Lettere al direttore
Dio, santi, miracoli e verità
«Caro direttore, parlando di miracoli si usa generalmente l’espressione “il santo ha fatto il miracolo”, ma il verbo “fare” cosa sta a significare? A me è sempre stato insegnato che il potere di compiere miracoli è solo di Dio, quindi il verbo “fare” riferito ai santi non starebbe proprio a indicare un’azione autonoma, bensì un’azione mediata d’intercessione che Dio accoglie e concede, oppure che demanda all’opera del santo. Mi rendo conto che sto pensando in termini molto terreni, ma cosa dice in proposito l’insegnamento del Magistero? Ho provato a cercare in Rete, ma per mia poca abilità non sono riuscito a trovare risposte, perciò mi sono permesso di recarle disturbo con questo quesito».
Lettera firmata
Gentile lettore, il bello dei proverbi o comunque dei detti appartenenti alla tradizione popolare sta proprio nella loro tendenza ad alleggerire e concretizzare i concetti per renderli più comprensibili. Mai dunque prenderli troppo alla lettera: proprio come una parabola, essi vanno letti e interpretati nel contesto cui si riferiscono. Nel caso specifico, l’espressione «il santo ha fatto il miracolo» sottintende molto più di quel che dichiara. Se da un lato i santi sono «strumenti» ed «esecutori materiali» di un prodigio, dall’altro l’unico vero autore di quel prodigio è sempre e solo Dio, ispirazione ed energia vitale per ogni azione umana. L’intercessore con l’aureola diviene, quindi, un messaggero a metà strada tra il Regno dei cieli e la Terra. Da un lato noi peccatori lo preghiamo perché lo sentiamo più vicino e «alla nostra portata», dall’altro siamo certi che lui trasmetterà le nostre richieste al Signore. Ecco dunque il ruolo dei santi, strumenti della volontà divina o, per dirla con le parole della Costituzione apostolica Divinus perfectionis magister, «seguaci di Cristo».
«Dio – si legge nel documento promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983 – sceglie in ogni tempo un gran numero di questi che, seguendo più da vicino l’esempio di Cristo, offrano una gloriosa testimonianza del Regno dei cieli con lo spargimento del sangue o con l’esercizio eroico delle virtù». Esseri umani in carne e ossa, dunque, ma anche esseri speciali, le cui imprese – guidate dalla mano di Dio – sfuggono spesso a una spiegazione razionale. Non a caso, per sant’Antonio (Sermoni) i miracoli – dal latino signum – sono appunto i segni che «accompagneranno coloro che hanno dato il cuore a Dio, perché già sul loro cuore c’è il segno di cui parla il Cantico dei Cantici: “Méttimi come un segno sopra il tuo cuore” (Ct 8,6)».
Ma il segno di cui parla il nostro Santo è un’impronta che spesso sfugge agli occhi distratti della moltitudine, una traccia che solo una fede salda può portare alla luce. Perché, come dice papa Francesco (Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae del 20 maggio 2013), «I miracoli ci sono. Ma serve la preghiera! Una preghiera coraggiosa, che lotta per arrivare a quel miracolo, non quelle preghiere per cortesia: Ah, io pregherò per te! Poi un Pater Noster, un’Ave Maria e mi dimentico. No! Ci vuole una preghiera coraggiosa, come quella di Abramo che lottava con il Signore per salvare la città; come quella di Mosè che pregava con le mani in alto e si stancava pregando il Signore; come quella di tanta gente che ha fede e con la fede prega».
DA TORINO A VICENZA, IL «MESSAGGERO DI SANT'ANTONI0» PRESENTA…
SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO - TORINO
VENERDI 15 MAGGIO ORE 14.00
Sala Gialla
In occasione della presentazione del libro Ospitalità (EMP) di Placido Sgroi
IMMIGRAZIONE TRA OSPITALITÀ E XENOFOBIA
Con l'autore Intervengono: suor Giuliana Galli, religiosa della Congregazione San Giuseppe B. Cottolengo; vice presidente nel Comitato di Gestione della Compagnia di San Paolo; Goffredo Fofi, saggista e giornalista.
Modera: Ritanna Armeni, giornalista
SABATO 16 MAGGIO ORE 18.00
Spazio Autori
In occasione della presentazione del libro Laudato sie, mi’ Signore! (EMP)
SAN FRANCESCO E IL CANTICO DI FRATE SOLE. RIFLESSIONI LAICHE SULLA CUSTODIA DEL CREATO
Intervengono: Leonardo Becchetti, economista; Aldo Cazzullo, giornalista.
Coordina: fra Fabio Scarsato, frate minore conventuale, direttore editoriale «Messaggero di sant’Antonio» ed Edizioni Messaggero Padova
FESTIVAL BIBLICO (XI edizione) - VICENZA
SABATO 30 MAGGIO ORE 11.00
Oratorio del Gonfalone, Piazza Duomo
In occasione della presentazione del libro Quanto manca all’aurora? (EMP) di padre Dino Dozzi
LA VITA CONSACRATA CUSTODE DEL CREATO
Con l’autore intervengono: padre Lorenzo Prezzi, direttore responsabile di «Testimoni»; mons. Giuseppe Bonato, vicario per la Vita consacrata della diocesi di Vicenza.
