Lettere al Direttore

Il dolore per il distacco è attenuato dalla certezza di un nuovo incontro, perché "la vita è mutata non tolta". L'appuntamento al cimitero è quasi un arrivederci che si vuole trasmettere fisicamente carezzando con la mano il marmo della tomba.
27 Ottobre 2004 | di

LETTERA DEL MESE

Due novembre e visite ai cimiteri

Che senso hanno le visite ai cimiteri in generale e quelle nella ricorrenza (ricorrenza, appunto) del 2 novembre in particolare. Con tanti fiori messi là  e poi dimenticati, assieme ai morti. Io penso che i propri cari si possono ricordare e piangere anche stando a casa. Che ne dice?.
Lettera firmata - Aosta

Che ne dico? Che sì, i propri cari si possono ricordare a casa. Meglio, anche a casa. Perché la presenza di milioni di persone in tutto il mondo il 2 di novembre presso le  tombe dei loro cari qualche significato deve pure avere. Io vedo in essa l'umanissimo bisogno, quasi fisico, di essere vicini a chi abbiamo amato e non è più, di affermarne la permanenza nel ricordo e nell'affetto. La tradizione cristiana, con i suoi riti, dà  sostanza a questo bisogno. Nel Vangelo è detto che Gesù non abbandona chi ha amato, non lo lascia mai solo, tanto meno nel momento cruciale della morte. È detto, anzi, che lo farà  partecipare - ci farà  partecipare - alla sua risurrezione. Il dolore per il distacco è così attenuato dalla certezza di un nuovo incontro, perché la vita è mutata non tolta. L'appuntamento al cimitero è quasi un arrivederci che si vuole trasmettere fisicamente carezzando con la mano il marmo della tomba. Come si fa in basilica, per dire, sulla Tomba di sant'Antonio. 
È per  questo che la festa dei santi e la ricorrenza dei morti sono così ravvicinate nella liturgia della Chiesa: i santi e i morti uniti in un unico futuro, interi popoli raccolti in un solo destino. Questo perché Gesù è risuscitato ed essendo il primogenito di coloro che risuscitano dai morti - come diceva san Paolo ai Colossesi - ci fa resusicitare con lui. In fondo, la buona notizia del cristianesimo sta proprio nella piena vittoria di Gesù sulla morte e chi crede in lui risorgerà , con il suo corpo.
È una cosa straordinaria, anche se non sappiamo come ciò possa avvenire, sappiamo però che nulla è impossibile a Dio: non lo è di certo la salvezza di coloro che ha amato al punto da mandare per loro il Suo figlio sulla terra.
Questo non toglie alla morte la sua durezza, quell'amarezza profonda che per un po' ci toglie la voglia di vivere, quando a mancare sono quelli che più abbiamo amato, che ci sono stati più vicini: impossibile non sentire la tristezza della loro separazione, anche a distanza di anni, e che si rinnova quando andiamo a fare loro visita nel cimitero.
Ci viene in aiuto la fede nella Parola di Dio, che con l'apostolo Paolo invita a non dimenticare il futuro riservato ai figli di Dio: Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli... E se siamo figli siamo anche eredi. E aggiunge: Io ritengo... che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà  esser rivelata in noi (Rm 8,15-18).
Quindi mi pare significativa la tradizione di visitare i nostri cari nei luoghi dove dormono in attesa del risveglio. Ma è anche suggestivo pensarli presenti nelle case dove hanno vissuto, o, ancora meglio, nella chiesa dove sono stati battezzati, dove hanno pregato e lodato il Signore e da dove sono partiti verso il cielo. E quindi facenti ancora parte della comunità  che prega e rende lode al Signore. 
Ed è il motivo per cui anticamente chi moriva veniva sepolto nelle chiese o attorno ad esse. Come ancora si usa ancora in tanti paesini di montagna, con le croci tutte uguali strette attorno all'edificio della chiesa. Proprio per significare che c'è ancora una salda comunione, non visibile ma vera e profonda, tra noi e i nostri morti. Lo garantisce Gesù. La comunione con i defunti è infatti fondata sul mistero dell'amore di Dio, che è la verità  della vita e della morte e che tutti raccoglie e sostiene. Il resto, tutto, passa, solo l'amore resta. Per sempre.


