Lettere al Direttore

02 Ottobre 2002 | di

Israele e Palestina: la strage continua

In Medio Oriente la strage continua. Sono sicuro che prima o poi si troverà  un accordo: la strada verso la pace è già  stata segnata da più progetti sostanzialmente condivisi. Se israeliani e palestinesi non riusciranno a mettersi d`€™accordo, ci penserà  qualche altro a ridurli a ragione. Ma, secondo me, la vera questione, il nodo più intricato da sciogliere, al di là  della questione degli insediamenti israeliani nei territori occupati, di Gerusalemme capitale... resta la condizione dei palestinesi che vivono nei campi profughi in condizioni che di umano hanno poco....

Marino Scognamiglio Napoli

Probabilmente è così. Forse non dovremmo cominciare dalle frontiere e dagli insediamenti e neanche da Gerusalemme e dai luoghi sacri, ma dai profughi palestinesi che marciscono nei campi da oltre cinquant`€™anni. Questa gente non dovrebbe trasferirsi in Israele perché se lo facesse ci sarebbero due stati palestinesi e neppure uno per il popolo ebraico. Ma ciascuno di questi profughi ha bisogno di una casa, di un lavoro e della cittadinanza dello stato palestinese. Il che significa alcune centinaia di migliaia di posti di lavoro e di case. È questa la dimensione più urgente del conflitto, perché queste persone soffrono ogni giorno in condizioni disumane. La loro disperazione è la prima causa dei problemi di sicurezza di Israele. Fino a quando questi profughi non avranno speranza, Israele non avrà  sicurezza. L`€™Europa `€“ insieme agli Stati Uniti, ai Paesi arabi ricchi e a Israele `€“ può svolgere un ruolo centrale per la riabilitazione dei profughi, a prescindere dalla polemica storica su chi debba assumersi la colpa per questa tragedia.

Come avrà  notato dalle virgolette che racchiudono il testo, queste non sono opinioni nostre, ma di Amos Oz, uno dei più noti scrittori israeliani contemporanei (La scatola nera, pubblicato quest`€™anno da Feltrinelli è uno dei suoi migliori romanzi) che ha espresso sul quotidiano inglese The guardian, qui riprese parola per parola.


Per uno zingaro integrato...

Sono un giovane operaio di acciaieria e premetto che non sono un razzista nè voto Lega. Leggendo il servizio su Santino Spinelli, Messaggero 9/2002 pag. 39, ho delle riflessioni che vorrei esporre. In primo luogo, vorrei fare i complimenti al signor Spinelli che, nonostante tutte le difficoltà , è riuscito a emergere e a crearsi una buona posizione. Però vorrei far notare che al passo del servizio a scuola finì nell`€™ultimo banco con la sorella, con le scarpe rotte accompagnato dal ritornello zingaro zingaro, è un ritornello che si sono guadagnati con anni di truffe e di furti.

Al passo la cosa più nobile che questi rom possono fare è chiedere l`€™elemosina io mi chiedo perché non bussare alle porte delle industrie per chiedere lavoro, e non solo per chiedere l`€™elemosina. Io lavoro in periferia di Milano, vicino a un campo nomadi: non ho mai visto uno zingaro, un rom o chicchessia, chiedere lavoro ma solo dammi questo, dammi quello... Si dice anche che i rom sono artigiani del rame, mi piacerebbe sapere dove si procurano tale metallo o altri e come fanno ad avere macchine piuttosto costose con la sola entrata di elemosina.

Alessandro - Como

Non c`€™è dubbio: per uno zingaro riuscito, mille altri continuano a vivere di espedienti, nell`€™illegalità . Spinelli è un esempio, per gli zingari soprattutto (e non è il solo, ho conosciuto un sacerdote padovano che proviene da una famiglia rom stanziatasi da queste parti), di come sia possibile, attraverso la scuola, l`€™educazione e il lavoro, uscire da una mentalità  e da una prassi ataviche che indicano nell`€™espediente più o meno legale il modo per vivere.

Li conosciamo troppo poco, al di là  delle manifestazioni cui le sue riflessioni fanno riferimento, per poter tracciare su di loro un giudizio definitivo. Probabilmente la loro cultura ha dei valori che ignoriamo. Forse solo il dialogo, mosso dalla buona volontà  reciproca, può aiutarci a capirli e loro a capire le basi irrinunciabili su cui poggia la nostra civiltà  e il nostro stare insieme, come lavoro, legalità , rispetto...


