Lettere al direttore

02 Gennaio 2002 | di

 C`€™è ancora un`€™identità  cristiana?

«A proposito di integrazione non riesco a capire se devono essere gli immigrati a integrarsi con noi o noi con loro. Prendiamo ad esempio quelli di religione musulmana: pare che pretendano la nostra integrazione nella loro cultura e nella loro religione. E così le donne pretendono di applicare sul documento di identità  la foto col viso coperto. Qualcuno che, tra le varie bestemmie verso il Cristo pronunciate alla nostra Rai tv (tra l`€™altro senza che alcuno si sia permesso di contestarlo) aspira a costruire, in Vaticano, una moschea più alta della basilica di San Pietro... Questo si può accettare perché è il loro pensiero. ma quando poi ci sono degli imbecilli nostrani che per non urtare la loro suscettibilità  si permettono di togliere dalle aule scolastiche o trasformano il nostro Natale da festa della Natività  in «festa della gioia interculturale» si arriva al colmo... Non è il caso di smetterla con questo nostro imbelle buonismo? Se non si pone fine alla invasione di questa gente arriverà  il giorno che col loro numero e la loro prolificità  noi italiani diventeremo minoranza e la nostra Italia farà  la fine del Kosovo: quest`€™ultima terra in origine slava diventata, poi, con l`€™immigrazione e la prolificità  degli albanesi che tutti sappiamo. Non è forse questo anche il pensiero del cardinale Biffi?»

Fernando R. - Verona

La sua lettera, una delle tante ricevute che confessano perplessità  e paura di fronte a presenze nuove, a volte ingombranti e problematiche, che certamente non eravamo preparati ad accogliere, offre lo spunto per alcune riflessioni. Provocatorie ma non inutili. Che vuol dire integrazione? Il vocabolario «Devoto-Oli» la definisce «l`€™incorporazione di una certa entità  etnica in una società , con l`€™esclusione di qualsiasi discriminazione razziale». È chiaro che a integrarsi nella nostra società  deve essere l`€™immigrato, ma non in una logica di sopraffazione ma di rispetto reciproco. Se dall`€™una o dall`€™altra parte manca il rispetto, non c`€™è integrazione, ci sono conflitto e discriminazione, i quali rischiano di avvelenare anche la legittima difesa della propria identità .

Lei teme che a causa del «nostro imbelle buonismo» e della loro prolificità , i musulmani finiscano con il cancellare la nostra identità  cristiana. A dire il vero, ci pare che gli italiani da tempo abbiano rinunciato alla loro identità  cristiana. E non a causa degli immigrati. Divorzio, aborto, chiese vuote, morale «fai-da-te», scarsa voglia di far figli (spesso per egoismo), una visione della vita tutta materialità  e piacere, oscenità  varie che traboccano da ogni parte hanno cancellato dalla vita di tanti, e nella società , il messaggio del Vangelo. Lo stesso Natale non è più da tempo per molti memoria della nascita del Figlio di Dio nella povertà  e nel silenzio di una grotta, ma consumismo, cenoni, chiasso, Babbi Natale vestiti di rosso dalla Coca Cola... Ecco perché saltano poi fuori quelli che lei definisce «imbecilli» a togliere i crocifissi nelle scuole, a voler cambiare il Natale in festa della gioia eccetera.

Ma allora più che dall`€™«invasione» dei musulmani, la nostra identità  cristiana la dobbiamo difendere da noi stessi, dai nostri compromessi, dalle nostre viltà . Dobbiamo recuperare con umiltà , con coraggio e determinazione il nostro essere cristiani, per poi sostenerlo con la testimonianza di una vita coerente in ogni occasione, privata e pubblica. Forse anche questo voleva il cardinale Biffi.

