Lettere al direttore
Qual è il nemico numero uno della fede: l’ateismo, il relativismo, la scienza, il consumismo o la paura?
27 Gennaio 2009
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Una Chiesa che semina fiducia
«Ogni epoca ha a che fare con specifiche tentazioni che allontanano dalla fede. Mi chiedo quindi che nome abbia, oggi in Italia, il nemico numero uno della fede. Per alcuni è l’ateismo, anche se va riconosciuto che ha perso di mordente rispetto al passato, soppiantato com’è dal qualunquismo. Per altri è il relativismo, come ci ricorda spesso il Magistero della Chiesa. Per altri ancora è la scienza che, avanzando nelle scoperte, renderebbe sempre più limitato lo spazio da affidare a Dio; oppure il consumismo e la ricerca del piacere: tutte quelle realtà, insomma, che si oppongono all’approfondimento interiore. Io invece, senza esitazione, metterei al primo posto la paura, la diffidenza, la mancanza di fiducia. Qualcuno ipotizza che esista in Italia una vera “industria della paura” che non conosce crisi, ben alimentata da giornalisti, politici e notabili vari: quante notizie negative e preoccupanti, quanti slogan contro immigrati e portatori di diversità in genere, quanti oggetti in vendita per la nostra personale sicurezza…
Se le cose stanno così, allora mi chiedo: la nostra Chiesa è attiva su questo fronte? Intendo dire: se è vero che la paura è il più grande nemico della fede, la Chiesa è impegnata in prima linea a distribuire fiducia a tutti, o perlomeno a chi ne fa richiesta? O la fiducia è una “merce” rara anche nei gruppi parrocchiali, nelle funzioni domenicali, nelle assemblee di laici credenti, di preti e di vescovi? Dopo la ventata ottimistica del Concilio Vaticano II, non c’è il rischio che la Chiesa diventi una delle tante “corporazioni” che sulla mancanza di fiducia cercano di costruire un consenso e un riconoscimento sociale?».
Giovanni Tognana (PD)
Caro Giovanni, grazie per questa raffica di domande. Condivido la tua passione per una fede cristallina, che con la sua intensità e coerenza tiene a bada ogni paura, così come la tua visione di una società dove rapporti umani autenticamente solidali stanno alla base di una convivenza giusta, fatta di uomini e donne capaci di vivere il presente e di guardare al futuro con fiducia. Nei Vangeli, soprattutto in Matteo, la poca fede dei discepoli è legata alla paura, al dubbio, alla preoccupazione, e questo significa che se da una parte la difficoltà di credere, la scarsità quantitativa e qualitativa della fede è un’anomalia da superare, il cammino va rifatto infinite volte, praticamente sempre di nuovo. Per uscire dalla paura che ci rende ricattabili di fronte alla logica del mondo, egoistica e mercantile, per non insabbiarci nel gusto del dubbio sistematico e inconcludente, magari con un vezzo di narcisismo, per non sovraffollare i nostri pensieri con il peso di preoccupazioni che dovremmo saper affidare o almeno condividere.
La tua domanda, però, è incalzante, ed entra nel vivo della situazione dei nostri giorni. Un clima crescente di paura, di sfiducia nell’altro – soprattutto se portatore, in senso geografico ma non solo, di diversità – è facilmente riscontrabile da noi, qui, in Italia. Si tratta di una paura molto simile al contagio, che si amplifica di bocca in bocca, che spinge a isolarsi e riduce lo spazio sociale, prima di tutto a livello psicologico, di percezione della realtà. Senza voler negare reali problemi di sicurezza che vanno monitorati e risolti, ritengo che l’industria della paura – come tu la chiami – sia estremamente penalizzante per tutti.
E la Chiesa? Ti aspetti molto dalla Chiesa, e fai bene. Non credo però che sia bloccata dalla paura, e tanto meno che ne favorisca la circolazione per qualche interesse personale. Tutt’altro. Forse è la comunità umana e spirituale che più di ogni altra trasmette fiducia, suscita speranza, invitando a superare quella paura che raggela gli animi, spegne i sentimenti, atrofizza le relazioni. Se non altro per motivi di sopravvivenza, dal momento che combattere la paura è disboscare il terreno sul quale il seme della fede può crescere, in libertà e pienezza.