Famiglie insieme per aiutarsi

Siamo assidui lettori della sua rivista da quando la mamma, abbonata, è venuta a vivere con noi. Tutti in famiglia (anche le figlie adolescenti e scout) la apprezziamo moltissimo. In risposta all`€™invito da lei espresso (di segnalasre esperienze di aiuto e dialogo tra le famiglie), segnaliamo che in Italia esiste un`€™esperienza per coppie, sacerdoti o religiosi/e, Incontro matrimoniale di matrice cristiana che, proposta in America al termine degli anni Sessanta da padre Callagher, preoccupato per il crescente numero di divorzi nel suo Paese, è diffusa in tutto il mondo. Si basa su un fine settimana (dal venerdì sera alla domenica pomeriggio) in cui tre coppie guida e un sacerdote spezzano il pane della propria vita (condividendo la quotidianità  della vita di coppia e sacerdotale e non consigli o teorie) e invitano poi le coppie partecipanti a fare altrettanto nel loro ambiente di vita.

È una riscoperta di come si possa amare totalmente l`€™altro, nell`€™impegno e nell`€™accettazione e, per il sacerdote, amare concretamente la propria comunità .

Perché tutto ciò possa realizzarsi e radicarsi, viene offerta l`€™opportunità  ulteriore di continuare l`€™esperienza, riunendosi in gruppi di condivisione (5 o 6 coppie) in cui ciascuno si fa protagonista condividendo i propri successi o le proprie difficoltà  quotidiane di coppia. Così,attraverso un iniziale momento di preghiera e l`€™aiuto fraterno si riscopre e si rafforza la determinazione ad essere autori della propria vita matrimoniale, decidendo d`€™amare l`€™ altro e gli altri (perciò anche i figli, la suocera ecc. ) nel rispetto dell`€™unicità  di ogni individuo.

Ci scusiamo per la lunga lettera e cogliamo l`€™occasione per ringraziarla per l`€™apertura e, al tempo stesso, la solidità  dei valori che il suo giornale continua, coraggiosamente, a proporre alla società  attuale.

Paolo ed Elisa Ogliari Milano

Ringraziamo per i complimenti, speriamo di poterceli meritare sempre. Segnaliamo, per quanti vogliano avere maggiori informazioni sull`€™esperienza, il sito internet: www.incontromatrimoniale.it


Carceri disumani

C`€™è chi giustamente si preoccupa degli animali in gabbia e lavora perché anche gli zoo siano più umani. Tuttavia, sarebbe assai più importante rivolgere la dovuta attenzione alle persone (57 mila circa) rinchiuse nelle carceri italiane sempre più bestiali, nonostante la buona volontà  di molti direttori e operatori. Purtroppo, giudici e politici se ne vanno in vacanza tranquillamente dimenticando chi soffre (spesso persino innocente!) a causa di condizioni illegali di sovraffollamento, ozio forzato, mancanza d`€™igiene, medicine, affettività , cure e spazi vivibili, in una disperazione tale da portare spesso al suicidio!

Bisogna cambiare da subito questa feroce giustizia carceraria e carceriera che, secondo qualche miope illuso, porta sicurezza, ma nella realtà  aumenta l`€™odio contro le istituzioni e la società  civile, oltre a essere un`€™efficientissima scuola di delinquenza del crimine...! Un pensiero di solidarietà  umana e cristiana ai detenuti in Italia, tra i quali esistono ancora, nonostante l`€™apposita legge, sessanta lattanti e bimbi con meno di tre anni, che poi verranno letteralmente strappati alle braccia delle mamme carcerate...

Per i cattolici sarà  utile, infine, ricordare ciò che la semplicità  della tradizione indica tra le sette opere di misericordia corporale: visitare i carcerati.

Marzia Canitto Prosperi Roma

Deve risultare anzitutto chiaro che chi sbaglia, e nella misura in cui sbaglia, deve pagare il suo debito alla società , nelle forme previste dalla legge. Una pena giusta e scontata. Ma è altrettanto chiaro che tutto questo deve avvenire in condizioni di rispetto della dignità  e dei diritti di ciascuno, ugualmente sanciti dalle leggi. Che se poi il fine della carcerazione deve essere, come dice la stessa Costituzione italiana all`€™art 27, la rieducazione del condannato, è più che legittimo il dubbio che questa possa effettuarsi in carceri (a detta anche di tanti politici che le vanno a visitare uscendone inorriditi: ma perché non fanno qualcosa di più oltre che inorridire?) che di educativo hanno assai poco: per come sono concepite, condotte, nelle situazioni di sovraffollamento e di degrado che lei bene descrive.

