L’essenziale è invisibile agli occhi
Un giorno un monaco santo, che guidava un gruppo di discepoli verso la perfezione, chiese a uno di loro: «Mi sai dire con esattezza quando finisce la notte e inizia il giorno?». Il discepolo, sconcertato, portò alcuni esempi diretti: «Quando distinguo un albero dall’altro, oppure le lettere di una pagina e riesco a leggere...». Ma sempre il maestro scrollava la testa, invitando a cercare altre risposte. Invano. Finché il discepolo, scoraggiato, ammise: «Non lo so, dimmelo tu». E il maestro, navigato nella Bibbia, rispose: «Quando sul volto dell’altro riesco a leggere il volto stesso di Gesù, allora la notte è finita ed è iniziato il giorno. Perché dove c’è amore, è sempre giorno. Ma se non amo, resto sempre nella notte!». Così sento il mese di febbraio, che per naturale associazione pastorale collego subito alla giornata del malato, che si celebra il giorno 11, memori delle apparizioni di Lourdes. E mi pongo spesso la domanda sul mistero delle lacrime, sul senso del dolore e della malattia. In particolare, mi sorprende sempre l’incontro con i non vedenti. È un mistero la loro storia. Ma anche un dono, perché i non vedenti sono spesso un’inattesa risorsa, capaci, nel loro dolore, di comunicarci tanti precisi messaggi di speranza.
Ho avuto la gioia, proprio nella festa della santa Famiglia, di unire in matrimonio Christian e Assunta, due giovani non vedenti. Hanno scelto una cappellina di Assisi per sposarsi, la Madonna delle Rose, a due passi dalla Basilica di Santa Maria degli Angeli. Perché, dicevano, «ad Assisi, i colori sono più belli». Il loro è stato un cammino di fede forte: si sono sentiti afferrati dalla mano del Signore, che li ha portati a superare ogni ostacolo e le molte opposizioni, a cominciare da quella delle famiglie che spesso non riescono a pensare un futuro autonomo per questi giovani. E invece, eccoli prendere il treno, arrivare a Campobasso da soli, percorrere sentieri di montagna senza mai cadere, praticare perfino la pesca subacquea. Eccoli, cioè, vivere come tutti i ragazzi di questo nostro mondo, con gli stessi sogni e le stesse lacrime d’amore. Quante ne ho asciugate di lacrime sui loro occhi spenti. Ma quante ne hanno asciugate loro a me, nel mio cuore, mentre ascoltavo la loro storia di speranza, seguendo i loro passi, fragili ma forti, sui sentieri di un’avvincente storia d’amore. Lui di Bologna, giovane ma tenace. Lei di Locri, ma insegnante di lettere in un liceo del Nord, dove ha dovuto fare i conti con i pregiudizi iniziali delle famiglie degli studenti, alla fine grate perché lei non insegna solo nozioni o verbi, ma plasma i loro cuori alle cose alte, a ideali che non si vedono ma si sentono nel cuore con la forza della testimonianza diretta. Quasi a dirci che non c’è handicap che blocchi o limiti esternamente, se nel cuore dei giovani gli ideali sono alti. Anzi, più è evidente il limite, più grande è la forza che lo supera.
Siamo tutti grati a questi sposi, perché la loro storia d’amore ci invita a non rassegnarci mai, a non giudicare mai nessuno da quello che si vede esternamente. Perché è vero quello che leggiamo nel Piccolo Principe: «L’essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che con il cuore». Ecco, credo che questo sia il messaggio di febbraio, davanti alle mille fatiche del dolore, alle impreviste sofferenze che pone ogni malattia nelle nostre case: vedere con il cuore, cioè vedere sempre oltre. Certo, anche ai due giovani sposi non mancheranno le fatiche e le trepidazioni. Ma per loro, come per tutti, la vita è sempre segnata da una parolina che ritorna: fede, che fa vedere in tutti gli avvenimenti, lieti e tristi, il dito di Dio. E allora, il volto del vicino, del compagno di banco o di lavoro, diviene il volto del Signore Gesù. Non perché lo vedi con gli occhi, ma perché lo contempli con il cuore. Cioè con gli occhi della fede. E allora sarà sempre giorno!