Mamme al Santo: un giorno di speranza
Da alcuni anni, in occasione della Giornata per la vita, nella Basilica del Santo si celebra una messa per tutte le mamme in attesa di un figlio (quest’anno alle ore 11.00 dell’1 Febbraio). Alla celebrazione arrivano in tante, alcune da molto lontano. Chi non può venire affida la sua preghiera a una lettera da porre sulla tomba di sant’Antonio. Le lettere sono decine, centinaia. Una comunità di madri che attraversa la penisola. Ogni scritto è un tassello di vita con le gioie e le difficoltà, le paure e le aspettative. Ne riportiamo alcune perché sono delle perle di fede autentica e per condividere con tutte queste mamme e con quelle che verranno la speranza dell’attesa. C’è chi già aspetta, come Giovanna. È felice certo, ma ha un tarlo in fondo all’anima: «Ti prego, sant’Antonio, con tutto il cuore, fa che sia tutto a posto. Che il bimbo sia sano. E che anche per me vada tutto bene. Ti prego, sani tutti e due». Raffaella è raggiante: «Diventerò mamma per la seconda volta». Era venuta in Basilica proprio in occasione della Giornata per la vita e aveva chiesto il suo piccolo grande miracolo al momento della benedizione solenne: «Tutto questo per me significa molto, la benedizione, l’attesa, la preghiera personale. Dio che, per intercessione di sant’Antonio, ascolta la mia preghiera e mi fa un grande dono». Ma non sono tutte storie a lieto fine. Anche Marino e Gioconda erano venuti in Basilica per chiedere la grazia di un figlio, dopo la grande sofferenza di due aborti spontanei consecutivi. Poi la lieta notizia finalmente arriva, ma i problemi iniziano subito: «Il battito del cuoricino era irregolare». Non si arrendono, sperano, «ma più il tempo passava più le ecografie davano risultati negativi». Poi il verdetto, terribile: microciste cefalica e gravi malformazioni. La via d’uscita proposta è una sola, l’aborto terapeutico. «Ho visto mio marito per la prima volta singhiozzare come un bambino, e vederlo così che sofferenza!». Poi l’affidamento totale a Dio: «Signore, ti chiediamo la grazia di guarire questo bambino; se però pensi di non poterci concedere questo miracolo, mettici le mani tu». E così all’ultima ecografia quel cuoricino malato non c’era più. «Sono tornata a casa, ma le lacrime accompagnano le nostre giornate. Nonostante tutto ringraziamo nostro Padre che è nei cieli per averci tolto da una scelta impossibile. Chiediamo a sant’Antonio di parlare Lui a Dio, affinché ci possa concedere la grazia di un bimbo e di sentire, dopo tante sofferenze, la sua vocina chiamarci mamma e papà».
A scrivere spesso sono anche i nonni. Annamaria ha consigliato alla nuora Susanna di recarsi a Padova per la messa delle mamme, dopo due gravidanze andate male: «Questo non ha nulla di magico, è il dono della fede». Cinque giorni dopo Susanna scopre di essere incinta. «Quando nascerà il bambino verremo tutti a Padova a presentartelo, caro sant’Antonio. I genitori sceglieranno per lui un nome che ricordi il fatto che tu hai intercesso». Tra le lettere più accorate anche quella di Paolo e Cristina; anche loro avevano inviato la propria preghiera. «Ci abbiamo creduto tanto in questa iniziativa e, anche se lontani, abbiamo partecipato con fede». Oggi aspettano un bambino. «Per noi è stata una grazia perché le speranze mediche erano veramente scarse. Vi ringraziamo di cuore per aver istituito questa giornata e per averci dato una speranza».
Malati di gioco d’azzardo
«Il gioco d’azzardo sta rovinando la mia famiglia. Mio figlio è sempre stato un bravo ragazzo, lavoratore: stava mettendo via i soldi per costruirsi la casa e sposarsi. Ho scoperto invece che si è mangiato tutto al gioco. Ora si è indebitato, la sua fidanzata vuole lasciarlo...».
Lettera firmata
Una volta si parlava di «demone del gioco». Se questa terminologia è andata ormai in disuso, il concetto però non cambia, e gli esiti sono simili a quelli descritti nella lettera: perdita economica (debiti e conto in banca prosciugato); perdita degli affetti (le persone vicine non si fidano più); perdita delle prospettive future (autostima e progetti). Non serve essere specialisti per intravedere in questi segnali una patologia che può distruggere la vita. È proprio questo il rischio sottolineato anche dal Catechismo della Chiesa cattolica, quando dice che «i giochi d’azzardo o le scommesse non sono in se stessi contrari alla giustizia. Diventano moralmente inaccettabili allorché privano la persona di ciò che le è necessario per far fronte ai bisogni propri e altrui. La passione del gioco rischia di diventare una grave schiavitù». Purtroppo non è solo una remota possibilità. Secondo gli ultimi dati, solo nel 2008 gli italiani hanno scommesso circa 800 euro ciascuno, 47 miliardi di euro totali cui si sommano altri 2 miliardi di gioco clandestino. Ben 1 milione 300 mila italiani sono «malati di gioco», con spese di oltre 7 mila euro l’anno. L’allarme è stato lanciato dal Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo (Conagga) che chiede alla politica di equiparare la dipendenza da gioco a quella da droghe. Oggi, un tossicodipendente che entra in comunità ha diritto alla cura, al mantenimento del posto di lavoro e ad altri benefici di legge, mentre un giocatore che voglia curarsi può scegliere solo il licenziamento. Invece, appare sempre più evidente che un approccio medico di carattere psicologico è necessario, per non cadere nell’autodistruzione. Una soluzione clinica non è però sufficiente da sola per uscire dalla dipendenza: bisogna far leva sulla propria volontà, sulla vicinanza delle persone care, scommettere – questa volta sì – sulla possibilità di un futuro diverso, meno in balìa del vento incerto della fortuna.