E così dal carcere, salvo esemplari eccezioni, si esce peggio di prima, pronti a delinquere anche con maggiore ostinazione, appunto per la rabbia e l`€™astio lì accumulati.

Il problema è grave. Lei ne chiede l`€™immediata soluzione. Nutriamo seri dubbi che ciò possa avvenire. Non mancano i buoni propositi e le promesse fatte via via dai governi in carica, ma poi tutto resta sulla carta perché in fondo della condizione di chi è finito in carcere interessa assai poco. Se l`€™è voluta, paghi! è il giudizio più benevolo che la gente è solita fare.

Sarebbe già  molto che aumentasse il numero dei gruppi di volontari accettati in carcere con interventi che suppliscano quello che le istituzioni dovrebbero fare. Ce ne sono già  e i buoni risultati raggiunti stanno a dimostrare che il recupero non è impossibile, basta volerlo e attivarsi per realizzarlo.

Pensi che persino sant`€™Antonio a suo tempo si è occupato di carceri e carcerati. Le condizioni dei reclusi nelle prigioni padovane per i debitori insolventi, spesso vittime degli usurai, erano infinitamente peggiori di adesso. Ebbene, il Santo ha ottenuto dal Comune che il duro carcere (spesso a vita) fosse commutato con l`€™espulsione dalla città : non era il massimo, ma sempre meglio delle fetide prigioni comunali.


La nonna che diceva grazie

Sono un frutto della seconda guerra mondiale. Sono nata da genitori che pregavano, amavano e credevano a sant`€™Antonio di Padova. È per una tradizione o per una incomprensibile attrazione che ogni anno torno nella grande basilica del Santo per toccare la sua tomba di pietra nera. Passo leggermente la mia mano lungo il rettangolo mortuario, penso, forse prego, mi emoziono, mi estraneo e poi chiedo, chiedo sempre, come fosse un rito obbligato... Ma oggi, 16 luglio 2002, dopo cinquant`€™anni con la mano appiccicata a quella pietra, ho ascoltato la preghiera di una vecchietta sorda. Era vicina a me e continuava a ripetere: Grazie... grazie... grazie e non finiva più... Grazie! La guardai e mi sentii una povera diavola, perché io a sant`€™Antonio ho sempre chiesto, mentre quell`€™esile donna, ripetendo quel grazie, cantava un inno con note di entusiasmo, di saluto, di preghiera, di riconoscenza, di amore. Mi sono marchiata interiormente di quel grazie, fino nel profondo dell`€™animo.

Quel giorno, là  alla tomba del Santo, ho imparato da una nonna a recitare il rosario di grazie. Che bello se tutti i pellegrini che sfiorano quella tomba imparassero la preghiera della nonna a sant`€™Antonio! Ogni cuore si riempirebbe di gioia!.

L.D.B. - Vicenza

È vero, la gratitudine è una virtù rara, poco praticata nei rapporti tra gli uomini (più frequente l`€™ingratitudine) e pochissimo, probabilmente, in quelli con Dio e i santi. Si chiede nel bisogno, come facciamo tutti, e poi, a pericolo scampato, chi si ricorda più del benefattore? Un esempio così semplice e bello non può che commuovere. Non ci resta che ammirare e imparare a fare altrettanto.


Molto ti sarà  perdonato...

Mi sono avvicinata a Dio da quando, tre anni fa, ho perso in un brutto incidente il mio unico figlio. La persona cui ero legata da molti anni, ha strumentalizzato la nostra vita affettiva dandola in pasto ad amici e conoscenti, facendomi diventare lo zimbello di tutti. Certo, neanch`€™io mi sono sempre comportata bene, non sempre sono stata vicina a mio figlio come avrei dovuto e a volte penso che Dio mi abbia tolto mio figlio per punire i miei peccati. Ma sono cambiata anche se la gente continua a considerarmi una poco di buono.