 

La globalizzazione che mi piace

«Caro direttore, è meglio affidarsi alla ragione o lasciarsi guidare dai sentimenti? Questo è un dilemma che spesse volte nella quotidianità  ci troviamo ad affrontare. Personalmente, circa un anno fa, decisi di risolvere una volta per tutte la questione. Relegai la ragione in qualche angolo remoto del mio Io e, posto il cuore al timone della mia vita. Partii per un viaggio alla scoperta di me stesso. E fu la svolta! Dopo circa un mese, nell`€™ottobre dello scorso anno, un irrefrenabile desiderio di paternità  `€“ comprensibile in un single alle soglie della cinquantina `€“ mi portò a contattare la sede veneziana di `€œCare & Share`€, e dopo un po`€™ potei adottare il piccolo Raja, un bambino indiano di undici anni. Fin da subito tra di noi si instaurò un buon rapporto. Le sue simpatiche letterine `€“ sempre scritte in inglese ordinato e sorprendentemente buono `€“ esprimevano amore e gioia per aver trovato un papà  che vive sì lontano, ma che potrà  garantirgli la sicurezza dello studio, una gioventù il più possibile serena ed un futuro meno incerto.

«Alla fine di aprile ricevetti una lettera da Venezia, era la responsabile dell`€™associazioni a scrivermi, appena tornata dall`€™India. Laggiù le cose non vanno molto bene. Il `€œprogetto latte`€ langue, stenta a decollare. Qualche centinaio di neonati dei quartieri poveri, o `€œghetti`€, come li chiama lei, della città  di Vijayawada, non ricevono latte a sufficienza e sono in imminente pericolo di vita. Occorre agire, ed in fretta, ma come? Ancora una volta mi lascio guidare dal cuore e decido, da subito, di tagliare le spese del bar! Sì perché, sino ad allora io ero solito spendere molto in consumazioni al bar, almeno trecentomila lire al mese.

«Dall`€™inizio dello scorso maggio, quei soldi non confluiscono più nelle casse dei bar, ma prendono ogni settimana la strada dell`€™India e per quei neonati c`€™è un bicchiere di latte in più e la speranza di potercela fare. Il fatto che io dal maggio scorso diserti i bar, non significa che abbia rinunciato a fare colazione. Ascoltando ancora una volta il cuore ebbi una nuova intuizione: sostituire i normali cappuccino e brioche con una buona tazza di cacao del Ghana, prodotto da una cooperativa di braccianti agricoli, in massima parte donne. È squisito, facile da preparare, i bambini ne impazzirebbero. È un prodotto del mercato equo e solidale, che si può acquistare in negozi dove si possono trovare anche caffè, tè, miele, riso, ugualmente provenienti da cooperative di contadini.

«Sono prodotti anonimi, i cui nomi non verranno mai pronunciati nelle pubblicità  televisive, ma comprandoli si favorisce lo sviluppo di quelle genti che sudano tutto il giorno sui campi.

«Ecco, questa è la globalizzazione che piace a me, quella della solidarietà  e dell`€™amore. Pensate! Con un semplice gesto è possibile supportare due realtà  tra loro così diverse e lontane: da una parte i neonati del ghetto di Vijayawada, in India, e dall`€™altra le braccianti agricole produttrici di cacao del Ghana. Tagliando le spese del bar io ho risolto la mia equazione. E come me potreste fare anche voi, in allegria, o quasi, e comunque con serenità , quella serenità  che io ho ritrovato da quando vado dove mi porta il cuore».

Franco - Padova

Un esempio da imitare. Le occasioni non mancano.

 

L`€™uomo è davvero immagine di Dio?

«Viste le tante atrocità  che l`€™uomo ha commesso e ancora commette, mi domando se davvero egli è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Ma se Dio è onnisciente, sapeva che si sarebbe comportato così...».

Angelica P.

