Le lacrime di Brunella Gullaci
Così sono certo, come vescovo, che proprio queste lacrime e questo sangue innocente potranno risollevare e fecondare le zolle, bellissime e dure, della Locride. | R ileggo con piacere una frase del Concilio che mi ha illuminato: «Dio ha parlato con fatti e parole intimamente connessi!». Fatti che chiedono luce, enigmi che non si chiariscono, misteri che non hanno pace. La vita è spesso così. Eppure, da quei fatti scaturisce un bisogno di aprire la Bibbia, nella quale spesso |
casualmente (ma casualmente non è!) scopri una parola, una luce, che ti dà la capacità di capire, di penetrare la storia, di dar senso a ciò che ti è accaduto. Così come il Vangelo di quel giorno rispose alle assillanti domande di Francesco d'Assisi, che chiedeva luce per il suo cammino: «Andate a due a due, non procuratevi né oro né argento né bisaccia... gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente donate» (Mt 10).
Ritrovi quest'intreccio anche nella tua preghiera: le labbra pregano le parole antiche dei salmi, ma non è più Davide a parlare; sei tu che vivi le medesime esperienze, in un intreccio di fede e vita che dà vigore al tuo grido.
Racconto questo modo di pregare, perché di fatti di dolore è piena la mia vita di vescovo, voce di una terra sofferta. Abbraccio Brunella, la vedova di Mimmo Gullaci, quel coraggioso e tenace imprenditore, dilaniato da una bomba il 13 aprile, nella messa di ricordo di tutte le vittime della violenza mafiosa. E mi scoppia in un pianto dirotto. Non ho parole. Non ci sono. Le uniche che ho trovato sono state appunto quelle della Bibbia, in una lettera che proprio quel giorno, «a caso», la liturgia poneva alla meditazione nell'Ufficio di preghiera. Parla di Cristo, come Agnello immolato, sgozzato per amore, il cui sangue ha salvato un popolo. Ma non è piegato né sconfitto. Così lo presenta l'Apocalisse, al capitolo 5: «Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato» (5, 6).
Chi muore per amore, come i tantissimi testimoni della fede del secolo XX; chi sacrifica la propria vita; chi non cede all'insidia della mafia... costui non resta schiacciato dalla storia. Ma balza in piedi e domina la scena.
Davanti all'Agnello, un libro chiuso con sette sigilli: nessuno lo può aprire. E questa incapacità a dare senso alla storia, a dare significato ai fatti che viviamo produce in Giovanni un pianto irrefrenabile. Ieri come oggi, quelle lacrime sono le nostre, di sempre, di fronte al «perché è successo questo?
Perché... perché?». Eco del grido di dolore del Cristo abbandonato sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Marco 15, 34). Quando il libro della storia non si apre, quando non sai dar senso a quello che fai, allora nel cuore di ogni uomo sgorgano sempre le lacrime.
Eppure, è proprio perché i tuoi occhi si rigano di pianto che riesci a cogliere il senso del tuo cammino. Solo occhi bagnati di lacrime possono aprire il libro della vita. Non lo leggono i gaudenti né i superficiali. Ma lo penetrano gli afflitti, che saranno consolati. Soltanto le loro parole, scavate dal dolore, riusciranno a farci cogliere il mistero di questo XX secolo che si chiude, e dar significato a tanto sangue innocente sparso in ogni angolo di pianeta. Sono i misteri di Dio. Il suo linguaggio, intrecciato di parole e di fatti intimamente connessi.
Che si fanno storia, attorno alla memoria dei martiri, un segno giubilare che nel mese di giugno si riaccende di interesse, quando contempliamo con amore l'Ostia consacrata del Corpus Domini.
Abbiamo consacrato un piccolo santuario mariano, dedicato alla Madonna delle Grazie, posto a media collina, tra verdi campi e secolari querce, a Caraffa del Bianco. Una nicchia antica ha conservato una bella statua del 1622. Ma una mano distratta aveva lasciato ai suoi piedi un cero acceso che ha provocato, nella notte, un incendio devastante. Tutti sono accorsi al mattino a spegnere le fiamme. Anzi, lo zelo ha spinto un fedele a lanciare un secchio d'acqua sulla statua incandescente. Purtroppo. Perché la temperatura altissima raggiunta dalla statua, a contatto con l'acqua fredda, ha prodotto un'esplosione interna, spaccandola dentro e fuori. Amara la sorpresa. Triste l'aspetto della Madonna con il suo Bambino.
Il restauro è stato lungo e faticoso, forse non perfettamente eseguito. Comunque ha ridato solidità e maestà alla statua. Che ovviamente non è più così dolce come un tempo. Eppure, ora ha acquistato un'altra dimensione, di straordinaria significanza: è l'immagine della dolcezza e della sofferenza insieme. Un volto rigato dal dolore, per l'incrostarsi del marmo. Linee di vita e di morte intrecciate insieme. Domande di dolore e risposte di luce, che si snodano sulla pietra. Senza volerlo, è diventata di fatto il simbolo di una terra dove luce e tenebre, dolore e speranza, lacrime e vita si mescolano insieme, in un senso di sublime bellezza. Sarà ancora la Madonna delle Grazie, non perché angelica, ma proprio perché ha sofferto.