Una lettrice

Nella parabola della sua vita vi è una costante: la sofferenza che ne lega i vari passaggi. Ha trascorso la giovinezza lontana da Dio. Alcuni errori di gioventù hanno condizionato il resto dei suoi anni. Proprio la persona a cui era legata, poi, le ha dato il colpo di grazia, sgretolando la sua reputazione. Da quell`€™evento la sua storia è cambiata. Ridicolizzata dalla gente, ogni porta le è stata chiusa, compresa quella del cuore. Il giudizio degli uomini è stato inclemente, senza appello.

La morte del figlio, infine, ha dato una svolta alla sua vita e all`€™esperienza religiosa. Un dramma nel dramma che, tuttavia, le ha fatto intuire la consolazione del Cielo, l`€™unica possibile in quel momento. Ma ancora oggi il suo animo è inquieto. La memoria non trova pace. Tante cose intorno a lei sembrano opporsi alla sua volontà  di una vita nuova: lei stende la mano, ma nessuno le restituisce una carezza.

La sua vita assomiglia alla storia della donna di cui parla l`€™evangelista Luca (7,36-50). Anche lei non gode la stima di nessuno e si sente rifiutata. Ha sentito parlare di Gesù e decide di andare da lui. Vuole fargli dono della sua tenerezza. È sicura che egli la capirà . Così prepara dell`€™unguento di nardo e si reca nella casa ove Gesù era ospite.

Appena varca la soglia, il piano fallisce. Non ha previsto la folla, gli sguardi impietosi di coloro che stanno in quella casa. Così cambia programma, si avvicina da dietro e cade a terra. Invece di ungere il capo a Gesù, versa il vasetto sui suoi piedi e scoppia in lacrime. Per riparare il danno, scioltisi i capelli, gli asciuga i piedi.

Il suo disperato tentativo di rimediare peggiora la situazione: per una donna non era conveniente sciogliere i capelli presenti gli uomini. Il giudizio su di lei diventa più grave: oltre a tutto, anche invadente e maleducata.

Gesù la vede, invece, con occhi diversi: capisce che lei sta disperatamente cercando amore, ma lo fa nel modo sbagliato, gettandosi ai piedi dell`€™altro per ottenerne la simpatia o l`€™affetto. La scena si chiude con un misterioso annuncio di Gesù: Molto le sarà  perdonato perché molto ha amato....

Immagini che quelle parole siano rivolte a lei. Immagini che Gesù le dica: Molto ti sarà  perdonato perché molto hai amato. Alzati, non strisciare davanti agli uomini, mendicando compassione. Assumi la statura di salvata, che ti da il diritto di esistere nonostante gli errori. La tua fede è grande, il giudizio degli uomini forse non la può contenere. Vai a testa alta perché io ti voglio bene. La vita ti ha già  punita, non farti ancora del male. Va in pace e abbi misericordia di chi non si è mai sentito salvato, di chi non ha conosciuto la conversione, la misericordia di Dio.


Diavolo ed esorcismi

Devo congratularmi con voi, perché trovo nel Messaggero non solo articoli di spiritualità , ma di tutto. Ho visto in tv la vita di sant`€™Antonio, è stata molto toccante. La domanda che vorrei porre riguarda la tentazione. Come mai la Chiesa non parla mai di un sacramentale da Cristo istituito e carente oggi in alcuni ambienti del clero? Mi riferisco all`€™esorcismo (Gv. 3,8; Mt. 26,41).Mi sono documentato riscontrando la riluttanza di alcuni sacerdoti ad affrontare tale argomento. Mi sono meravigliato perché la Chiesa non mette i fedeli in guardia dalle macchinazioni diaboliche perché, come diceva Paolo VI, Satana non è l`€™essenza astratta del male, ma un essere spiritualmente vivo, personale, pervertito e pervertitore.

G. Salvatore - S.Maria di Cz.

Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede. Sono le parole che san Pietro scrive ai cristiani nella sua prima lettera (capitolo V versetti 6 e 7). Le stesse parole la Chiesa le ripete settimanalmente nella preghiera della sera (vespro). Il richiamo costante, ben lontano dal terrorismo teologico, è un invito a essere vigilanti, consapevoli che il Nemico antico, opera affinché ogni cosa volga al male.

Quando parliamo del Diavolo (il suo nome significa separazione, divisione, disgregazione... ) parliamo di colui che gode nell`€™insinuarsi tra noi e Dio, tra noi e i nostri simili e persino dentro noi stessi, per dividere, allontanare, distruggere.

