Lettere al Direttore

I cibi geneticamente modificati sono o non sono nocivi per la salute dell'uomo? Il dibattito è acceso e le certezze poche. Che fare?
29 Novembre 2004 | di

LETTERA DEL MESE

Sugli ogm, la voce all'altra campana

Le scrivo a nome di un gruppo di ricercatori dell'Università  Cattolica e di altre Università  per il modo con cui è stato impostato il servizio sugli ogm, dove si può dire che è mancata la par condicio, avendo dato molto spazio ai detrattori delle biotecnologie e poche righe, invece, a uno scienziato serio come il professor Salamini. Ancora maggiore è il rammarico per il mancato contraddittorio, che sarebbe invece stato utile date le molte inesattezze di Smith. A partire dall'intossicazione provocata da un integratore contenente triptofano, fatto reale ma che non c'entra nulla con gli ogm, riferendosi, invece, all'impiego dell'ingegneria genetica nei batteri per produrre vitamine, antibiotici e ormoni.  Altrettanto vero è che il consumo di mais può provocare sterilità  nei suini. Ciò è noto e deriva da una tossina naturale, lo zearalenone, prodotto da un fungo parassita, non dal consumo di mais ogm.
Nella letteratura scientifica mondiale non vi è traccia di tossicità  di mais, soia e colza ogm nei confronti di ratti, vacche o altri animali e nemmeno di trasferimenti spontanei di Dna dalla soia ai batteri intestinali. Nello studio cui si riferisce Smith è stato solo visto che frammenti di Dna (transgenico e non) possono venire inglobati dai microbi intestinali, ma solo in persone ileostomizzate, prive, cioè, di un pezzo di intestino. Nelle persone normali questo non avviene e mai è stato osservato il passaggio di geni interi e funzionanti a batteri intestinali. E infatti gli autori dello studio escludono l'esistenza di rischio per la salute umana, così come ha fatto uno studio dell'Ue durato quindici anni.
Filippo Rossi - Piacenza

Pubblichiamo volentieri le sue osservazioni per destare nuovamente attenzione su un problema di incandescente attualità , intorno al quale stanno dibattendo scienziati, politici e consumatori, forte ognuno delle proprie convinzioni nel sostenere o nel rifiutare la produzione e l'immissione nei mercati di cibi geneticamente modificati.
Io non ho, in questo campo, sufficienti conoscenze scientifiche per poter decidere per me stesso o per gli altri che cosa sia meglio. Posso solo registrare i fatti. Anzitutto, la diffusa diffidenza e la paura della gente nei confronti degli ogm: nessuno sembra in grado di garantire l'assoluta innocuità  di tali prodotti, dietro ai quali si intravedono le multinazionali dell'alimentazione, che non sono enti benefici né fanno professione di filantropia. Paura alla quale ha dato corpo, ed esca, anche l'autore del nostro dossier di ottobre, Jeffrey Smith, sciorinando casi e dati che lasciano intravedere un futuro niente affatto tranquillo.
Certo, è doveroso registrare anche il parere di chi la pensa diversamente, di scienziati come Tullio Regge, ad esempio, per il quale il divieto di coltura degli ogm è una forma di intolleranza con profondi radici ideologiche ben sfruttata da politici di qualsiasi colore. O quello, sulla stessa lunghezza d'onda, del professor Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto europeo di oncologia, il quale assicura che nel procedimento di manipolazione genetica non si fa altro che aggiungere caratteristiche utili alla pianta, ma la base dei prodotti rimane invariata. Gli italiani, osserva ancora Veronesi, mangiano da decenni gli spaghetti di grano duro, prodotto geneticamente modificato, ma non risulta che abbiano patito per questo conseguenze di sorta. Sono solo esempi di un dibattito che sta dividendo non solo gli italiani e che ci impegniamo di riprendere con serenità , senza preconcetti e demonizzazioni. Fermo restando, ci pare, il diritto dei consumatori di conoscere con esattezza ciò che viene loro offerto per poter decidere loro stessi che cosa mangiare. In attesa che ulteriori ricerche, effettuate anche da istituzioni terze, diano risposte convincenti.


