Lettere al direttore
L’altra metà del cielo
«Caro direttore, sono un antichissimo e fedelissimo abbonato da più di cinquant’anni. Mi ferisce il cuore ogni volta constatare che, nonostante le numerose iniziative e campagne di sensibilizzazione in materia di violenza sulle donne, il triste fenomeno fa registrare sempre più casi. Una donna su tre, in età compresa tra i 16 e i 70 anni, è vittima di violenza fisica, sessuale e psicologica. Per non parlare dei femminicidi che, legge a parte, continuano a mietere vittime innocenti: 96 donne uccise da gennaio 2015 ad oggi. Senza contare che circa il 90 per cento delle donne non ha il coraggio di denunciare per paura di ritorsioni. Per me è un fallimento delle istituzioni. Vorrei ricordare che i diritti della donna, oggi barbaramente conculcati,vanno sempre e comunque salvaguardati. La donna, immagine preziosa nella vita dell’uomo, merita rispetto, amore e poeticità. Solo così possiamo definirci persone civili e democratiche. Mao Tze-tung usava definire la donna “l’altra metà del cielo”. Mi rendo conto che si tratta di cultura, educazione e consapevolezza».
Lettera firmata
Caro lettore, grazie per la sua fedeltà. E grazie per le parole dedicate a quell’«altra metà del cielo» di cui non potremmo, davvero, fare a meno. Perché le donne danno la vita e la danno per sempre. Diventano madri quando attendono il loro bimbo, e lo rimangono sino alla fine dei loro giorni. Capaci di ascoltare e di capire, sempre. Ma prima che madri, mogli, sorelle, nonne e amiche, ricordiamoci che sono donne. Ed è un loro diritto, oltre che ascoltare e capire, lasciare un’impronta in questo mondo. Purtroppo, su quest’ultimo aspetto non tutti sono d’accordo. La cronaca, infatti, è piena di casi di femminicidio. Ancor di più sono le violenze che hanno come perimetro, spesso impenetrabile, le mura di casa. Violenze che spesso non vengono denunciate ma tenute dentro e sopportate in silenzio perché si temono ritorsioni su di sé o su altre persone, a cominciare dai figli. Ma anche il luogo di lavoro non è immune da forme di violenza contro le donne. E la prima violenza in questo caso è la non tutela del diritto alla maternità. Anche papa Francesco ha ritenuto di esprimersi a riguardo. «Quante volte abbiamo sentito di una donna che va dal capo e dice: “Mah, devo dirle che sono incinta”. “Da fine del mese non lavori più” è spesso la risposta – ha detto il Pontefice parlando in udienza all’Ucid, l’Unione cristiana imprenditori dirigenti –. La donna dev’essere custodita, aiutata in questo doppio lavoro: il diritto di lavorare e il diritto della maternità».
La festa della donna, il prossimo 8 marzo, sia allora un momento per ribadire ancora una volta il nostro impegno contro tutte le violenze nei confronti delle donne. E per dire loro, in concreto, il nostro grazie. Bastano uno sguardo, un sorriso, un abbraccio. Perché ognuno possa davvero far sentire qualsiasi donna gli stia accanto e in qualsiasi contesto si trovi, realmente l’altra metà del cielo.
8 MAGGIO, LA FESTA DEL «MERA»
Nel 2013 ha festeggiato i 50 anni di vita, ora è il tempo di un’altra ricorrenza: il «Messaggero dei ragazzi», la testata del gruppo «Messaggero di sant’Antonio» rivolta ai preadolescenti, a maggio arriverà a pubblicare il suo primo numero a quattro cifre, il numero 1000.
Per l’occasione, è stata organizzata una serie di iniziative all’insegna dello slogan «MeraMille», tra cui un’uscita speciale e vari incontri. In particolare, l’8 maggio sarà una domenica di festa dedicata a tutti i lettori nuovi e vecchi del Mera e alle loro famiglie. Si inizierà con la Santa Messa in Basilica alle ore 14.30, per poi trasferirsi nei chiostri per un momento di ritrovo e rinfresco. Qui il Mera metterà in mostra i suoi tesori: le tavole originali di fumetti famosi e le annate della rivista, alla presenza di chi ci lavora e ci ha lavorato, disegnatori, giornalisti, fumettisti, frati... La conclusione è prevista per le ore 17.30. La giornata avrà una sua anteprima sabato 7 maggio alle ore 21, con una visita privata notturna della Basilica del Santo.
