L’età in cui nessuno li vuole
Ci sono ragazzi di cui si occupa molto la cronaca. Sono giovani tra la minore e la maggiore età , vivono una vita ai margini. Hanno lasciato la scuola dopo aver interrotto gli studi. Appartengono a famiglie disgregate: il padre assente, la madre afflitta da disturbi psichiatrici, i fratelli accolti in varie istituzioni.
La loro è una vita in cui incompiutezza e deserti affettivi si incrociano con violenze, episodi di microcriminalità e di devianza di cui essi stessi si rendono responsabili. È allora che li incontriamo nella cronaca: quando la polizia li arresta, per aver commesso un furto o essersi resi responsabili di violenza di gruppo o aver messo a soqquadro la tranquillità del quartiere con un comportamento antisociale. Ma anche allora difficilmente sappiamo che farcene.
Li troviamo colpevoli, pensiamo abbiano bisogno di una punizione che li trattenga il più lontano possibile da luoghi in cui potremmo incontrarli. Una famiglia? E chi si tirerebbe in casa un soggetto del genere? Un gruppo di socializzazione? Ma sono troppo pochi gli animatori in grado di sostenerlo. Un lavoro? Ma questi ragazzi non danno garanzia. Un aiuto? Non meritano la nostra fiducia, non se la sono guadagnata. Un sostegno? Non è possibile investire il futuro su questi soggetti, ci deve pensare la società . Ma la società , che siamo noi - e qui si chiude il cerchio di un drammatico circolo vizioso - ,'prima' ha sfuggito il problema, 'poi' lo ha dichiarato impossibile.
La storia, una fra le tante, di un ragazzo che chiameremo Paolo, lo rende evidente.
Paolo è ben conosciuto dai servizi sociali, il suo dramma si è svolto, atto dopo atto, sotto gli occhi degli operatori di vari ambiti. Già prima che nascesse, il gruppo parrocchiale aveva avanzato i suoi dubbi che i suoi genitori potessero offrirgli garanzie di una crescita equilibrata. Ma i genitori avevano diritto di procreare.
Alla nascita Paolo non presentava problemi: era robusto e vivace. Tuttavia, dopo qualche mese non aveva più una forma ottimale. Il medico distrettuale aveva registrato, durante le visite per le vaccinazioni, una grave incuria dal punto di vista igienico-sanitario, tanto che le assistenti erano rimaste perplesse, ma, avendo già avuto modo di scontrarsi con la madre, avevano proferito sperare che, grazie alla sua forte fibra, il bambino ce l'avrebbe fatta. Certo, Paolo ce la fece e crebbe così robusto - non aveva limiti nel cibo, quando lo trovava si ingozzava - da far tirare a tutti un sospiro di sollievo.
Tutti riuscirono a tenere sotto controllo il pensiero, che pure aveva un fondamento, che però a Paolo era mancata una vera, profonda disponibilità affettiva da parte della madre. Paolo sembrava indifferente alla presenza della mamma, non la guardava neppure quando erano assieme, oppure alternava momenti in cui proprio non la badava ad altri nei quali era estremamente piagnucoloso e si tirava addosso i rimproveri e spropositati rimbrotti di lei.
Con la scuola cominciò per Paolo una nuova realtà : ben presto le maestre, attente e preparate, si accorgono che Paolo e inquieto e distratto, il suo apprendimento non procede. Interpellano i servizi specialistici; questi forniscono una insegnante di sostegno, la quale si rende conto che Paolo subisce pesanti maltrattamenti e abusi in famiglia.
Viene allontanato e affidato a una famiglia. È per lui una esperienza molto positiva, durante la quale imposta nuove relazioni affettive e può godere di un rapporto educativo finalmente impostato in forma coerente.
I danni patiti hanno, peraltro, profondamente segnato la sua personalità . Verso la maggiore età il suo grado di istruzione è ancora scadente, la sua capacità di autocontrollo è scarsa, non sempre sa trattenere i suoi impulsi, ha bisogno costantemente di qualcuno che lo sostenga; a volte si comporta come un bambino piccolo, altre, invece, è troppo irruento. Se non è controllato, si sottrae al suoi compiti e risulta in questo modo difficile avviarlo a un progetto di inserimento lavorativo.
Paolo è cittadino a pieno titolo di questa società , ma è fragile. Chi potrà aiutarlo?
I servizi che hanno cercato di dargli una mano mentre era minorenne, anche se in forma lacunosa, hanno terminato il loro compito. I servizi degli adulti hanno ancora meno da offrirgli. La società non contempla giovani che non siano più minori e non ancora in grado di esprimersi come adulti. Per chi è diventato anagraficamente adulto, non ci sono che due possibilità : o inserirsi al meglio nei modelli di autonomia consapevole - lavoro impegnato, tempo libero organizzato - , o essere inquadrati nella categoria degli 'invalidi civili', di quelli che sono etichettati per non essere in grado di sostenere le richieste di una società avanzata dal punto di vista economico.
In generale, non sono previsti - a parte piccole ma insufficienti istituzioni pilota per ragazzi maggiorenni con più problemi - dei punti di riferimento per questi giovani, spesso afflitti da consistenti disturbi della vita emotiva, depressi, con imponenti sbalzi di umore, dotati di scarsa stima di sé e costantemente attestati su posizioni di sfida e di sfiducia.
È vero, sono maggiorenni ed è loro la responsabilità giuridica della propria vita, ma la responsabilità morale e sociale della loro esistenza coinvolge tutta la società . È importante l'organizzazione di servizi che seguano questo delicato passaggio, che può durare anni, verso la vera autonomia.
Si dovrebbe trattare di servizi impegnati alla ricerca per questi ragazzi di sistemazioni ambientali e lavorative improntate, prima ancora che a criteri di controllo e di resa produttiva, a criteri di benessere e di stimolazione alla crescita emotiva, attraverso una produttività mirata prima di tutto alla realizzazione personale.