Non mi piace il modo di vivere il Natale

Fra poco è Natale. È una festa che non mi piace. Troppa esteriorità , troppo consumismo. Io non capisco che cosa c'entrino i regali, le cene, lo sfarzo, gli alberi addobbati con la nascita di Gesù povero, in una misera stalla. Io sono giovane e non ho ricordi di Natali diversi da questi. Mia mamma mi dice che una volta era diverso, c'era meno sfarzo, minore superficialità , più raccoglimento, maggiore consapevolezza. Come cambiare?.
Giuseppe Trenti - Avellino

Ha ragione. A Natale spesso si esagera. La festa è giusta, perché quando nasce un bambino è doveroso fare festa, grande festa. I regali, poi, sono un corollario di questa festa, espressione di un'amicizia, di un affetto, di un sentimento di riconoscenza che durano nel tempo e che trovano, a Natale, un'occasione in più per manifestarsi. Il brutto è quando si fa festa senza sapere per chi e perché si fa festa. Oppure, quando il regalo diventa un fastidioso, e costoso, obbligo da adempiere. Certo, quando si era più poveri il Natale era vissuto in forme esteriormente più sommesse, lo si viveva in chiesa, in famiglia, probabilmente anche con maggiore consapevolezza.
Come cambiare? lei chiede. La società  non cambia per decreto, ma solo quando i comportamenti delle singole persone cambiano. Quindi ogni cambiamento comincia inevitabilmente da ciascuno. Tocca a noi, insomma, recuperare il senso del Natale per viverlo e testimoniarlo nella gioia e nella sobrietà , pensando concretamente anche a chi non può viverlo nella festa o perché troppo solo o perché troppo povero. Un regalo può acquistare valore doppio, ad esempio, se scelto tra quelli che andranno a beneficiare i poveri del Sud del mondo(vediCommercio equo e solidale).
Natale è Gesù che nasce. E Gesù è una persona decisiva per la storia dell'umanità . Natale, allora, è guardare Gesù e non se stessi o i tanti idoli di questo mondo. Chi fa così ritrova la felicità  e il senso della vita.


Devozione ai santi: non è da buttare

Sono una credente evangelica. Io e mio marito abbiamo sperimentato tanti miracoli, di quelli che non fanno rumore; il nostro stesso amore è un miracolo. Di tutto ciò ringrazio il Signore e lo faccio senza passare per i santi. Essi non possono intercedere per noi, farebbero bugiarda la Parola di Dio. I morti sono morti, non possono aiutarci, siamo noi che dobbiamo pregare per i vivi. Dei santi ci resta l'esempio della loro vita, l'amore che hanno avuto per Dio. La Chiesa li venera, non li adora, lo so. Ma che differenza passa tra venerazione e adorazione se le statue sono portate in processione piene di oro e di soldi (...); se succede che la popolazione litighi, faccia guerra per il restauro della statua del santo patrono, guerra vera, non solo di parole o manifesti, ma portoni di casa incendiati, carabinieri alla processione per evitare il linciaggio del parroco... Allora su che cosa si basa la fede dei miei compaesani? Non certo sulla conoscenza di Dio, perché non conoscono i passi biblici che aborriscono queste cose....
Giuseppina P. - Foggia