Il problema del male che dilaga sulla terra e della prescienza di Dio è davvero un grave problema che la fede dei credenti, ebrei e cristiani in particolare, non ha mai finito di affrontare. La Bibbia stessa ce ne offre preziose testimonianze. Noi non vogliamo qui tagliare la testa al toro, come si usa dire. Ci sembra però di poter affermare almeno questo. Se si dice che l`€™uomo è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio, la cosa va riferita a quel mirabile essere che è al vertice della creazione, che noi chiamiamo uomo. Intendiamo l`€™essere umano dotato `€“ come Dio `€“ di intelligenza e volontà , con tutta quella capacità  di amare che spesso stupisce il mondo.

Si noti però il detto biblico: «Dio creò l`€™uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27). A quanto pare, qui la somiglianza con Dio è nella coppia. Noi cristiani diciamo allora che come nella santa Trinità  il Padre ama il Figlio nello Spirito Santo, così nell`€™unione dell`€™uomo e della donna `€“ ossia nel matrimonio `€“ l`€™uomo ama la donna e dà  origine alla vita. Che somiglianza più grande con Dio si può immaginare?

Altra cosa invece è il comportamento umano, ossia il modo come l`€™uomo usa i doni ricevuti nascendo. Qui certo si rimane sconcertati. Le notizie di questi mesi, insieme ai ricordi delle storie passate, ci fanno riflettere e ci scandalizzano. Un giorno, ne siamo certi, ci sarà  svelato il mistero, se è vero quanto dice la Scrittura: «Non c`€™è nulla di nascosto che non sarà  svelato». Ma con sant`€™Agostino possiamo fin d`€™ora affermare: «Anziché creare un mondo senza la possibilità  del male (ossia senza libertà ), Dio ha preferito cavare il bene anche dal male».

Ma vorrei chiudere questa risposta con una frase evangelica, che Gesù attribuisce alla sua stessa persona (e che noi possiamo allargare alla situazione del mondo intero): «Beati coloro che non si saranno scandalizzati di me!».

 

Verso Santiago, un cammino dell`€™anima

«Caro direttore, voglio condividere con lei e con i lettori l`€™esperienza delle vacanze. Ho scelto di vivere le vacanze lungo il `€œCamino di Santiago de Compostela`€. Un seme che mi ha nutrito per circa un anno. Perché Santiago? In quanto sento forte la ricerca dell`€™anima verso l`€™autenticità  e l`€™essenzialità , perché il `€œcamino`€ è uno dei pochi posti al mondo che consente di fare un`€™esperienza di comunione...

«Chi siamo è davvero il tesoro da scoprire, da dissotterrare e vivere. Mi entusiasmò l`€™idea, l`€™immagine di muovermi con i miei piedi, le mie gambe, il mio corpo per così tanto spazio (circa 800 km). Prima e durante il `€œcamino`€ mi ha guidato la profonda fiducia nella vita (vuoi chiamarla provvidenza), che mi ha donato chi e cosa di cui avevo bisogno e ha consentito di donarmi a chi e a cosa ne aveva bisogno.

«L`€™incontro con Daniela, divenuta straordinaria compagna di cammino, successivamente di Giacomo e poi Antonietta. Noi italiani abbiamo dimenticato il valore del camminare. Il camminare come stimolo e forma del pensare; la velocità , il ritmo della mente. Le velocità  proposte la vedono sempre più distanziata, lontana. Quale tappa straordinaria rappresentano i primi passi di un bambino!

«I miei occhi e la mia mente conserveranno per sempre la relazione vissuta e le forti emozioni suscitate dalla natura. Quali spettacoli! Quanto stiamo perdendo dell`€™insegnamento della natura. È necessario lo sforzo del silenzio, dell`€™ascolto e dello stupore. Sentivo davvero d`€™esserci, nel corpo e nell`€™anima. La passione mi è sempre stata compagna. Certo ho vissuto momenti in cui mi sono sentito privo di fiducia nella natura e in me stesso, momenti recuperati con l`€™incontro/confronto con i compagni. Quale gioia il giorno dell`€™arrivo a Santiago: la meta per molto tempo nutrita dentro. E la sera dinanzi alla basilica, distesi: per te, per questo sogno mi sono messo in cammino. La fatica, scelta, vissuta con passione diventa generatrice di nuovi orizzonti per l`€™anima».

