LE VERE ATTESE

La speranza è che dall’esperienza del Giubileo venga una crescita dei cristiani romani e un contributo a una cultura della solidarietà per la rinascita civile della capitale.
03 Marzo 1999 | di

Roma nel 2000 vivrà  un'esperienza eccezionale. Il Giubileo si innesta su una città  inserita nel quadro economico europeo. Le grandi città  europee sono destinate a segnare il destino dell'Unione: sono «città -rete» con una grande capacità  di connessioni internazionali di carattere economico, finanziario e culturale: Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles... Ma Parigi, Londra, Vienna, Bruxelles e pure Atene e Lisbona sono alla testa del reddito pro capite del proprio paese. Non così Roma, che ha perso posizione nel corso degli anni Novanta tra le province italiane. Roma si presenta al prossimo futuro con prospettive non rassicuranti, anche perché le funzioni statali, inevitabilmente ridotte, non garantiscono più lavoro. Si registra la stagnazione dei settori economici tradizionali della città . Il tasso di disoccupazione ha subìto un ulteriore peggioramento e gli iscritti alle liste di collocamento sono superiori di quattro punti alla media nazionale.

Sull'Anno Santo sono state proiettate molte attese di rinascita della città , che credo non troveranno rispondenza ma delusione. Il culto dell'evento provvidenziale, risolutore dei problemi civili si ritrova nell'enfatizzazione del 2000. Nasconde però le carenze reali, strutturali, della classe dirigente, dell'imprenditoria, nasconde la debolezza di Roma nel contesto europeo. Sono aspetti da non trascurare per la vita dei romani nel prossimo decennio. Ma il Giubileo è un appuntamento unico, che mette in luce anche un carattere di Roma: essere una città -rete per i cattolici, un simbolo per l'universo cristiano, un riferimento per mondi religiosi non cristiani e per la cultura. È davvero un profilo molto singolare di città  santa. In altre città  sante come La Mecca, Gerusalemme, Benares la religione costituisce un elemento predominante: città  e santuario tendono a coincidere. Roma è una città  moderna, pluralista, ma allo stesso tempo una città  santa. Un grande studioso della pietà , don Giuseppe De Luca, spiegava perché Roma non ha avuto mai un grande santuario, se non recentemente con il Divin Amore: perché - diceva - è essa stessa città -santuario.

Ma Roma odierna è una città -santuario? La vita sociale non coincide certo con quella religiosa e con i suoi tempi. La dimensione del santuario non è affidata a quadri istituzionali confessionali o a una vita estraniata da una logica secolare, ma passa attraverso la vitalità  della Chiesa locale e il ministero del suo vescovo. È la Chiesa vivente che dà  anima alla memoria religiosa, storica e culturale. Questa è stata la storia dal 1870 e poi lungo il Novecento, quando la devozione si è fortemente spostata dai luoghi santi cittadini al vedere e ascoltare il successore di Pietro; dalla tomba di Pietro al successore. Il vescovo di Roma è divenuto attore decisivo ben più dei luoghi storici. Mezzo secolo di storia ha mostrato la volontà  dei vescovi di Roma di non essere isolati. Se Pio XII ha sentito l'angoscia di una città  che si allontanava, Giovanni XXIII e Paolo VI hanno risposto con la costruzione di una Chiesa locale, una vera diocesi. Ma non è una situazione di rendita tranquilla: la Chiesa nella città  moderna esiste se è missionaria. Per questo, negli ultimi anni, con un andamento contrario alle reti, tutte allentatesi o sfilacciate nell'ammodernamento del vivere politico o sociale, Roma ha vissuto da un punto di vista cristiano una ripresa di iniziativa. Se l'idea del santuario parla di devozione antica e immota, a Roma invece l'essere santuario è legato alla realtà  di Chiesa missionaria.

 Questi ultimi tre anni hanno preparato il Giubileo, ma anche una prospettiva oltre. Temo infatti, che per Roma l'enfatizzazione del 2000, come evento socio-economico, porterà , dopo l'evento, alla scoperta di una città  un po' nuda, un po' usurata e senza prospettiva. Dopo il 2000 Roma si scoprirà  con poco futuro.

La comunità  cristiana di Roma, con tutti i suoi limiti, ha compiuto un itinerario originale verso il 2000, non puntando sull'effimero, ma cercando di allargare la sua presenza e di approfondire la coscienza cristiana. La missione ha preparato il dopo 2000 offrendo una prospettiva sull'essere cristiani a Roma, su cui bisogna ancora lavorare per capire meglio e per realizzare di più. C'è insomma una prospettiva che guarda oltre. Ma l'evento giubilare interroga: come viverlo? I romani sono unici tra i cristiani a non farsi pellegrini. Il rischio è di essere spettatori, demandando alle strutture la funzione dell'accoglienza e della gestione. Forse c'è, però, una via per cui i romani debbono farsi pellegrini: uscire dalle identità  chiuse delle loro comunità  cristiane, talvolta troppo «autoreferenziali». Penso alla parrocchia e al suo territorio. Penso ai movimenti e al loro ambito. Penso ai religiosi... Inevitabilmente la vita urbana spinge le comunità  cristiane a essere un arcipelago nella città  attorno cui scorre veloce la vita: isole belle, attraenti, le une, un po'deserte qualche altra...

Un passo essenziale del pellegrinaggio è riscoprire Roma come orizzonte unitario. Più ci si allontana da Roma e più Roma ha significato. Lo si vede in Africa o in America latina, nello stesso mondo protestante. È la riscoperta di una città  che, grazie al ministero petrino, non ha rinunciato ad essere patria communis. Qui c'è il valore di Roma come una rete di relazioni gratuite, nel mondo contemporaneo, non dominate dalla logica dello scambio. Grazie a questo Roma è sempre stata una città  aperta allo straniero (mai - pur in un quadro difficile - è mancata una comunità  ebraica). Nel mondo, dopo il 1989, con la ripresa dei tribalismi, il valore di una patria communis in nome del Vangelo ha un significato assai concreto.

Ma c'è anche un bisogno di ri-significare alcuni luoghi della memoria di Roma. Un punto importante è stata l'acquisizione di San Giovanni in Laterano come cattedrale degli eventi della Chiesa locale. Ci sono luoghi cristiani che sono catechesi viventi: mi chiedo se la pastorale romana non debba riscoprire anche per i romani questi luoghi, facendone occasione di catechesi o di pellegrinaggio o di momento di crescita spirituale dentro la città . I luoghi cristiani devono farsi più eloquenti: attraverso essi non solo si riscoprono le radici, ma si dà  un senso più corposo alla vita religiosa. C'è da innestarsi in una dimensione storica e di santità  che fa l'identità  collettiva, arricchendo la dimensione esistenziale. Certo, questo chiede l'arricchimento di una visione ordinaria della pastorale. C'è una geografia dei luoghi da tracciare per la comunità  cristiana di Roma, da inserire nella catechesi, da far entrare nella pratica. Roma ha potenzialità  enormi, ma occorre fantasia. I luoghi cristiani del centro storico devono ritrovare una funzione perduta nel nostro secolo. Questo tessuto unico in Europa è un patrimonio che merita un investimento religioso e culturale. Anche questo è un aspetto della missione a Roma e della missione di Roma. La speranza è che da questa esperienza del Giubileo venga una crescita dei cristiani romani e forse un contributo a una cultura della solidarietà  per una rinascita civile di Roma. Al di là  di tutti i limiti, qui c'è la storia e le energie, le risorse ambientali e monumentali, perché Roma divenga una agorà , una città -agorà , nel quadro dell'Europa contemporanea e nel mondo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017