Info: e-mail redazione@meraweb.it
Lettera del mese
Religioni a confronto
Verità oltre l’assoluto
Dio è sempre più grande e inafferrabile del «mio» Dio, di quello che io, nella mia povertà e piccolezza, riesco a concepire o con il quale costruisco una relazione di fede.
«Egregio direttore, una cosa è il rispetto per le altre religioni, un’altra la commistione tra fedi. Nella puntata del 12 settembre 2015 di A sua immagine il don attuale titolare del commento al Vangelo si è recato presso un centro di accoglienza-integrazione di immigrati e, bypassando il significato della pagina evangelica corrente, si è complimentato con l’uditorio per il fatto che cristiani e musulmani colà pregano assieme. Mi è preso un crampo allo stomaco nel constatare che un ministro di Chiesa mettesse sullo stesso piano Gesù e Maometto. Ma stiamo scherzando? Se questa non è eresia, l’eresia che cos’è? Io penso che presto Gesù si farà sentire e tirerà le orecchie ai preti eretici, ricordando loro che ha dato il comandamento di convertire e non di fare comunella con altre religioni, ben sapendo che nelle altre non c’è niente. Gradirei un commento franco. Grazie».
Lettera firmata
Magari fosse facile rispondere a queste domande! Trovo invece che l’etimologia della parola «eresia» abbia a che fare con scegliere, separare, quindi neppure tanto con la verità o meno: per controbattere l’assolutizzazione del pezzetto di verità che altri ritengono di possedere, assolutizzo a mia volta la mia posizione, facendone di fatto un motivo per la separazione e la distanza. È come se la verità fosse un «oggetto» che o posseggo io o è nelle mani di qualcun altro, senza che si possano dare altre opzioni.
Mi viene in mente pure ciò che san Francesco d’Assisi indicava ai suoi frati, perciò anche al suo discepolo sant’Antonio, circa la «perfetta obbedienza»: che è tale quando, pur disobbedendo per giusti motivi, ciononostante il frate «sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli» (Ammonizione 3).
E se la verità fosse piuttosto relazione, e non sostanza che può essere oggetto di appropriazione? Il Dio di Gesù Cristo non è sempre il Dio che si fa compagno misterioso di strada di due (il viaggio della fede non è mai solitario del tutto) uomini in cammino? E non li aiuta a purificare la loro stessa visione di Dio? Tutta la tradizione spirituale cristiana mi ha insegnato che Dio è sempre più grande e inafferrabile del «mio» Dio, di quello che io, nella mia povertà e piccolezza, riesco a concepire o con il quale riesco a costruire una relazione di fede: in ciò non mi sembra di relativizzare né confondere nulla.
Sono felice e fermamente convinto di essere cristiano, ma penso che l’invito di Gesù alla conversione riguardi non solo gli infedeli di vario tipo, che dovrebbero «convertirsi alla Chiesa cattolica», ma anche il sottoscritto. Perché non è banalmente operazione di proselitismo per portare qualcuno tra le file della nostra «tifoseria», convincendolo in tutti i modi che la nostra squadra del cuore è quella più forte. È altresì invito per tutti a tornare a Dio, l’unico Dio, il padre di ogni uomo e donna. È convertire la propria vita, per passare dal peccato al bene, affinché il Regno di Dio, che è regno di pace e di amore, possa già avvenire su questa terra, in attesa che avvenga del tutto e compiutamente nel «dopo» che aspetta ognuno di noi e tutta la creazione al completo alla fine dei tempi.
Gesù e Maometto non sono sullo stesso piano, perché cristiani e musulmani danno a loro significati molto diversi (e sicuramente i secondi di per sé non «pregano» Maometto ma Allah). Ma come la mettiamo con Dio?
Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org