Amedeo - Padova

Una testimonianza estiva che ci sospinge nel «cammino» di un anno appena avviato. Certo, camminare è bello: tonifica, aiuta a pensare, a riflettere. Fatto in compagnia, crea legami, unisce... Se poi il cammino ha una certa intenzione, è diretto verso certi luoghi, allora si fanno tutte quelle scoperte (e molte di più) che lei ci ha comunicato con tanta gioia. Invitiamo altri a farlo, sia pure per distanze meno impegnative, ma per andare in luoghi dello spirito o come occasione per riscoprire se stessi e stare con gli altri.

 

Guerra giusta e utopia della pace

«Sono pienamente d`€™accordo  sull`€™idea di non lasciarsi prendere dall`€™odio e dalla vendetta, ma sono altrettanto convinto del dovere morale di difendere la propria vita. Mettere in ridicolo la `€œguerra giusta`€ paragonandola alla guerra santa minacciata in questi giorni  vuol dire non essere di buon senso e mettersi  in contrasto con il Catechismo della Chiesa cattolica (numeri 2263-264)».

Alfredo F. Palazzolo sull`€™Oglio, Bs 

Lei solleva un problema che vede da sempre i cristiani su opposte sponde: guerra giusta e guerra non giusta... Certo esistono i principi, ma già  nella Bibbia troviamo scene e racconti che oggi farebbero rizzare i capelli a tanti. C'è la storia delle crociate (crociate in Palestina e crociate contro gli eretici) che partivano con la benedizione di Papi e di santi. Ci sono le guerre di religione. C'è, insomma, un armamentario dal quale si ricava che la storia degli uomini e dei popoli è molto tribolata, e che nella Chiesa c'è stato (e c'è) un cammino che porta a parlare sempre più di pace anziché di guerra.

Forse non è questione di condannare gli americani o il governo italiano o europeo per via delle guerra in Afghanistan (o in Irak), ma c'è l'urgenza di richiamare gli uomini a metodi di pace e non di guerra. Per questo si alzano di frequente forti voci profetiche che indicano rotte nuove rispetto al passato. Voci che fanno breccia nei cuori. Il Vaticano II tentò di far sue tali voci. senza tuttavia raggiungere un consenso totale. Eppure oggi forse non si troverebbe nessuno che plaude al gesto del card. Spellman che andò in Estremo Oriente a benedire i soldati americani come per incoraggiarli a continuare la loro opera di difesa della civiltà .

Di conseguenza, salvi i principi che lei stesso cita e i riferimenti ai Padri, possiamo allinearci con il Papa attuale che anche nella situazione odierna parla di pace. È noto il detto di Pio XII, che già  al suo tempo affermava: «Con la guerra tutto è perduto...».

Mi viene proprio da pensare che al di là  delle logiche politiche si muova tutto un filone di pensiero (dall'obiezione di coscienza al metodo della non-violenza, ecc.) che assomiglia a tutto quel filone profetico della bibbia (Antico Testamento) che ha richiamato il popolo d'Israele alla fedeltà  al Dio unico e alla Legge del Signore. Tutto ciò mette in crisi le nostre categorie legate alla tradizione dei secoli passati? - Ben venga anche la crisi se è destinata ad affinare sempre più i nostri animi.

 