Alberi che danno frutto e alberi da tagliare

Gesù nel Vangelo parla di alberi buoni, che danno molto frutto, e di alberi che non ne danno nessuno, buoni solo per essere tagliati per farne legna da ardere. La cosa mi ha inquietato e mi sono chiesto: ma allora tutti coloro che, afflitti da qualche minorazione o handicap gravi o gravissimi, non riescono a produrre nulla, dove andranno a finire? In Paradiso o diventeranno legna da ardere?.
Antonio G. - San Severo (FG)

A lei la metafora evangelica degli alberi che non danno frutto le fa venire in mente le persone che per il loro grave handicap sono catalogate come improduttive: non lavorano, non rendono... quindi da tagliare?
Non era certo questo il pensiero di Gesù. Figuriamoci. I frutti buoni di cui egli parla non sono certo quelli da porre sulle bilance del mercato. Sono frutti spesso non visibili e sfuggono alle analisi dei commercialisti o ai piani industriali.
E di questi frutti è spesso piena la vita di persone che, secondo altri parametri, sono inesorabilmente improduttive. E quanti di noi, avendole avvicinate anche per un breve periodo, sono tornati a casa arricchiti dalla loro esperienza accettata e vissuta con forza, con coraggio, con amore.
Conoscerà  anche lei di certo persone così. Io ricordo, come esempio, l'amico Luigi Rocchi totalmente immobilizzato in un letto da una malattia, il quale ha raccontato per anni ai lettori del Messaggero di sant'Antonio la sua tremenda malattia, le sue piccole e grandi gioie, il suo amore, ma anche le sue rabbie, insegnando a imitare Gesù e ad amare non la croce, ma la gente a costo della croce. Don Rino Ramaccioni, che cura la causa di beatificazione di Luigino, ha pubblicato una raccolta di lettere che ha significativamente titolato: Ali spezzate... ali portanti: sono alcune delle 1700 scritte dagli amici a testimonianza di quanto quelle ali spezzate hanno sostenuto e portato in alto la loro vita. Per fortuna che non tocca a noi tagliare, altrimenti, chissà  quanti Luigi Rocchi avremmo spazzato via.

Anche sant'Antonio faceva politica

E non indurci in tentazioni... Faccio riferimento alla preghiera del Padre Nostro, in quanto esprime nel modo più completo l'insegnamento di Gesù per un comportamento cristiano. Premesso ciò, mi permetto di farle presente che mi sembra di avvertire nelle parole, nelle interpretazioni di alcuni articoli e servizi fotografici del Messaggero, una sensazione di velata impostazione politica. Quale fedele e attento lettore da molti anni, mi auguro che sia solo una mia sensazione, auspicando di sbagliarmi e rivedere il Messaggerocome veramente messaggero di fede, speranza e carità ; quale tramite tra il Santo e noi, afflitti e vittime di un generale bombardamento dei mass-media in modo distorto e anche fazioso.
Cesare Bocca

Non penso sia possibile in un giornale ignorare la politica. Perché il non farlo è già , appunto, una scelta... politica, quella del disimpegno, dello starsene fuori. La Chiesa ha un'alta stima della genuina azione politica - è scritto nel Catechismo degli adulti, La Verità  vi farà  liberi, n. 1102 -: la dice degna di lode e di considerazione, l'addita come forma esigente di carità . E altro ancora, che può andarsi a leggere lei stesso nel libro citato.
Quindi occuparsi di politica o fare politica non è una cosa disdicevole. Lo faceva anche sant'Antonio, che era sì messaggero di fede e di speranza, ma quando si trattava di difendere i deboli e i poveri dalle angherie dei potenti e dei politici del suo tempo usava la parola come uno scudiscio andando giù davvero duro.
E non si accontentava della parola, intentava anche cause in loro difesa. Come ha fatto per i debitori insolventi, vittime spesso dell'usura, trattenuti a vita nelle carceri padovane e in condizioni disumane. Sia pure tardi (il Santo era già  morto) il Comune padovano emise un editto - che porta il suo nome - che ne ordinava, a certe condizioni, la liberazione. E questa è una politica che non ha colore.