È sempre lusinghiero ricevere lettere da persone di altre confessioni cristiane. E la sua mi ha reso felice: per il tono misurato e la fede nel Dio misericordioso che testimoniano il suo spessore umano e di credente. Lei pone alcune questioni delicate, sulla devozione ai santi, praticata nella Chiesa cattolica e vissuta in forme talvolta discutibili dai fedeli. In una parte della lettera non citata, lei afferma di avere di-scusso a lungo con il parroco del paese di queste cose, senza avere avuto soddisfazione. Penso che anch'io la deluderò in parte. Posso dirle di essere d'accordo con lei nel sostenere che certe forme di devozione popolare vanno purificate, esternamente e interiormente e, soprattutto, che è contrario a una logica cristiana, oltre che al buon senso, fare guerra per una statua. Chi lo fa non ha capito nulla della vera devozione. Dio Padre è la meta di tutto, Gesù è la via che conduce a Lui, Egli intercede come unico mediatore, mentre lo Spirito, che ci fa dire Abba, Padre! (Rm 8,27), unisce la preghiera di tutta la Chiesa nell'unica preghiera di Cristo e la rivolge al Padre. Questo è il nocciolo della verità  di fede.
Lei nega qualsiasi ruolo dei santi, ne accetta solo l'esemplarità  di testimoni. Per noi invece, in dipendenza da Cristo unico mediatore, anche i santi sono cooperatori e destinatari della nostra preghiera. Per noi i santi non sono morti, ma persone vive, presenti tra noi in una misteriosa forma di comunione, detta, appunto, comunione dei santi. Anche se non ne siamo consapevoli, quando preghiamo siamo sempre inseriti nell'universale comunione con Cristo e accompagnati dai santi. Essi non costituiscono uno schermo fra noi e Dio: lodandoli, come dice il nostro Catechismo degli adulti, celebriamo un frutto del mistero pasquale e un riflesso della bontà  di Dio. Chiedendo la loro intercessione, riconosciamo l'opportunità   della solidarietà  dei nostri fratelli. Questo la Chiesa sente e vive da sempre, nonostante le condannabili e rischiose esagerazioni. Sta a noi, alla catechesi, mantenere nel giusto alveo la devozione ai santi, che non ne sono il fine ultimo ma solo un mezzo e una possibilità  per raggiungere Gesù Cristo e il Padre.


Porgi l'altra guancia: fino a quando?

Vorrei tanto un consiglio su come perdonare le cattiverie ricevute. A una messa ho ascoltato attentamente la parabola del figliolo perso e ritrovato e perdonato dal padre. Ma io proprio non riesco a seguire i consigli del Signore. Devo assolutamente perdonare mia suocera e le mie cognate anche se loro non mi rivolgono la parola e mi trattano con disprezzo dicendomi cose odiose e bruttissime. Il Signore dice: porgi l'altra guancia. Ma cosa accade a chi le ha già  gonfie entrambe?.
Annamaria

Ammirevole il desiderio di perdonare chi la sta facendo impazzire, ma porgere la guancia per l'ennesima volta non è la cosa più istintiva. Richiede un impegno a volte superiore alle proprie forze. Non conosco le cause del vostro conflitto, perciò non entro nel merito. Desidero solo dirle che porgere l'altra guancia non significa farsi pestare a oltranza né calpestare la verità . Si dà  a tutti una seconda possibilità . La si concede fino a 70 volte 7, ma il gioco vale se chi beneficia del perdono è disposto a convertirsi, cioè a riconoscere la verità . Se non si trova un punto di incontro, favorito dal chiarimento e dalla sincerità , credo sia inutile far finta di volersi bene.
Un parente si può anche perdonare ma non necessariamente si deve stare sempre sulla stessa barca. I legami sono veri in virtù di affinità  spirituali e morali. La parentela, in sé, è un collante vuoto, che acquista un senso se ciascuno ci mette del suo.
Faccia la sua parte. Porgendo l'altra guancia, osservi la strada che le sta davanti. È una strada nuova, opposta alla precedente: se la percuoteranno di nuovo, si incammini in essa, lasci alle spalle, senza rancore, quelle persone, non rimanga prigioniera di relazioni che, a un certo punto, potrebbero diventare un inutile calvario. Offra correttezza e rispetto a chi le vive accanto, ma cerchi altrove nuove parentele.