È subdolo il suo agire (la Bibbia lo paragona a quello di un serpente), tanto che talvolta si rischia di prenderlo sotto gamba, mentre in altri casi gli si dà  un`€™importanza eccessiva, ritenendolo ancor più forte di Dio. Così facendo, il giusto mezzo, lì dove gli antichi dicevano risieda il bene (in medio stat virtus), viene a mancare. Ecco che compaiono fenomeni strani: si afferma che di certe cose è meglio non parlarne (ignoranza o paura?); si fa ricorso a maghi e fattucchiere; si crede che l`€™esorcismo possa risolvere ogni male!

Occorre essere temperanti (riprendo le parole dell`€™apostolo Pietro), evitando eccessi e banalizzazioni. Bisogna resistergli saldi nella fede (è ancora Pietro a parlare), perché solo qui sta la nostra vera forza.

L`€™esorcismo, quindi, non è qualcosa che si situa al di fuori della fede, ma è parte dell`€™esperienza della Chiesa. Non va vissuto come fatto a se stante, ma ricollocato all`€™interno di un cammino ecclesiale. Lì dove si collocano i sacramenti, dove c`€™è la comunione dei fedeli, dove si vive la carità  e dove si ascolta e si annuncia la Parola.

C`€™è bisogno di un cammino da parte di tutti, nessuno escluso. Qualcuno dovrà  lasciar da parte razionalismi eccessivi, altri dovranno abbandonare ritualismi e superstizioni. Un cammino difficile (il nemico si opporrà ) ma non impossibile perché, scrive ancora Pietro al versetto 10: Il Dio di ogni grazia... egli stesso vi ristabilirà ... e vi renderà  forti e saldi.


Militari al lavoro forzato in Germania: un giusto indennizzo

L`€™8 settembre 1943, con la resa agli alleati, l`€™Italia consegnava ai tedeschi, senza la minima possibilità  di difesa dei propri reparti e delle proprie persone, la migliore gioventù in armi di quell`€™epoca. La maggior parte di essa fu deportata in Germania e sottoposta ai lavori più disumani, spesso di 18 ore giornaliere, giorno e notte, con quantità  di cibo miserrima, malmenati e con continue minacce di morte... Gli attuali amministratori della Repubblica italiana fondata sul lavoro, non avendoci mai pagato la Germania, perché non provvedono loro a soddisfasre il sacrosanto salario di allora, anche perché saremo pochi superstiti....

Saverio Di Mauro - San Giovanni Valdarno (AR)

Lei ha ragione di lamentarsi. I deportati militari, a differenza dei civili, sono esclusi dai benefici stanziati dalla Repubblica tedesca, che ha inteso riconoscere un certo risarcimento in favore di coloro che vennero costretti a disumani lavori a danno di cittadini italiani deportati in quello stato.

Nell`€™agosto del 2000 la Repubblica federale tedesca ha istituito una Fondazione con il compito di dare un indennizzo, di natura più che altro simbolica e morale, variante da 2,5 a 5 milioni di lire (perché tutto dipenderà  dal numero delle domande che verranno accolte), per coloro che avevano subito ingiustizie particolarmente gravi ad opera delle autorità  naziste. Agli internati militari italiani dal settembre 1943 al maggio 1945 `€“ sostiene però il governo della Repubblica federale di Germania `€“ non può essere riconosciuto alcun indennizzo perché vanno considerati come prigionieri di guerra. Proprio per non dimenticare le sofferenze e il sacrificio di questi cittadini italiani è sorto a Roma un comitato che ha fatto pubblicare un comunicato per denunciare il comportamento del governo tedesco e chiedere al governo e al parlamento italiani di intervenire e sanare in qualche modo questa ingiustizia.

Certo, ogni iniziativa è ancora prematura. Non si può impugnare legalmente la decisione del governo tedesco se prima non si avrà  un rigetto contenente la motivazione ufficiale, delle domande presentate alla Fondazione tedesca che eroga il finanziamento. Il ministero degli Esteri italiano ha promesso di attivarsi verso il governo di Berlino, ma la diplomazia ha i suoi tempi burocratici, il che vuol dire anni di attesa ed esiti quanto mai incerti.