Modera: suor Mariangela Bassani, segretaria Usmi della diocesi di Vicenza.
DOMENICA 31 MAGGIO ORE 17.30
Tenda del Festival, Piazza Duomo
In occasione della presentazione del libro Laudato sie, mi’ Signore! (EMP)
LAUDATO SIE, MI’ SIGNORE! RIFLESSIONI ATTORNO AL CANTICO DELLE CREATURE DI SAN FRANCESCO
Intervengono: Vittorino Andreoli, psichiatra e scrittore; suor Elena Bosetti, biblista.
Modera: fra Andrea Vaona, frate minore conventuale e collaboratore del «Messaggero di sant’Antonio»
Lettera del mese. Novissimi
Inferno e misericordia
Strano binomio quello proposto dal nostro lettore. Inconciliabile, in apparenza. Eppure l’inferno esiste, se non altro come libera scelta dell’essere umano che si sottrae in modo consapevole all’Amore misericordioso di Dio.
«Gentile direttore, sarà per la mia età non più giovane, ma da qualche tempo mi capita di pensare sempre più spesso al purgatorio e all’inferno. Oggi come oggi i cristiani non ne parlano più o, eventualmente, li considerano solo come luoghi “dell’assenza di Dio”. Eppure, parecchi santi hanno avuto delle visioni a riguardo e li hanno raccontati come luoghi di sofferenze terribili. Ma perché Dio onnipotente dovrebbe condannarci ad atroci sofferenze? Non riesco a mettere insieme questa immagine con quella di un Padre misericordioso».
Lettera firmata
Perché esiste l’inferno? Non forse perché ne abbiamo bisogno? No, non per farci paura, allo stesso modo per cui il paradiso non può essere il motivo per cui facciamo il bene. Si racconta di rabbi Moshe, un chassidim vissuto nel XVIII secolo in Polonia, che insegnava a fare la carità «come se non ci fosse Dio, come se in tutto il mondo ci fosse un solo uomo che può aiutare quell’uomo, tu solo». Una mistica sufi musulmana, Rabi‘a, morta in Iraq nell’801, venne invece sorpresa mentre correva con del fuoco in una mano e dell’acqua nell’altra. Interpellata sul perché lo facesse, rispose: «Sto andando in cielo, per gettare il fuoco nel paradiso e versare l’acqua nell’inferno: non resterà così né l’uno né l’altro, e apparirà Colui che si cerca. Allora coloro che gli rendono culto volgeranno lo sguardo verso Dio, senza speranza e senza timore, e lo serviranno così». D’accordo, raccontini un po’ paradossali, soprattutto perché sembrano postulare una sorta di «ateismo pratico» come modalità del nostro fare il bene. Ma certamente ci interrogano sulla gratuità o l’opportunismo, seppur sacro, con cui viviamo la nostra fede e le sue esigenze concrete. Ci provocano a spostare il centro dal «dover fare per meritare» alla «gioia di esser amati da Dio, perdonati, e perciò desiderosi di rispondere»: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi […]. Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,10-11)!
In entrambi i casi, comunque, non si negano quelle realtà chiamate «paradiso, inferno, purgatorio», e neppure noi lo faremo. Non c’è dubbio, esistono. Sul che cosa poi esattamente siano: un luogo fisico, una possibilità, uno stato esistenziale; dove siano situati: sotto o sopra; che cosa succeda in quei posti: piaceri o tormenti; be’, tutto questo è ancora frutto di discussioni, talvolta anche contraddittorie tra di loro. Qualche idea ci viene dalla Bibbia, qualcos’altro dagli arzigogoli di teologi sfaccendati o, come ci ricorda il caro lettore, da visioni di santi. Ci ha messo del suo poeticamente anche Dante con la Divina Commedia, e artisticamente tanti affrescatori di Giudizi universali nelle chiese.
Ma su quanti di noi siano dall’una o dall’altra parte, su questo non c’è nessun dubbio: nessuno lo sa. E nemmeno sarebbe possibile saperlo, non essendo l’imperscrutabile giustizia e misericordia di Dio un automatismo, per cui inferno e paradiso siano semplicemente pena o premio sul tariffario divino, ma espressione di un Dio che è Amore. Tant’è che la Chiesa manda pure ufficialmente qualcuno direttamente in paradiso, con la canonizzazione. Ma di nessuno ha mai osato dire che sia altrettanto sicuramente all’inferno.
Eppure, lo ribadiamo, di esso ne abbiamo bisogno, e perciò da qualche parte deve pur esserci. In quanto possibilità concreta: che cioè possiamo effettivamente scegliere in alternativa al bene, garantisce la nostra libertà di fronte a Dio. Infatti l’inferno uno se lo sceglie da sé, sottraendosi deliberatamente all’Amore (Gv 3,16-18).
Come gli «inferni quotidiani» che scateniamo accanto a noi o in giro per il mondo. Anche questi colpa del nostro egoismo, di cui chiedere perdono a Dio e ai fratelli!
Lettere al direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org