Lesbo, la porta chiusa dell'Europa
«Mi sono svegliato per l’odore di fumo. Acre. Sembrava stessero bruciando dell’immondizia. Sono uscito dalla mia tenda e ho visto le fiamme, che stavano inghiottendo tutto». La voce di Waddah è ancora trafelata, mentre riporta alla mente la notte dello scorso 19 settembre. Gli attimi concitati in cui si è scatenato un vasto incendio nell’hotspot di Moria, il centro di detenzione più tristemente noto, sull’isola di Lesbo. «C’erano persone che fuggivano da ogni parte – racconta –. Alcuni ragazzi sono rimasti ustionati alle braccia e alle gambe, nel rogo». «Scene di guerra – testimonia anche l’avvocato Ariel Ricker, fondatrice dell’organizzazione Advocates Abroad, che cerca di dare supporto legale ai migranti –. Ho visto almeno duecento persone accalcate al cancello d’ingresso, decine di bambini intossicati dalle esalazioni e uomini sanguinanti, per via di ferite profonde al capo». Un incendio doloso. Probabilmente originato da una lite tra gli stessi ospiti. L’apice di una tensione, che monta ormai da mesi.
Lesbo non è più la porta girevole d’Europa. Almeno non come lo era prima, fino a pochi mesi fa, quando diventò epicentro e simbolo di un flusso migratorio senza precedenti, alle porte d’Europa. Qui, tra la primavera del 2015 e quella del 2016, sono arrivate quasi 650 mila persone. Circa otto volte in più rispetto alla popolazione locale. A questi vanno sommati i profughi che si sono riversati sulle isole egee di Chio, Samo, Kos, Lero, Kalymnos, Agathonisi e Kastellorizo. Il totale fa un milione. Famiglie in fuga dalla martoriata Siria, soprattutto, ma anche dall’Iraq, dall’Afghanistan, dal Pakistan e dall’Africa. Donne, uomini e bambini. Oggi sono quasi 6 mila i migranti intrappolati su questi 1.600 chilometri quadrati di terra, a poche miglia dalle coste turche di Ayvalik e Dikili.
Fino allo scorso 20 marzo, quello di Moria era un semplice centro temporaneo. Poi è arrivato l’accordo in tema di immigrazione tra Unione Europea e Turchia. E l’hotspot è stato trasformato in un centro di detenzione, a tutti gli effetti. E la tensione non fa che montare.
Eppure in questa situazione esplosiva, si moltiplicano i gesti di solidarietà della popolazione di Lesbo.
Reportage completo sul Messaggero di sant'Antonio, novembre 2016, o sulla versione digitale della rivista https://messaggerosantantonio.it/it/versione-digitale .