Lettere al direttore
Noi risposati vogliamo sentirci Chiesa
«Egregio direttore, sono un divorziato-risposato e vorrei porre la sua attenzione sui milioni di coppie che vivono questa intricata situazione. Premetto che parlo di persone che sono state ferite e lasciate dal partner dopo una vita d’inferno. Questo è il caso mio e di mia moglie; assieme abbiamo trovato la fede e ora cerchiamo di seguire i vari insegnamenti che abbiamo acquisito. Tuttavia: ci dicono che siamo amati come gli altri, che non ci sono differenze, che facciamo parte del corpo della Chiesa, ma in che maniera esprimono queste verità? In un’omelia, ha mai sentito accennare a una frase d’aiuto per queste coppie? Ha mai sentito un prete invitare o favorire incontri? Instaurare rapporti? Conoscere come vivono? Chiedere semplicemente come stanno? Come può la Chiesa affermare che ci ama se non sa neanche chi siamo, se non ci conosce, se non entra nella nostra vita, se non sa nulla di noi e ci evita come appestati? Non pretendo di essere nella ragione, purtroppo nella vita si sbaglia e penso che ci sono errori che si possono rimediare, mentre per altri non si può fare nulla e per diverse ragioni non si può tornare indietro; concludo col dirle che noi divorziati-risposati cerchiamo solo di essere reintegrati, confidando nell’infinita misericordia di Dio, ma anche attraverso le ordinanze e disposizioni della nostra amata Chiesa».
Lettera firmata
Grazie per la sua appassionata «richiesta di attenzione»! Sono d’accordo, potremmo avere più cura delle tante persone che vivono questa realtà. Lei chiede se, nella Chiesa, ho notato segnali di apertura e vicinanza. Non posso dire di averne visti a montagne, ma che ci siano passi avanti, questo è sicuro! Per esempio, da alcuni anni ai Santuari antoniani di Camposampiero, poco fuori Padova, si riunisce la «Fraternità dei legami spezzati», che accoglie chiunque abbia vissuto il dramma della rottura del matrimonio. E anche molte diocesi si sono o si stanno attrezzando, per creare occasioni ben curate di accompagnamento. Ora, a dare nuova luce e linfa a queste iniziative, abbiamo anche gli esiti dei recenti Sinodi dei vescovi. Nella relazione finale di quello terminato a ottobre, ai divorziati-risposati sono dedicati tre paragrafi importanti, titolati Discernimento e integrazione. Rischia di essere solo l’ennesimo pronunciamento? Non direi! L’integrazione è definita «necessaria», non è lasciata alla buona volontà. Il discernimento, caso per caso, richiede ascolto, tempo, preghiera personale, di coppia e con il sacerdote incaricato del «percorso di accompagnamento».
Siamo poi in attesa del documento post sinodale che il Papa offrirà alla Chiesa «forse prima di Pasqua», secondo quanto annunciato da Francesco nel volo di ritorno dal Messico. In quell’occasione, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha affermato: «La parola-chiave che ha usato il Sinodo – e io la riprenderò – è “integrare” nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati. (…) Integrare nella Chiesa non significa “fare la comunione”; perché io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’anno, due volte: “Ma, io voglio fare la comunione!”, come se la comunione fosse un’onorificenza. È un lavoro di integrazione… tutte le porte sono aperte». Il Papa ha anche ricordato la presenza, all’incontro messicano, di «una coppia di risposati in seconda unione, integrati nella pastorale della Chiesa. (…) E questi due erano felici! E hanno usato un’espressione molto bella: “Noi non facciamo la comunione eucaristica, ma facciamo comunione nella visita all’ospedale, in questo servizio, in quello…”. La loro integrazione è rimasta lì. Se c’è qualcosa di più, il Signore lo dirà a loro, ma… è un cammino, è una strada».
QUARESIMA AL SANTO 2016
Nei martedì di Quaresima, alle ore 20.45, la Sala dello studio teologico del Chiostro della Magnolia, nel complesso della Basilica del Santo, ospita la rassegna culturale Ama il prossimo tuo che mira a declinare il comandamento dell’amore in diverse indicazioni concrete per la vita di tutti i giorni.
Il ciclo di appuntamenti è organizzato in sinergia da Basilica del Santo, Basilica di Santa Giustina e associazione «Corsia del Santo».
Martedì 1 Custodisci il creato
Relatore: prof. Simone Morandini
Testimonianza: Karin L. Gelten, studiosa del popolo Mapuche
Modera fra Paolo Floretta ofmconv
Martedì 8 La relazione ospitale
Relatore: prof. Marco Dal Corso
Testimonianza: Tiziana Baretta, operatrice della cooperativa «Il villaggio globale»
Modera fra Gilberto Depeder ofmconv
Martedì 15 Rispetta la vita
Relatore: Prof. Leopoldo Sandonà
Testimonianza: Ubaldo Camilotti, Movimento per la vita
Modera prof.ssa Benedetta Castiglioni
Martedì 22 Meditazione pasquale sulla misericordia
Relatore: Ernesto Olivero, fondatore del Sermig (Arsenale della pace) di Torino.
