Il doppio dolore delle madri segrete
«Mi rivolgo a voi perché ho bisogno di aiuto, leggo sempre la vostra rivista e vi stimo. Sono una mamma segreta. Quando avevo 16 anni, ho partorito un bimbo. Non ho voluto abortire, ma i miei genitori non me l’hanno lasciato tenere, dandolo in adozione. Non sono qui a raccontare la mia storia, né il dolore. Ho perdonato i miei genitori, che ora non ci sono più. So che pensavano di fare il mio bene. Non ho cercato mio figlio, perché quando ho saputo che era stato adottato ho pensato che non volevo creargli altri traumi. Mi sono sposata e ho avuto un altro figlio. Ho commesso però il grande errore di non dire mai niente del mio passato, per paura, per vergogna. Se vi scrivo è perché adesso rischio di perdere ancora una volta tutto. È in pericolo la legge sul parto anonimo, dopo che una sentenza della Corte Costituzionale ha smantellato il principio dell’anonimato, che ha permesso a tante donne come me di non abortire. Chi vuole eliminarla dice che bisogna bilanciare i diritti dei figli che vogliono conoscere la madre, ma chi difende o bilancia il diritto di una creatura mai nata?… Mio figlio è nei miei pensieri 24 ore su 24; sono seguita da un padre spirituale altrimenti impazzirei, ma devo proteggere la mia famiglia: la croce che devo portare deve essere solo mia».
Lettera firmata
La ringrazio per questa lettera garbata e coraggiosa. Il dolore che traspare da ogni riga è un invito a non fermarsi alla superficie. A prima vista, infatti, questa vicenda appare un insanabile conflitto tra due diritti uguali e opposti: da un lato quello della madre in difficoltà che decide di portare a termine la gravidanza, contando sulla legge che le garantisce l’anonimato; dall’altro quello del figlio che a un certo punto della vita sente l’urgenza di ritrovare le proprie origini.
Sotto la superficie di questo conflitto di diritti si possono però intravvedere delle priorità, la più importante delle quali è già presente nella sua lettera: quante madri deciderebbero di abortire perché non più sicure dell’anonimato? Quante altre tornerebbero alla clandestinità, o ai cassonetti, con grave rischio per se stesse e per il nascituro? Ancor oggi circa 400 bambini all’anno nascono da madri segrete. Dagli anni ’50 ne sono nati 90 mila. Numeri che fanno pensare: il diritto più grande è quello di «sapere» o quello di nascere? Ciò non toglie il dolore e la rabbia di chi ha vissuto quello strappo. Non è facile e non è banale. È un lutto da comprendere ed elaborare.
Mi hanno colpito le parole di Claudia Roffino, Consigliere nazionale Anfaa (Associazione famiglie affidatarie e adottive) e figlia di madre segreta, alla Commissione giustizia della Camera, per difendere la legge sul parto anonimo, oggi messa in discussione. Claudia spiega: durante l’adolescenza «ho sentito forte la curiosità di sapere chi fossero (i miei genitori) e perché avessero scelto di non tenermi… Ero molto arrabbiata con loro». La rabbia, però, si trasforma presto in sete di conoscenza. Claudia va a parlare con medici e operatori degli Ipim (Istituto provinciale per l’infanzia e la maternità) e scopre la sua verità: «La scelta delle donne è dolorosa, drammatica, devastante, spesso il loro silenzio viene confuso con indifferenza, quando invece sono ammutolite da un dolore sordo… Eppure affrontano tutto questo per permettere al bambino di nascere, di non pagare con la morte una violenza, un errore, una scelta non condivisa e non percorribile da sole: le vere abbandonate in quel momento sono loro». Quello strappo sarà per sempre e per entrambi. Ma a seconda del proprio vissuto interiore potrà diventare una ferita insanabile o un reciproco immenso atto d’amore, che si apre a coloro che verranno.
2 novembre 2014
I segni sono importanti. Per questo ormai da anni, ogni 2 novembre, in occasione della messa celebrata in suffragio di tutti i defunti della grande Famiglia Antoniana, i frati del «Messaggero di sant’Antonio» portano all’Arca del Santo le preghiere inviate da voi lettori, a ricordo dei vostri cari defunti. Quest’anno a portare le ceste colme di preghiere c’erano fra Giancarlo Zamengo, direttore generale, fra Fabio Scarsato, direttore editoriale, e fra Luciano Segafreddo, che per quarant’anni è stato direttore dell’edizione per gli italiani all’estero.
