Lettere al direttore

28 Novembre 2007 | di


Longevità: la vita si allunga e la qualità scarseggia

«Si sente dire da “esperti” che nel nostro secolo, anche grazie a scoperte prodigiose della scienza, la vita umana si allungherà fino a 150 anni, e che ci si potrà arrivare tutto sommato in buona salute. Si tratta delle solite esagerazioni o c’è qualcosa di vero? Personalmente sarei preoccupato se l’età della vita si innalzasse di qualche decennio senza essere in grado di garantirne la qualità».

Lettera firmata


Mentre un tempo si annunciava di tanto in tanto l’invenzione dell’elisir di lunga vita, ai nostri giorni si fa un po’ la stessa cosa sbandierando, come fosse dietro l’angolo, una possibile terapia anti-aging (contro l’invecchiamento) con le cellule staminali o mediante terapie ormonali. Certamente chi è nato agli inizi di questo millennio avrà maggiori aspettative di vita dei suoi genitori, ma si tratta di una progressione lenta e da valutare nei suoi esiti. All’inizio del XX secolo in Italia le persone centenarie erano poche decine, mentre oggi raggiungono la cifra di 10 mila unità, e sono svariate centinaia di migliaia nel mondo. Bisogna però subito aggiungere che vi sono al mondo solo quaranta casi di supercentenari, vale a dire persone che hanno raggiunto i 110 anni. Nessuno, d’altra parte, ha mai superato i 120. E qui prescindiamo dalla cosiddetta qualità della vita poiché, com’è facile constatare, l’avanzamento dell’età porta con sé un peggioramento delle condizioni di salute. Dopo i 70-75 anni solo i più fortunati possono vantare una forma smagliante e dichiararsi liberi da ogni tipo di farmacodipendenza. Molti purtroppo si lasciano incantare da pifferai magici che con argomenti pseudoscientifici e discorsi demagogici solleticano il sensibilissimo istinto di autoconservazione, il quale farebbe volentieri a meno della vecchiaia e di tutto quanto ci va dietro, soprattutto di quel punto e a capo sempre difficile da digerire che è la morte.
Sono convinto che per vivere bene la vita fino in fondo non siano necessari estenuanti tempi supplementari nei quali si è condannati, nel migliore dei casi, a stare in panchina. Il tempo della vita fa il suo corso, ha una sua saggezza che è pericoloso alterare a ogni costo, magari coltivando folli sogni di immortalità. Invecchiare bene, con dignità, dentro una rete di relazioni e con una salute sufficiente per poterne godere, è ben più importante degli anni totalizzati, della mera quantità.


Sono forse una cicala inconsapevole?

«Direttore le scrivo perché mi tormenta un dubbio amletico. Da quando i due milioni e trecento mila lire di mio marito sono diventati i circa 1400 euro di adesso ho l’impressione di vivere in una favola al contrario. Da famiglia “media”, i classici due figli, qualche pizza la domenica, ci siamo ritrovati, nostro malgrado, vittime di una delle sindromi attuali, tanto pubblicizzate da giornali e tv: crisi della terza settimana o della quarta per i più fortunati. Non solo la pizza non c’è più ma c’è qualcuno che si ostina a dire che siamo visionari: “La povertà è più percepita che reale” sentenziano i giornali. Nei casi peggiori da pazzi furiosi diventiamo addirittura furibondi scialacquatori: “I soldi ci sono ma si sono alzati i consumi” pontificano gli esperti. Io, glielo confesso ironicamente, non so più qual è la mia identità. Sono forse una cicala inconsapevole, una formica in crisi d’identità, oppure sono gli altri dei consapevoli imbroglioni?».

Lettera firmata


Secondo l’Istat, in Italia le famiglie che vivono in povertà relativa sono 2 milioni e 623 mila, per un totale di oltre sette milioni e mezzo di persone, pari al 12,9 per cento dell’intera popolazione. La soglia di povertà è calcolata in 970,34 euro di spesa mensile per una famiglia di due persone, che scende a 582,20 per le famiglie unipersonali ma sale a 1581,65 per una famiglia di quattro persone. Mia cara formica in crisi, le sue tasche sono molto più sagge di certi opinionisti. Ciò che mi piace di lei è che anche serie e oggettive difficoltà non le hanno fatto perdere la capacità di sorridere e di indignarsi. La consapevolezza è la chiave per chiedere un cambiamento, o almeno per impedire ai soliti furbi di confondere le acque.