Altrettanto certo, inoltre, il cinico interesse di molti a far trascorrere altro tempo che, inesorabilmente, porterà  alla naturale scomparsa dei superstiti. Resta allora il parlamento italiano. E a metà  febbraio, nel corso di una conferenza stampa indetta dal comitato sopraindicato, è stata annunciata la presentazione alla Camera e al Senato di due proposte di legge: una del senatore Luigi Marino e l`€™altra dell`€™onorevole Dario Rivolta che hanno entrambe l`€™obiettivo di dare un riconoscimento morale e simbolico ai lavoratori coatti civili e militari con la consegna di una medaglia alla memoria e l`€™istituzione di un Fondo destinato al finanziamento di iniziative destinate alla conservazione della memoria e al riconoscimento di un indennizzo puramente simbolico di 500 Euro per i soggetti interessati.

I due parlamentari, pur appartenendo a schieramenti diversi, si sono impegnati a unificare i rispettivi testi e a presentarli contemporaneamente ai due rami del parlamento per abbreviarne l`€™iter. L`€™auspicio è che, eliminato ogni intendimento politico, il progetto di legge unificato sia accettato da tutte le forze politiche e sia rapidamente approvato come un doveroso riconoscimento nei confronti di chi ha dovuto subire angherie inumane dal regime nazista e oggi viene nuovamente offeso dai discendenti di quei personaggi. L`€™Italia cerca, dunque, di ovviare a una decisione profondamente ingiusta patita dai militari italiani internati in Germania durante la seconda guerra mondiale ed esclusi dal beneficio dell`€™indennizzo riconosciuto solo agli internati civili.


Scambiatevi un segno di pace

Soltanto qualche giorno fa `€“ colpa delle benedette (?) Poste Italiane `€“ ho letto la splendida pagina di Galateo di Roberto Beretta, pubblicata nel numero di giugno. Pur con sottile ironia, ha inquadrato, in modo reale, alcune situazioni che si verificano durante la messa. Mi permetto di segnalarne altre: durante lo scambio di augurio della pace: allora c`€™è l`€™invasione del corridoio centrale della chiesa per la voglia (?) di stringere la mano a quelli della fila di lato o di chi si trova due o tre file di banchi avanti o indietro, imitando i migliori contorsionisti e turbando il raccoglimento di tanti fedeli. Infine: alcuni, celebranti, incuranti del caldo o della ressa, allungano il sermone con parole vacue e ripetitive o che rileggono il Vangelo e l`€™epistola (forse pensano che il lettore non ha saputo leggere?). Se non erro, nel Messaggero di sant`€™Antonio (giugno 1999) anche monsignor Maggiolini notava che le prediche erano troppo lunghe e un po`€™ sciatte.

Giovanni Salerno - Sarno

Beretta è indubbiamente efficace nel frustare benevolamente vizi e vezzi delle nostre comunità . Ma, sia chiaro, che al di là  di certe debordanti manifestazioni, lo scambiarsi durante la messa un segno di pace, è un gesto bello e significativo, un piccolo segno di partecipazione, di vicinanza, di attenzione a chi per tutto il rito ci è stato a fianco, invocando lo stesso Padre, assistendo allo stesso sacrificio di Cristo morto per tutti. La messa domenicale è un momento forte della vita della comunità , non è un fatto privato e va vissuto assieme, non come estranei uno all`€™altro. Quel segno di pace vuole dire forse questo. Utilizziamolo bene.

Quanto alle prediche: la brevità , la precisione e l`€™accuratezza sono sempre, come diceva, appunto, monsignor Alessandro Maggiolini, un gran pregio. Si sa, l`€™attenzione degli ascoltatori, in genere, non supera i primi cinque minuti, con qualche breve ripresa successiva. È saggio per gli oratori tenerne conto.

Non trovo, però, disdicevole riprendere, per sottolinearli, brani delle letture: è vero che tutti li hanno sentiti leggere, ma non è detto che li abbiano anche ascoltati. In fondo, la Parola di Dio ha una sua efficacia intrinseca, come un sacramento.


Per chi viene a Padova nella basilica del Santo
o Segreteria del pellegrino (chiostro della magnolia):

chi desidera avere informazioni prima di intraprendere un pellegrinaggio alla basilica del Santo, da solo o in gruppo, o conoscere gli orari delle messe... può telefonare allo 049 8789722, fax 049 8789735.
E-mail: infobasilica@mess-s-antonio.it

Uffici del Messaggero (chiostro della magnolia, all`€™interno del negozio di ricordi): si può rinnovare l`€™abbonamento alle riviste, devolvere offerte per le iniziative della Caritas e ricevere altre informazioni sulle attività  editoriali del Messaggero di sant`€˜Antonio.