Verità  e reticenze su lager e foibe

«Esaminiamo l`€™eccellente dizionario italiano di De Mauro, ed. 2000, che appare un ottimo campione rappresentativo della maggioranza dei nostri vocabolari. Il lager viene definito correttamente `€œcampo di concentramento o di sterminio, spec. con riferimento a quelli della Germania nazista`€. Mentre al gulag viene attribuito il significato riduttivo di `€œcampo di lavoro forzato`€. Alla voce `€œinfoibare`€ è scritto: «gettare una persona viva o un cadavere in una foiba carsica, spec. con riferimento agli eccidi perpetrati al termine della seconda guerra mondiale`€. Così si omette d`€™indicare che gl`€™infoibati furono italiani, vittime dirette di infoibatori comunisti. Qualche lettore si domanda se tali definizioni (e analoghe, presenti in altri dizionari) corrispondano a verità  tout court, a reticenza o a `€œprava`€ (verità  sovietica). In generale, in molti media (fra cui la televisione), vengono esaurientemente e ripetutamente descritti alcuni massacri (quelli perpetrati da nazisti); sono poco trattati altri stermini (quelli compiuti da comunisti), spesso omettendo d`€™indicarne gli esecutori. Tali reticenze appaiono tendenziali effetti del sedicente progressismo, del conformismo e del politically correct».

Gianfranco Nibale - Padova

Ogni vincitore cerca di nascondere negli armadi i propri scheletri. E fa male. Fa un torto alla verità  e alla giustizia. Gli infoibati del Carso, i morti nei gulag sono vittime della violenza e della ferocia di un`€™umanità  impazzita, sia che risponda ai deliranti disegni del nazismo o a quelli di uguale segno del comunismo. Bisognerà  ricordarlo sempre. Perché c`€™è stato anche chi, in vena di revisionismo, ha tentato di negare la Shoah, lo sterminio degli ebrei.

 

Non riesco a confessarmi

«Da qualche anno non mi confesso da un sacerdote; l`€™ultima volta è stato a Pasqua `€™99 e prima di allora forse quando ho fatto la cresima. Sono una donna come tante, una vita normale; frequento la chiesa tutte le domeniche ma non faccio mai la comunione. Ho iniziato la mia conversione nel `€™98, quando ho conosciuto un uomo separato e anche se la storia non ha avuto un risvolto positivo, mi ha aiutato a ritrovare il Signore. Sono una persona abbastanza riservata, disponibile all`€™ascolto ma restia a parlare dei miei fatti privati; tant`€™è che più volte mi sono recata presso un confessionale, ma ho sempre desistito».

Miriam - Napoli

Come superare il blocco interiore che le impedisce di aprire il cuore al confessore? Esso sembra dettato non tanto dal peso delle azioni sbagliate da lei commesse quanto alla riservatezza del suo carattere. Infatti lei vuole accostarsi al sacramento, ma non trova la forza per compiere questo gesto.

«Da Dio viene il potere e il volere», ci ricorda l`€™antica tradizione della Chiesa. E allora è necessario pregare con costanza per vincere questo ostacolo interiore. Chieda al Signore questa grazia speciale e allo stesso tempo ricerchi il momento e il luogo favorevoli. Perché non pensare a un pellegrinaggio a un santuario o a un luogo particolare (come Assisi o Padova)? Non si arrenda e non abbia timore: se recentemente ha riscoperto la presenza del Signore nella sua vita, abbia anche la certezza che Dio porterà  a compimento in lei quello che egli ha iniziato. Il mio augurio è che questa scoperta penetri profondamente nel suo cuore e che, attraverso l`€™umile confessione dei suoi peccati, giunga ad assaporare la gioia del perdono e la possibilità  di ricevere il corpo del Signore. Il resto verrà  da sé. Coraggio!

 

FEDE E VITA di Claudio Mina

Si può scegliere il buio, dopo aver visto la luce?

«Qualche giorno fa, decidendomi a fare ordine in cantina, ho fatto una scoperta che da un lato mi ha dato gioia, ma dall`€™altro mi ha molto rattristata. Ho trovato il diario tenuto da una mia amica con cui abbiamo convissuto per tre anni in un piccolo appartamento, durante l`€™università .

Quelle pagine descrivevano il grande dono con cui Dio aveva rivoluzionato l`€™animo di ambedue, durante un corso di esercizi spirituali che avevamo fatto insieme. Entrambe avevamo provato gli stessi sentimenti d`€™amore verso Dio e ce li comunicavamo. E adesso li andavo ritrovando freschi e luminosi nelle pagine di quel diario. Fu un periodo tanto bello in cui ci aiutavamo a non perdere mai di vista Dio, in particolare facendo insieme la meditazione quotidiana. Poi però (e mi sembra incredibile) quel rapporto andò spegnendosi: non da parte mia, ma da parte sua.