Ai down qualcuno vieta l’ottovolante

«Ho seguito sulla stampa l’appello di un gruppo di persone down adolescenti, che si è visto negare l’accesso ad alcune giostre di Gardaland. Anche se i ragazzi down mi sono simpatici, sempre così sorridenti, mi sembra che il parco di divertimenti avesse ragione, in nome della sicurezza. Oppure si tratta davvero di discriminazione?».

Lettera firmata


Quando si parla di persone con disabilità si corre il rischio di inquadrarle nei nostri stereotipi, in maniera più o meno consapevole. Per evitare questo pericolo analizziamo la situazione specifica, andando a conoscere meglio i giovani down che hanno sollevato il caso. Si chiamano Luca, Stefano, Edoardo, Claudia, Marco, Matteo, Giulia, Giampy, Davide, Silvia. Sono tutti sportivi: praticano a livello agonistico lo sci, il nuoto, il tennis. Hanno raggiunto un alto grado di autonomia anche nel lavoro e nella vita quotidiana. Non si tratta allora di fare del buonismo, ma di riconoscere le loro capacità, non escludendoli in partenza e in blocco. Perché, parliamo chiaro, il problema non è il semplice accesso alla giostra, ma la considerazione che si ha di queste persone, che si traduce in atteggiamenti e, soprattutto, in opportunità concesse. O anche solo in chances di vita, visto che spesso riconoscere quel cromosoma in più in un feto è motivo di aborto. Torniamo a Gardaland. La direzione ha sottolineato come circa il 50 per cento delle persone down abbia malformazioni cardiache: un buon motivo per impedire l’accesso alle giostre più emozionanti. Ma per quella metà che non ha problemi di cuore, il problema non si pone. Tanto più che, secondo la guida del parco divertimenti, alcune attrazioni sono accessibili ai cardiopatici, e non agli «ospiti con problemi mentali/psichici». Proprio di questa definizione le associazioni dei familiari si sono lamentate. Perché le persone down non si possono considerare disabili psichici o mentali, ma intellettivi. Fa differenza, perché la sindrome è una condizione genetica, non una malattia. Fa differenza, perché bisogna considerarle persone. Col loro nome che non è «down», ma Luca, Stefano, Claudia...


Un valore che non si baratta: la vita

«Vorrei fare presente le mie osservazioni su quanto viene riferito a pagina 24 del numero di ottobre di quest’anno: “Da tempo Roma è in prima linea nel chiedere la fine delle esecuzioni capitali”. Di fronte a una simile affermazione, che viene contrabbandata come un atto di alta civiltà umana e cristiana, io mi scateno dal furore: è possibile che noi ci preoccupiamo della sorte dei criminali, quando poi, mediante la legge dell’aborto, condanniamo a morte non dei delinquenti meritevoli di condanna, ma degli esseri innocenti?

Lettera firmata


In quello che lei dice mi pare di leggere molta confusione, almeno per il fatto che mette in relazione due piani che hanno entrambi grandissima dignità e in comune la sacralità della vita, ma non vanno sovrapposti. Dedurre dalla permissività nei confronti dell’aborto, vera e propria strage di innocenti, il fatto che non ci si debba preoccupare più di tanto per contrastare la pena di morte, non è conseguente.

Noi, insieme alla Chiesa, stiamo dalla parte della vita, sia quella nascente sia quella adulta. Pari dignità, per un valore che non si baratta mai.


A scuola col «Messaggero» al fianco di Seneca

«Direttore, solo poche righe per complimentarmi con lei della sempre maggiore ricchezza e cura presenti negli articoli del “Messaggero”. Sono un insegnante di un Liceo della provincia di Roma e voglio ringraziarla delle sue parole sul mondo della scuola, apparse nel numero di settembre: un’analisi davvero lucida e penetrante di questa realtà, molto difficile da gestire, ma sicuramente non così nera come vogliono certi giornalisti. Leggo volentieri, tra tutti gli interessanti articoli, quelli di Andrea Arvalli: nell’ultimo, in particolare, ha saputo parlare della concezione del tempo in modo così chiaro e stimolante che ho subito fotocopiato e distribuito ai ragazzi la pagina da lui scritta. Sto spiegando Seneca, in questi giorni, nella mia V scientifico, e l’articolo è arrivato proprio a tempo. Lo ringrazi di cuore. Con l’invito a migliorare e a curare sempre più il “nostro” Messaggero (a cui mia moglie è abbonata). La saluto caramente nel Signore».

