Le mimose non bastano più

Sul piano del costume e della mentalità c’è ancora molta strada da compiere nel riconoscimento dei diritti delle donne. A loro il compito di riscoprire una femminilità che si realizzi nella tendenza alla solidarietà, alla cura, all’ascolto.
22 Febbraio 2008 | di

Secoli fa il celebre scrittore francese Victor Hugo pronunciava una frase dal significato profetico: «Il diciottesimo secolo ha proclamato i diritti dell’uomo, il diciannovesimo proclamerà i diritti delle donne». È infatti dalla fine della seconda metà dell’Ottocento che i movimenti femminili elaborano le basi sulle quali successive generazioni di donne organizzeranno la propria emancipazione e liberazione. Ma a che punto è oggi l’annosa questione femminile e quali riflessioni possiamo fare all’avvicinarsi di quell’otto marzo che da anni è dedicato alla celebrazione della donna, alla quale vengono graziosamente offerti in omaggio piccoli mazzi di mimose? Come nella vita dei singoli, anche in quella della società esistono tappe, età che si pongono come crisi di passaggio e che meritano di essere comprese.

Credo che dalla seconda metà del secolo scorso molta strada sia stata fatta, soprattutto sul piano legislativo, ma molta sia ancora da percorrere sul piano del costume e della mentalità. Basti pensare che il nostro Paese è stato, nel 2003, al penultimo posto per quanto riguarda la presenza delle donne nei parlamenti nazionali, con un grosso divario rispetto alla media europea (11,5 per cento contro il 25 per cento della Ue). A questo si aggiunga un altro dato, davvero drammatico, secondo il quale in Italia più di cento donne all’anno sono vittime di omicidi dentro le mura domestiche.


Io però vorrei soprattutto riflettere non tanto sulle fondamentali e sacrosante rivendicazioni che riguardano la parità dei diritti, quanto su alcuni aspetti psicologici che di tali rivendicazioni costituiscono il supporto indispensabile. Credo infatti che ciò di cui le donne hanno ancora bisogno sia la consapevolezza delle proprie qualità, del proprio valore e del loro compito nella società civile. E mi vengono alla mente le parole pronunciate diversi anni fa dallo psicobiologo David Riesman: «Mi dispiace dirlo, ma alla nostra cultura manca il cemento sociale che una volta era fornito dalla femminilità. Colpa del predominio del modello maschile… a cui la donna cerca di aderire».

Ben vengano dunque ulteriori conquiste sul piano pubblico, che non escludano però la riscoperta di una femminilità che si realizzi nella tendenza alla solidarietà, alla cura, all’ascolto e forse anche in un rapporto con il potere diverso da quello ormai logoro e corrotto al quale siamo abituati. Tutte le più recenti ricerche psicobiologiche ci dicono che le autentiche differenze di genere non consistono in un divario intellettivo o in differenti attitudini, ma piuttosto nel modo diverso che uomini e donne hanno di leggere la realtà che li circonda, nel disuguale interesse che gli uni e le altre pongono negli affetti e nelle realizzazioni personali.


Anche il modo di gestire il potere è diverso, dato che le donne impegnate in compiti di responsabilità risultano particolarmente attente ai rapporti interpersonali e al lavoro di squadra più che al raggiungimento di prestigio e di benefici economici.

Ciò non implica affatto una separazione o una conflittualità con il genere maschile, anzi si tratterà di trovare insieme nuove regole per una convivenza civile e armoniosa in cui l’una e l’altra metà del cielo possano realizzare appieno la propria personalità.

Qualche riflessione va riservata alle donne che si avviano alla fine della vita. Anche loro hanno ancora qualcosa di importante da dire, soprattutto se riescono a non sentirsi escluse da un processo di rinnovamento che investa sia la loro vita personale che quella della società. Anzi, riflettendo sulle loro esperienze, sulle sofferenze passate, sui traguardi raggiunti, potranno forse aiutare figlie e nipoti in questo entusiasmante processo di crescita.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017