Volontari e paghe: forse non ci siamo spiegati

Veramente mi ha deluso una sua considerazione fatta sul volontariato alla lettera di L. F. di Arezzo riguardo Le due Simone e lo stipendio del volontario... Mi ha colpito, piuttosto, la sua affermazione dove dice Altrimenti, il volontariato diventa una scelta esclusiva, riservata solo ai religiosi che hanno alle spalle la loro congregazione, ai giovani sostenuti dalle famiglie, ai pensionati o alla gente ricca in grado di mantenersi. Ed esclude tutti gli altri.
Non ci siamo, non sono d'accordo su certe sue affermazioni. Da vent'anni con mia moglie abbiamo fatto scelta di volontariato, scelta che ci è costata e ci porta a rinunce e sacrifici in nome di un ideale e di una visione ben precisa di cosa voglia dire volontariato. Scelta di vita sobria, ferie estive, festività , tempo libero messo al servizio di un ideale missionario affinché ad ogni uomo, di qualsiasi nazionalità  o stato esso sia, sia ridata la sua libertà  e la sua dignità  (...). Con mia moglie siamo pensionati sessantenni con alle spalle trentotto anni di lavoro in fabbrica e il nostro essere volontari ci costa non indifferentemente, anche se non siamo gente ricca in grado di mantenersi... solo crediamo in quello che facciamo.
da e-mail - Nembro (BG)

Mi sono riletto la risposta, per la quale, tra l'altro, avevo chiesto il parere di un esperto della Caritas italiana (e sono proprio sue quelle affermazioni): probabilmente non sono riuscito a comunicare con esattezza il messaggio. Quanto detto non riguarda i volontari in genere o quelli che, come voi, avendo già  uno stipendio o una pensione alle spalle, decidono di fare il volontario fuori dall'Italia per un breve periodo dell'anno (le ferie, ad esempio), ma coloro che scelgono di trascorrervi un periodo assai più lungo, di qualche anno, ad esempio, partecipando a progetti precisi, tramite le ong o altro (era il caso delle due Simone) e non hanno nessuna fonte di sostentamento personale. Costoro, se non sono in qualche modo sostenuti, non potranno mai dar corpo alle loro aspirazioni.
Lo scopo non era di sminuire il valore del volontariato (si figuri, molte nostre attività  si reggono con questo) ma solo di fare chiarezza su cifre assurde attribuite a chi fa il volontario nelle forme citate.


Il Messaggero alla fine mi ha convinto

L'anno scorso, durante il periodo di astensione lavorativa per maternità  (abbiamo avuto in dono, in adozione nazionale, uno splendido bambino di nome Pietro!) ebbi l'occasione di leggere la rivista con attenzione e mi è davvero parsa di molto interesse.
Non so se è solo questione di una mia aumentata attenzione verso quanto letto, ma ho trovato nella rivista progressivamente, nel tempo, una sorta di maturazione, di assunzione di un maggiore impegno nei confronti del lettore. Ho trovato i temi degli articoli e, soprattutto, i loro contenuti, più stimolanti, talora sferzanti e ne sono compiaciuta. So bene che l'equilibrio è delicato, trovare un compromesso tra l'esigenza di esprimere la verità  e l'essere moderati, per non urtare la suscettibilità  di parte di affezionati lettori, non è facile, soprattutto quando si toccano certi temi in cui è impossibile prescindere da una netta presa di posizione.
D'altra parte, ritengo che una rivista come la vostra debba rivolgersi anche ai più giovani che devono trovare in essa uno strumento di lettura aperta, sfrondata dal facile buonismo e dall'ipocrisia che va tanto di moda.
Io stessa sono stupita del fatto che mi ritrovo qui a scriverle, eppure è proprio perché ho trovato la vostra rivista accattivante.
Lettera firmata - Trento

Indubbiamente, fa piacere sentirsi apprezzati. Non pubblichiamo la sua lettera per vanità , per dire a tutti quanto siamo bravi. Ma per rendere testimonianza all'impegno di tutti coloro che lavorano nella rivista, con serietà  e professionalità .
Certo, non tutte le ciambelle ci riescono con il buco. Anche noi ci prendiamo le nostre cantonate: per non aver approfondito abbastanza il tema, per non averne saputo presentare tutti i possibili risvolti, apparendo, per questo, di parte...
Tutto quello che si vuole. Ma mai per compiacere qualcuno. Abbiamo la fortuna di non avere padrini. A guidarci è solo il messaggio del Vangelo, la dottrina della Chiesa, la fede e la coerenza di sant'Antonio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017