Quando sembra che Dio ce l'abbia con te

Sin da piccola mi è stata trasmessa la devozione verso sant'Antonio: tutti gli anni la visita con la famiglia a Padova, le preghiere, le speranze. Nel giro di pochi anni, la mamma si è ammalata e anche la nonna. Le preghiere non sono state esaudite ma non ho perso la fiducia nel Santo. Sposata, ho sognato e pregato il dono di un figlio, che non è venuto e, forse  per questo, il matrimonio è andato a rotoli. E anch'io.
Ho smesso di andare in chiesa, di pregare. Crisi assoluta.  Anche se ogni volta che mi capitava di andare per qualche minuto in chiesa, il mio volto si ricopriva di lacrime e una qualche preghiera spontanea, magari anche fatta di tanta rabbia, si rivolgeva a Dio e a sant'Antonio. Non ho smesso di credere in loro, ma mi son detta: non vogliono starmi vicino? Sarò troppo cattiva, o forse hanno altre e più utili cose da fare. Dopo un po' ho incontrato un ragazzo con il quale ho condiviso un rapporto travagliato ma pieno di amore, di comprensione, di sacrifici, insomma avevo tanto amore da dargli che ero disposta a tutto. Tutto sembrava essersi messo per il verso giusto: ho ripreso  a pregare e a ringraziare, ho rimesso l'immagine del Santo sul mio comodino. Ma ecco tutto di nuovo rimesso in questione: come se il Santo e Dio si divertano con me... Sono stanca, delusa, non faccio altro che piangere, che cercare di capire....
M. E. G. - Torino

Quando tante cose vanno storte è istintivo attribuirlo alla volontà  di Dio o, quantomeno, non sentire Dio o i santi alleati. Non so dirle quale connessione leghi gli eventi della sua vita ai disegni del Cielo.
Non conosco a fondo la sua vita e non posso sapere quali dinamiche abbiano provocato le sue disavventure. In senso generale, posso dire che, soprattutto nelle relazioni con gli altri, il nostro carattere può essere decisivo, nel bene e nel male.
In altri casi, invece, ciò che succede rimarrà  sempre un mistero e il vero miracolo da chiedere è la grazia di accettare ciò che non riusciamo a controllare con le nostre forze.
Credo di immaginare la sua desolazione. La vita sta sciupando, una dopo l'altra, le sue speranze più belle. Le sta togliendo anche la certezza che almeno Dio sia dalla sua parte.
Tutto questo la sta allontanando dalla fede, almeno in apparenza. La verità , invece, credo, è diversa. Quando lei entra in chiesa avverte ancora qualcosa. Le lacrime lo attestano.
Certificano che la sua fede e la comunicazione con Dio sono vive. La sua speranza riparte da quei momenti forti, dalle percezioni che maturano quando è sola di fronte a Dio e a se  stessa.


Le due Simone e lo stipendio del volontario

La liberazione delle due Simone ha suscitato un vespaio di reazioni e di critiche, per quello che hanno detto e hanno fatto. Tra le tante cose, vere o false, non so, che sono state dette su di loro, una mi ha colpito: che erano profumatamente pagate, settemila euro al mese, qualcuno ha detto. Ma è vero? È giusto che un volontario sia pagato?.
L. F. - Arezzo