Questo incontro si svolge in Basilica
Info: Ufficio informazioni Basilica del Santo
tel. 049 8225652
e-mail infobasilica@santantonio.org
Lettera del mese
Persone e ideologie
La piazza e il bene comune
La recente manifestazione romana lascia aperte alcune domande che, come cristiani, non possiamo tralasciare.
«Egregio direttore, quello che abbiamo vissuto a Roma è qualcosa di fantastico, di storico. In pochissimi giorni un popolo senza mezzi né sponsor, senza istituzioni a sostenerlo (sindacati, partiti...), autofinanziatosi e mobilitandosi a proprie spese, si è messo in movimento per un pericolo incombente che minaccia la famiglia, in particolare i bambini. Questo non era mai accaduto in Italia. Come non ricordare le parole di Giovanni Paolo II: “Ci alzeremo in piedi ogni qualvolta la vita è minacciata”. Il 30 gennaio queste parole sono diventate realtà. Quello che sembrava una cosa remota, improbabile, è accaduta. E come non commuoversi davanti a questo popolo che con grande sacrificio e fermezza ha fatto ore di viaggio in pullman, treno, traghetto, da ogni parte d’Italia, con al seguito anche bambini e anziani. Sul nostro pullman c’era anche una persona non vedente che ha voluto venire con noi. Grazie, caro amico, per la tua testimonianza! Questo è il popolo del Family Day. Nulla sarà più come prima. Perché questo popolo ha dato un esempio e una speranza a tutta la nazione».
Lettera firmata
Sono figlio di un tempo che aveva visto, seppur tra molte degenerazioni e talvolta aberrazioni, una grande mobilitazione sociale e un incredibile coinvolgimento della gente: ci si sentiva corresponsabili di ciò che accadeva non solo sotto casa ma magari, per esempio, in Vietnam o in Irlanda del Nord, ci si appuntava sul bavero della giacca la spilla del sindacato polacco di Solidarnos´c´. Lo ripeto, non tutto fu buono né nelle premesse né nello svolgimento, ma sicuramente il resto era indizio di una società civile e religiosa che partecipava attivamente e responsabilmente alla sua storia. Abbiamo tutti memoria di scioperi o manifestazioni, come quella, appunto, del Family Day di cui ci ha raccontato l’amico lettore, ma anche, per esempio, del lungo sciopero dei minatori inglesi al tempo di Margaret Thatcher, dove uomini e donne, pagando di persona in tutti i sensi, hanno lottato per la propria dignità, i propri diritti e, qualche volta, anche solo per la propria sopravvivenza. Questa è democrazia, quando ci si preoccupa del «bene comune», da soli, assieme, scendendo in piazza o andando a votare con consapevolezza.
Qualche domanda, però, mi rimane… L’allargamento di diritti e doveri a tutti, soprattutto là dove vi sono potenziali situazioni di fragilità o rischio per i più deboli (prima di tutti bambini e ragazzi!), non è un bene in sé? Deve essere per forza vissuto come «a scapito» di qualcun altro? La famiglia non avrebbe diritto di scendere in piazza prima di tutto per tutelare se stessa e chiedere con forza a chi di dovere autentiche ed efficaci politiche familiari? Ma una di queste famiglie non dovrebbe essere ugualmente preoccupata della tutela di una mamma che viva da sola con il figlio? Non dovrebbero per prime essere le donne, tutte le donne, a sentirsi offese da «uteri in affitto», fecondazione eterologa e simili? Non dovremmo, noi adulti, smettere di sentirci adolescentemente onnipotenti, come se tutti i nostri desideri, solo perché tali, diventassero automaticamente anche diritti sancibili?
E poi, chi ci governa non ha forse il dovere di prendere decisioni anche impopolari, cioè dettate non semplicemente dagli umori della piazza, qualsiasi essa sia, ma dall’impegno di preoccuparsi davvero del bene di tutti i cittadini? Ascoltando tutti, analizzando, discernendo con sapienza, ma infine decidendo. Anche usando il linguaggio per quello che le parole affermano e intendono, senza pasticciare: un matrimonio è un matrimonio, un’unione civile non è peggio o meglio, è un’altra cosa, e cioè un’unione civile. Dal punto di vista dello Stato dovrebbero essere due realtà ben distinte ma entrambe, e ciascuna secondo la propria specificità, tutelate. Perché sono in gioco persone, ancora prima che ideologie. «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 19-21).
Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org