È stato un momento di intensa comunione per tutti gli appartenenti alla grande Famiglia del Santo.
Lettera del mese
Fede e natura
Semplicemente diversi
All’uomo è stato affidato un compito che non è invece in capo agli animali. Quello della contemplazione estatica del creato. Ma anche, concretamente, quello della cura e della responsabilità di tutto questo «ben di Dio»!
«Premetto che né io né la mia famiglia siamo credenti né tantomeno praticanti: rinnovo l’abbonamento al “Messaggero” solamente per rispetto ai miei genitori che erano abbonati da tanti anni. Quando arriva il giornale, però, lo sfoglio sempre. Non credevo ai miei occhi quando, sul numero di ottobre, ho visto due, dico ben due articoli a favore degli animali! Che sant’Antonio abbia finalmente fatto un miracolo, mi sono detta? Ma quando mai la Chiesa – o chi per essa – ha fatto o detto qualcosa per i nostri fratelli più deboli, quelli che non hanno neanche la voce per farsi sentire, eppure soffrono come noi quando si fa loro del male? Mai gli animali sono stati tenuti in considerazione, ovviamente perché non fanno offerte, non danno soldi! Al contrario, abbiamo sempre sentito di non spendere soldi per loro, ma di destinare tutte le risorse agli umani! Bene, mi sono detta, speriamo che sia un piccolo inizio di cambiamento di quella visione tutta antropocentrica di cui, purtroppo, è permeato il giornale! Grazie per l’attenzione e un cordiale saluto».
Lettera firmata
Uno dei ricordi belli di quand’ero piccolo ha come protagonista un bel micione, che ogni mattina mi accompagnava a scuola… Ma, cercando di rispondere all’amica lettrice, devo riconoscere di essere un filino «razzista». Nel senso che mi piacciono le differenze: mi piace quando ognuno è se stesso, nella sua particolarità e unicità. Non è tutto sullo stesso piano! Non mi piace quando dire che «siamo tutti uguali» significa appiattire e sciogliere in una poltiglia informe la ricchezza che ogni cosa è. E leggo con emozione nella Genesi che Dio creò ogni essere vivente, erbe e animali, «ciascuno secondo la propria specie»! È la dignità di ogni cosa creata, ma anche il suo limite. Il limite di essere quel che è, e non tutto il resto.
All’entrata del santuario di San Romedio, in Trentino, è scolpito un buon ammonimento: che se è cosa meravigliosa che la bestia si sia mutata in umano (il riferimento è all’orso addomesticato miracolosamente dal santo eremita), cosa ancora più incredibile è vedere come gli uomini spesso diventino bestie! Per cui non mi piace, evidentemente, quando l’uomo s’imbestialisce, ma nemmeno quando si «umanizza» l’animale. Insomma, è meglio che la bestia resti bestia, e l’uomo uomo. Perché se gli animali hanno gli stessi diritti dell’uomo, devono averne anche i doveri. O, per lo meno, anche la gazzella inseguita dal leone avrebbe il diritto di non diventare pasto del carnivoro. E poi, perché solo gli animali? Anche le pietre, anche i fiori sono creature di Dio, rispondono cioè al suo progetto d’amore (avete notato che san Francesco, spesso citato con il suo Cantico delle creature, loda il Signore per fratello Sole, sorella Luna e via dicendo, ma non nomina nessun animale?). A rigor di logica, almeno biblica, dare un calcio a un sasso, strappare una margheritina, spiaccicare una zanzara sul muro o uccidere un qualsiasi altro animale sono sullo stesso piano. Su questa strada non andiamo da nessuna parte.
Siamo diversi, uomini e animali. Non uno meglio dell’altro, semplicemente diversi. La Parola di Dio però mi dice anche che all’uomo è stato affidato un compito, che non è invece in capo agli animali. Quello della contemplazione estatica del creato. Ma anche, concretamente, quello della cura e della responsabilità di tutto questo «ben di Dio»! E subito dopo quello della lode e del ringraziamento al Creatore. Compiti che l’uomo svolge per e con l’intera creazione. Tutto ciò, concordo, non ci autorizza a sentirci padroni di un bel niente, tanto meno a non aver rispetto dei nostri fratelli animali. Anzi!
Lettere al Direttore, scrivere a: redazione@santantonio.org