo il 69,5 per cento delle donne erano riusciti a raggiungere il sospirato impiego. 'Studio perché credo che ciò mi possa dare possibilità di lavoro, di autonomia economica e di autorealizzazione', afferma Angela, 21 anni, riassumendo il pensiero delle sue coetanee. Le giovani sono convinte di poter conciliare famiglia e lavoro, ritengono quest'ultimo un diritto acquisito. La realtà delle cifre provoca non poche frustrazioni.
La diseguaglianza è anche dentro il mondo del lavoro. Una ricerca di Maria Luisa Bianco, riportata da Chiara Valentini nel suo libro Le donne fanno paura (ed. Il saggiatore) - presenta un mondo aziendale in cui le donne occupano i livelli più bassi. Nell'industria privata c'è un dirigente uomo ogni undici impiegati e una dirigente donna ogni centouno impiegate. Per non parlare della rappresentanza politica femminile, che oggi conta appena sessantasette parlamentari, il 10 per cento in meno rispetto alla precedente legislatura. La disparità di carriere e di rappresentatività si traduce in minor reddito e minor peso sociale. 'Ho un lavoro di responsabilità - afferma Margherita, 42 anni - che però non mi è riconosciuto. Guadagno molto meno dei colleghi maschi con uguale mansione e mi sento sempre in obbligo di dimostrarmi all'altezza'.
Ma la terza faccia, la più nascosta e la più difficile, è la gestione del tempo femminile. 'Il guaio è - afferma Teresa, 38 anni, una figlia - che pur facendomi in quattro non riesco ad accontentare nessuno: né marito né figlia, che si sentono trascurati; né il datore di lavoro, che vorrebbe maggior presenza; né me stessa, che vivo con sensi di colpa l'incapacità di far tutto bene'.Un'indagine della Commissione pari opportunità del 1994, dal titolo Tempi diversi, semi ignorata dai mass media, ha dimostrato la tirannia del tempo femminile. Una madre occupata, che lavora fuori casa una media di sei ore e mezza, lavora in casa almeno altre sette ore, per un totale di tredici ore e mezza di lavoro giornaliere. Un uomo sposato, con figli, dedica al lavoro otto ore e alla casa e ai figli un'ora giornaliera, lavorando in tutto nove ore al giorno. Il peggio arriva nei fine settimana: il sabato, per esempio, giorno in cui il lavoro domestico femminile raggiunge il suo apice, la presenza maschile aumenta di tre quarti d'ora, che corrispondono al rito dello shopping settimanale. Unico faro: i giovani padri stanno incominciando a invertire la tendenza.
Più aumenta il numero di figli più la donna deve attingere alle sue già risicate riserve di tempo. Una donna con due figli dorme mezz'ora in meno di una donna che ne ha uno solo. Ma anche il tempo del lavoro ne soffre, perché, ad esempio, più difficilmente un uomo sta a casa per accudire un figlio malato. Ciò incide molto sull'affidabilità , ma anche sulle possibilità della donna di aggiornarsi.
Altro problema è l'estrema rigidità del mercato del lavoro, costruito sul modello del lavoratore uomo, che escludendo la specificità femminile, nega valore alla maternità . 'Prima di darmi il lavoro che attualmente svolgo - afferma Laura, 25 anni - mi hanno chiesto se ero incinta o se avevo intenzione di sposarmi nel prossimo anno'. In particolare la rigidità dell'orario di lavoro è fra le cose che più fa soffrire le donne, che hanno l'ingrato compito di far coincidere molte e diverse esigenze.
Quasi impossibile ottenere un part time. Daniela, 31 anni, laureata, un figlio: 'Ero a capo dell'Ufficio vendite di una piccola azienda. Il lavoro era molto, ma la proprietà non voleva assumere. Ero costretta allo straordinario perpetuo. Vedevo mio figlio alle otto o alle nove di sera. Ho chiesto il part time, tante volte, invano. Mio marito ritorna ancora più tardi: è libero professionista. Nostro figlio sta crescendo senza di noi. Ho deciso di lasciare il lavoro, ma la prospettiva di stare a casa mi deprime'. Dati Istat del 1997 evidenziano che il part time in Italia è applicato solo per il 5,1 per cento dei contratti di lavoro contro 32 per cento dell'Olanda, il 23 per cento del Regno Unito, il 17,3 per cento degli Usa e - la cosa è degna di nota - il 12 per cento del Giappone! Verrebbe da pensare che il part time non venga applicato nel nostro paese perché non conviene al datore di lavoro: 'Dal punto di vista economico - afferma Marta, impiegata in un Ufficio personale - non cambia assolutamente nulla, retribuzione e contributi sono pagati in proporzione. L'unico problema che vedo è di tipo organizzativo, di passaggio delle consegne da un lavoratore all'altro'.
Ulteriore aggravante per la donna lavoratrice è l'assenza o la non sufficienza dei servizi. Un esempio per tutti. Gli asili nido stanno diventando una rarità . Nonostante l'esiguo numero di bambini, a Genova coprono solo il 9 per cento del fabbisogno, a Roma l'11per cento e a Napoli l'1 per cento. I costi lievitano: a Milano la retta è di circa 900 mila lire mensili. Mancano le scuole a tempo pieno e i prolungamenti, salvo non si abbia la possibilità di pagare le costose rette della scuola privata.
Mancano, inoltre, i servizi per gli anziani, non solo gli istituti ma anche i day hospital. 'Oggi - afferma Chiara Valentini - per ottenere un'assistenza a domicilio bisogna dimostrare di non avere congiunti, in sostanza né figlie, né nuore, non importa se occupate o meno'. Con l'aumentare dell'età media l'impegno delle donne per gli anziani sta crescendo, oggi è arrivato a 18 anni. Contemporaneamente si allunga anche il tempo dedicato ai figli visto che questi lasciano la famiglia sempre più tardi.
E mentre a Roma si discute sulle nuove politiche familiari, l'impegno delle donne si moltiplica a dispetto dell'emancipazione e delle tanto declamate pari opportunità .