La causa del suo inaridimento fu per me da subito evidente: venne catturata dalla passione per la professione. Si iscrisse infatti a vari corsi di elaboratrice di computer. Era entusiasta di questa materia; passava ore sui suoi apparecchi; faceva venire in casa amici con cui aiutarsi. Per qualche tempo continuò nella meditazione, ma poi la smise e il dialogo spirituale tra noi cessò; finché, trovato un buon posto, mise su casa da sola. Ora mi chiedo: come si può dire di no a Dio in piena luce, cioè dopo aver sperimentato di persona il suo amore?».

Adriana

La nostra vita terrena non ha il suo fine ultimo in se stessa: sarebbe una cosa ben triste e senza senso se la nostra esistenza fosse tutta racchiusa tra una culla e una tomba. Ben altro è il destino dell`€™uomo.

Dio, che ci ha voluti e creati come figli prediletti, ci ama come ciascuno di noi fosse l`€™«unico» per lui. Egli `€“ come disse santa Caterina `€“ «è innamorato» di ogni uomo, cosicché «solo chi è stato innamorato qualche volta può capire profondamente l`€™amore divino» (Cardenal).

Anche il nostro animo, nato da Dio, aspira a lui come al suo tutto, benché questo anelito sia troppo spesso sepolto sotto le stratificazioni degli interessi che una cultura materialistica inculca in noi fin dall`€™infanzia. Ma Dio non si arrende e continuamente «sta alla porta del nostro cuore e bussa; e se ascoltiamo la sua voce e gli apriamo, egli entra e cena con noi», iniziando un rapporto di saziante e amichevole familiarità . E la nostra vita si illumina, perché amare Dio significa sentirsi in due, sentire la presenza di qualcuno che ci desidera, che ci è vicino e che ci sorride.

Molti `€“ dice la pastorale `€“ sono coloro che hanno sperimentato nel passato la chiamata per una vita profonda con Dio, che hanno avuto una intensa attrazione per lui. Ma purtroppo Gesù deve riconoscere che «molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti»; molti infatti accolgono con gioia il seme di una vita nuova che lo Spirito getta nel loro animo ma `€“ come spiega il Vangelo `€“ la pianticella che potrebbe fiorire in gioiosa bellezza viene soffocata dall`€™invadenza delle spine, cioè da quell`€™intreccio di desideri puramente terreni che rendono insensibili alla soave, ma delicata voce di Dio. Il racconto evangelico del «giovane ricco» è una viva testimonianza di come si possano rifiutare gli inviti di Dio.

Tale rifiuto, però, non di rado avviene `€“ come dice lei `€“ «in piena luce», e questo perché l`€™individuo ha il deleterio potere di «accecarsi», cioè di chiudere gli occhi sulle realtà  che gli sono scomode, allontanandosi così progressivamente da Dio senza dirselo apertamente.

Il primo sintomo dell`€™inconfessata rinuncia all`€™intimità  con il Signore è la diminuzione delle pause di raccoglimento, di preghiera e di dialogo con lui, fatte in modo affrettato e senza slancio interiore. Ma quanto meno si sta con Dio, tanto più diminuisce l`€™attrattiva per lui, finché si spegne del tutto, mentre aumenta l`€™attaccamento ai beni terreni, subentrando un`€™egoistica mediocrità  se non addirittura il cedimento al male.

Tuttavia, attraverso la franchezza di un sincero dispiacere, rimane la possibilità  di ricominciare in qualsiasi momento, perché «anche se ci fossimo allontanati da Dio di mille passi, basterebbe un solo passo verso di lui per essere da lui riaccolti con la più grande gioia».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017