Tralascio ogni commento sull'intera vicenda delle due Simone, ormai passata in secondo o terzo piano: altri avvenimenti hanno preso la scena come la tragica fine delle due sorelle di Dronero (Cuneo), Sabrina e Jessica Rinaudo, vittime innocenti di una ferocia che non conosce pietà  né limiti, per loro il nostro ricordo e il nostro cordoglio. Mi fermo solo sulle paghe dei volontari. Le cose stanno così. Le due Simone, attraverso l'Organizzazione non governativa Un ponte per... Baghdad partecipavano a un progetto finanziato dal ministero degli Esteri per la Cooperazione internazionale, che prevede, secondo una legge del 1987, la presenza di volontari, di cooperanti e di esperti, per i quali è previsto un certo compenso, visto che nei luoghi dove sono devono pure vivere. Compenso assai lontano dalle cifre circolate. Per i volontari, che sono la maggioranza, la cifra va dai 940 ai 1300 euro mensili; per i cooperanti, non volontari ma con contratto a progetto, dai 2670 ai 4230 euro al mese. Cifre più consistenti prendono gli esperti, che sono un'esigua minoranza.
Questo prevede la legge per poter finanziare i progetti.
Anche per i volontari che partecipano a progetti finanziati da privati, come Caritas o istituzioni religiose, e che stanno fuori Italia per un periodo prolungato, è previsto uno stipendio, tutt'altro che faraonico, concordato con le rispettive associazioni, che uno poi è libero di accettare o rifiutare, se è in grado di cavarsela con i propri mezzi.
Il principio è questo: se uno, mosso dal desiderio di condividere i disagi delle popolazioni del Terzo mondo, desidera collaborare alla soluzione di alcuni loro problemi, deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare. Un medico, ad esempio, che decide, per motivi umanitari, di esercitare la sua professione in un Paese africano con tutti i disagi che ciò comporta, deve poter mantenere se stesso e magari la famiglia, almeno finché non trova soluzioni diverse in loco. Altrimenti, il volontariato diventa una scelta esclusiva, riservata solo ai religiosi che hanno alle spalle la loro congregazione, ai giovani sostenuti dalle famiglie, ai pensionati o alla gente ricca in grado di mantenersi. Ed esclude tutti gli altri.
C'è poi, chiaro, il volontariato locale di chi offre la propria disponibilità  in forma del tutto gratuita.


Buttiglione: la bocciatura, le radici cristiane

Rocco Buttiglione, commissario italiano nella Commissione europea presieduta dal portoghese Barroso, bocciato due volte per le sue idee sui gay, sulle donne, eccetera e perché cattolico. Esser cattolici in Europa è un delitto?.
C. S. - Trapani

Non vogliamo entrare nel caso specifico, anch'esso probabilmente superato dagli eventi. In un mondo che corre così in fretta, dove si ama la vita in diretta e l'oggi domani è già  passato remoto, anche i più accesi contrasti fanno presto a smorzarsi.
Resta il fatto più generale: ma l'Europa è ancora cristiana? Di certo lo è, perché le sue radici sono tali e non basta la decisione di politici di non ricordarle nella Costituzione a reciderle. Un'infinità  di cose attorno a noi e dentro di noi ce le ricordano di continuo.
La negazione delle sue radici non è il solo segno di una voglia, diffusa in certi ambienti, di cancellare l'esperienza religiosa cristiana nel Continente. Qualcuno s'è premurato di annotarli e segnalarli, come il caso del prete francese cui è stato vietato di indossare in pubblico la talare perché ostentazione di segni religiosi, o del pastore protestante svedese accusato di discriminazione per essersi espresso contro il matrimonio gay e così via. C'è da preoccuparsi? Certo. Anche se - come dice il cardinale Sodano in un'intervista - non è la prima volta in duemila anni di storia che la Chiesa si trova in difficoltà  con i cattolici discriminati ma è andata sempre avanti e si è sempre salvata. Ed è sacrosanto rivendicare alla Chiesa il diritto di predicare la verità  del Vangelo, legato al principio della libertà  di ogni persona. Ma ci pare importante anche cogliere questo momento di difficoltà  come stimolo per tradurre il principio delle radici cristiane della nostra storia in un comportamentoadeguato nella vita privata e pubblica. Cristiani a parole, ma anche nei fatti. Le chiese vuote, l'agnosticismo diffuso, il relativismo morale, una vita di egoismi e senza slanci ci porta lontano da quelle radici.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017