L’amore non va in cerca di previsioni
«A inizio d’anno mi è capitato di leggere in un settimanale, sotto la voce “amore” di un segno zodiacale, previsioni stupide oltre che infondate: “Anche se siete felicemente sposati, non escludete il coinvolgimento in una nuova relazione, ma prima di mettere in crisi la vostra coppia, verificate che il nuovo amore resista fino all’autunno”». Cosa gliene pare?».
Lettera firmata
Ha utilizzato i due aggettivi più adatti, vale a dire: stupide e infondate. Previsioni stupide per il semplice fatto che non si capisce perché qualcuno felicemente sposato – così dice il testo – debba andare in cerca di un’avventura extramatrimoniale; e nemmeno è comprensibile il consiglio di mettere in crisi la coppia per un’alternativa con data di scadenza. Nell’euforia di prospettare qualcosa di accattivante per l’anno nuovo, chi ha fatto questa previsione si è dimenticato che le persone, anche quelle balorde, non sono poi così sciocche. Previsioni infondate, poi, perché far dire alle stelle certe cose mi pare presunzione bella e buona, comunque irrispettoso della suggestione che sprigionano questi tremolanti corpi celesti. Se tanti amori sono nati sotto le stelle e con la loro complicità, è anche vero che l’amore vero non va in cerca di previsioni, tantomeno nelle stelle.
Per un’effettiva paritàscolastica
«L’anno prossimo vorrei iscrivere mio figlio in una scuola cattolica ma, purtroppo, non sono sicura di riuscire a far fronte alla retta, troppo alta per le mie possibilità. Non le sembra che le scuole cattoliche, rischino di diventare scuole d’élite?».
Lettera firmata
Il tema è molto complesso e ci riserviamo di approfondirlo in un prossimo articolo. Alcuni aspetti della questione, però, possono già essere posti in evidenza. La scuola paritaria, com’è quella cattolica, è stata riconosciuta dalla legge un’istituzione che svolge un servizio pubblico insieme alla scuola statale e fa dunque parte dello stesso sistema scolastico nazionale. Da tempo, però, essa non gode di un altrettanto pubblico finanziamento, per cui le famiglie che scelgono per i loro figli questa scuola devono sostenere oneri aggiuntivi. I contributi dello Stato, infatti, sono fermi da sei anni e su di essi grava la scure di ulteriori tagli. Eppure gli istituti scolastici paritari (aperti a tutti, credenti e non) suppliscono alle carenze statali e garantiscono allo Stato un effettivo risparmio, stimato in oltre sei miliardi di euro l’anno. A livello formativo, far bene le cose e con costi minori non può che essere apprezzato da tutti. Specialmente in questo tempo di crisi.
Sia pace per Gerusalemme
Lo scorso gennaio ho rappresentato il «Messaggero di sant’Antonio» in un viaggio in Terra Santa organizzato dalla città di Padova in occasione di un gemellaggio con le città di Betlemme e di Nazareth. Se per ogni cristiano l’andare nei luoghi della vita di Cristo è un po’ un tornare a casa, arrivarci in giorni di guerra mi ha «obbligato» a condividere una dimensione umana e spirituale che ha tutta la drammaticità di una infinita via crucis. Parliamo di una Terra sofferente, che non riesce a liberarsi delle cause profonde del proprio male, in cui tanti innocenti pagano a caro prezzo il diritto a esistere. Eppure è una Terra prescelta e benedetta, abitata da popoli che conoscono bene la portata del saluto Shalom, pace. Al di là dei luoghi sacri, ciò che più mi è rimasto nel cuore sono le persone che ho incontrato, persone che aiutano a recuperare i motivi della speranza in un futuro diverso perché, pur patendo su se stesse tutte le contraddizioni della situazione, mantengono un amore vivo a Gesù Cristo, ai fratelli di ogni razza e appartenenza, e ai luoghi santi. Persone, insomma, che vivono il Vangelo con un cuore che perdona. Al rientro, con la compassione in fondo al cuore per i tanti innocenti che lasciavo lì, a soffrire sotto le bombe, mi sono ritrovato a chiedere a me stesso: che cosa possiamo fare come cristiani? Innanzitutto mantenere i rapporti con la Terra Santa: le nostre diocesi sono invitate a non dimenticare questa Terra che non è un luogo facile, ma nella quale si può trovare il Vangelo scolpito sui volti dei fratelli cristiani, ebrei e musulmani.
Ai cristiani è chiesto anche di favorire un’opinione pubblica che spinga una politica mediorientale a favore della definizione di due distinti territori, nei quali due distinti popoli possano vivere in pace, l’uno accanto all’altro. Ma noi abbiamo anche una speranza in più: la Custodia di Terra Santa dei frati minori, cui sono affidati i luoghi sacri, ha come patrono sant’Antonio di Padova. Partendo da quei luoghi sono stato felice, quindi, di poterli affidare ancora una volta al Santo, certo di poter contare anche sulla speciale preghiera dei lettori del «Messaggero di sant’Antonio». Che il Santo possa davvero aprire quelle strade di speranza e dialogo che, oggi, sembrano così difficili da praticare.
Padre Danilo Salezze
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017