LETTERA DEL MESE

Un grido di allarme per il pianeta

Il grido di allarme, chiaro e incontrovertibile, lanciato dal segretario generale dell`€™Onu, Kofi Annan, è un monito a tutti, a riflettere seriamente e profondamente su un problema scottante e angosciante: la nostra esistenza. Gli effetti drammatici della follia industriale dei nostri tempi sono sotto gli occhi di tutti: l`€™aumento delle patologie in genere, il deterioramento delle condizioni generali di salute, la marcia spettrale del cancro e compagnia cantante.

Disgraziatamente questo è il prezzo ogni giorno più duro e sconvolgente che l`€™umanità  paga alla speranza utopistica del progresso scientifico e dello sviluppo tecnologico e industriale. Non poche volte ho la sensazione che la nostra vita stia diventando una corsa irrazionale all`€™autodistruzione. Pertanto, è necessario, prima che sia troppo tardi, interrompere subito questo nostro comportamento esiziale e correre ai dovuti ripari. Ciò per il bene dell`€™intera umanità . Il mio accorato appello, è rivolto agli uomini, gli stessi che hanno avvelenato quasi tutto l`€™ambiente ecologico (comportandosi da padroni e non da custodi), affinché adottino provvedimenti efficaci e tempestivi allo scopo di salvare quel poco che ancora resta da difendere prima di un`€™immane tragedia finale. Nel contempo mi chiedo laicamente: Ma che razza di mondo ci apprestiamo a lasciare ai nostri figli?.

F. Petraglia - Avellino

Ha visto, al vertice mondiale di Johannesburg sullo sviluppo compatibile, quanta fatica per mettersi d`€™accordo su un minimo comune denominatore che avvii un`€™inversione di tendenza a uno sviluppo illimitato e scellerato che sta producendo tutti i danni che lei sottolinea? Scellerato e ingiusto, perché premia solo alcuni (per ora, perché anche per loro il futuro ecologico non è roseo) e lascia gli altri nella loro povertà . Il guaio è che tutti denunciano, ma pochi, poi, sono pronti a rinunciare a qualcosa che li faccia recedere, anche solo un po`€™, dal benessere raggiunto. Pensi che gli Usa, per ovvi motivi tra i maggiori inquinatori al mondo, si sono nuovamente rifiutati di ratificare il protocollo di Kyoto del 1997 sulla riduzione delle emissioni di gas serra, pericolose per l`€™equilibrio climatico del pianeta. Cosa che invece ha fatto l`€™Unione europea e hanno deciso di fare persino Russia e Cina. Questo dimostra quanto gli interessi in ballo, non solo degli Usa ovviamente, rendano ciechi e irresponsabili i cosiddetti grandi della Terra.

Nell`€™attesa che i grandi si decidano, non solo a firmare carte, ma a passare all`€™azione in modo decisivo ed efficace, che cosa possiamo fare noi? Perché ognuno di noi, cittadini del Nord del mondo ricco, nel suo piccolo è responsabile dell`€™inquinamento, con il suo stile di vita consumisticamente mai sazio, che vuole sempre di più.

Impariamo a rispettare la natura e a farla rispettare nelle piccole cose della vita: raccolta differenziata dei rifiuti, uso parsimonioso dell`€™acqua e dell`€™energia, utilizzo dei mezzi pubblici, lasciando a casa, quando non è necessaria, l`€™auto privata, recupero della virtù della frugalità , che vuol dire accontentarsi di ciò che serve veramente a vivere sereni (e più felici), rinunciando all`€™intossicante superfluo. E così via. Bazzecole, dirà  qualcuno, rispetto al massiccio inquinamento di fabbriche di ogni tipo. È vero. Ma quando tanti di noi si saranno convertiti a questo spirito francescano, quando sarà  l`€™ora, cercheranno di mandare al governo uomini che la pensano come loro, decisi non certo a bloccare lo sviluppo, ma a perseguirne uno compatibile con le esigenze di un vivere sano e diffuso in tutto il pianeta. E così via...

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017