Lettera firmata


Caro professore, la sua lettera ha dato una bella soddisfazione sia a me che ai miei collaboratori. Non è la prima volta che il «Messaggero» entra in classe per alcune sue rubriche particolarmente apprezzate, ma la possibilità di diventare interlocutori delle giovani generazioni ci stimola a svolgere il nostro lavoro in modo sempre più aggiornato e propositivo. Grazie!



Lettera del Mese


Uomini e animali creature di Dio


L’uomo è inserito in una comunità di «viventi» con i quali condivide lo status di co-creatura, pur occupando nel progetto divino un ruolo particolare.


«Ho apprezzato molto l’articolo di Fabio Scarsato, nel numero di luglio-agosto, su santi e animali. Ho sempre pensato, come cattolica e sostenitrice dei diritti degli animali, che la sensibilità religiosa dovrebbe sempre più tenere conto anche di questi nostri amici, creature di Dio.

«Spesso il rapporto uomo-animale ha migliorato la nostra vita; penso al ruolo che hanno gli animali da compagnia, i cani per non vedenti, quelli impiegati presso la polizia e così via. Molte abitudini possono essere modificate tanto da migliorare sia la nostra come la loro condizione. Ad esempio, evitare il così spregevole abbandono, ora punito legalmente, significa salvarli e crescere moralmente. Una dieta vegetariana ha un vantaggio per la salute, per l’economia mondiale (più cereali destinati all’alimentazione umana invece che a quella degli animali d’allevamento) oltre che per la vita degli animali stessi. Gli esempi sarebbero tanti. A livello sociale e pedagogico, ritengo che un’accresciuta sensibilità nei confronti degli animali corrisponda a una generale difesa di chi è più debole. Colgo l’occasione per ringraziare il “Messaggero” per gli articoli sempre interessanti che propone».

Lettera firmata


Cara lettrice, vista la sua simpatia per gli animali mi fa piacere informarla che le relazioni del convegno «Santi e animali» saranno raccolte nel fascicolo monografico della nostra rivista teologica «Credere Oggi», precisamente nel n. 162, con un titolo leggermente modificato: «Cristianesimo e animali». Le segnalo un articolo particolarmente interessante dal titolo «Tre santi alle prese con gli animali», che contiene i seguenti approfondimenti: «S. Romedio e l’orso», «S. Francesco e il lupo», «S. Antonio di Padova e la mula». Altri interventi riguardano «“Quinto giorno...”: uomini e animali nella Bibbia», «Gli animali nell’islam... nella spiritualità laica», ecc.

Ma veniamo al rapporto più generale tra uomini e animali, vissuto troppo spesso nella prospettiva della fruizione, dello sfruttamento e del consumo. Nei secoli passati purtroppo l’uomo è stato letto senza il suo habitat, isolato rispetto alla natura, a un mondo animale e vegetale relegato a «inerte» contorno. Ultimamente, una lettura più avvertita della pagina biblica ha fatto recuperare una prospettiva più ricca e matura, maggiormente in linea con il cuore stesso di Dio. Nel libro della Genesi, e più precisamente nel racconto della creazione, si dice che gli animali vengono creati perché «non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,19-20). L’uomo non basta a se stesso, e nemmeno gli è sufficiente l’altro polo sessuale che di fatto rappresenta il vertice della relazione. Per questo è inserito in una comunità di «viventi» con i quali condivide lo status di co-creatura, pur occupando nel progetto divino un ruolo particolare. Il mondo, perciò, non è soltanto la dimora dell’uomo, ma di tutte le creature, e va abitato con spirito di fraternità, non certo di sopraffazione e rapina. I versetti che invitano a «soggiogare e dominare la terra» (Gn 1,28) altro non sono che il prolungamento della benedizione di Dio che l’uomo ha il compito di trasmettere a tutte le creature, prendendosene cura. Anche in solidarietà con le generazioni future.

La questione della dieta vegetariana merita una precisazione, almeno dal punto di vista biblico. In Gn 1,29 si legge: «Ecco, io vi do ogni erba, ogni albero: saranno il vostro cibo». Il mondo voluto da Dio o da lui promesso nel compimento dell’era messianica (il racconto delle origini è anche una visione al futuro) non prevede che gli animali servano da cibo per l’uomo. La possibilità di consumare la carne degli animali risulta essere piuttosto una concessione che Dio fa all’uomo nel clima di violenza alimentato dal peccato. «Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue» (Gn 9,3-4). L’astensione dal sangue animale significa, tra l’altro, fare memoria del fatto che l’uomo non ha sull’animale un potere assoluto.


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017