Lettere al Direttore

28 Settembre 2009 | di

 

Nonni: risorsa per famiglie e società

 

«Caro direttore, qualche mese fa i miei genitori si sono separati. Mia sorella e io viviamo con la mamma ma, di fatto, a prendersi cura di noi sono i nonni. Quando torno a casa da scuola la prima parola che scambio è con loro. Mio nonno ha persino imparato a usare il cellulare e a inviarmi sms per sapere a che ora rientro. Insieme commentiamo i giornali, ci facciamo qualche sana camminata in montagna. Grazie al racconto quotidiano delle sue esperienze, mi sta facendo scoprire un mondo che non conoscevo e un nonno che, in fondo, non sapevo di avere».

Alessandro ’92

«Il compito educativo dei nonni è sempre molto importante, e ancora di più lo diventa quando, per diverse ragioni, i genitori non sono in grado di assicurare un’adeguata presenza, accanto ai figli, nell’età della crescita». Queste parole, caro Alessandro, sono del Papa che, alla figura e al ruolo dei nonni, affida un compito primario: quello di depositari e testimoni, nella famiglia, dei valori fondamentali della vita. I nonni rappresentano un’insostituibile risorsa sotto molti aspetti. Secondo un’indagine della Camera di Commercio di Milano, il loro aiuto, nel nostro Paese, vale almeno 50 miliardi l’anno, una cifra da capogiro. Solo per fare qualche esempio, si tratta di babysitteraggio (richiesta che aumenta soprattutto d’estate, quando i genitori lavorano e le scuole sono chiuse), di riassetto della casa, lavando e stirando per delle figlie superimpegnate, ma anche molto altro. Il geriatra Carlo Vergani equipara i nonni ad «ammortizzatori sociali», e non si può che convenire: avere una rete parentale di supporto, soprattutto in tempi di crisi, è cruciale. Ma i nonni non sono solo questo. «Gli uomini quando diventano nonni sono più felici. Danno molto in termini di affetto, fantasia e disponibilità» afferma Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia dinamica a Pavia, nel suo libro Nuovi nonni per nuovi nipoti. E poi da alcuni anni i nonni hanno anche la loro festa, fissata per legge, e non a caso, nel giorno che il calendario riserva agli Angeli Custodi, il 2 ottobre. Se dunque i nonni sono riconosciuti da più parti come una preziosa risorsa, cerchiamo di mettere in atto scelte coerenti che li valorizzino al meglio. E, anche al di là dell’utile che ce ne viene, cerchiamo soprattutto di amarli. È ciò di cui hanno più bisogno, come tutti!

 

Poca dignità nel lavoro a sorteggio

«Il mio nome è Salvo, ho 44 anni e da qualche mese sono “disoccupato”, una parola che metto tra virgolette perché in realtà sono molto occupato a cercare un impiego, dopo essere stato licenziato sull’onda della crisi. Le comunico la mia amarezza di fronte all’iniziativa di una catena di supermercati che ha messo in palio dieci posti di lavoro a tempo determinato per un anno: non la condivido, anzi un po’ mi ripugna. Vorrei essere scelto per quello che valgo, non per un colpo di fortuna».

Lettera firmata

Forse nemmeno i promotori di questo stravagante concorso si attendevano il successo mediatico della loro promozione. Ma tant’è: la stampa tutta ha parlato dei supermercati di Varese e provincia dove i premi fedeltà, a estrazione, si trasformano in posti di lavoro come addetto alla vendita, poco più di mille euro al mese, con la prospettiva che, alla scadenza dell’anno, il contratto diventi a tempo indeterminato. Di positivo c’è il fatto che l’azienda, di questi tempi, stia assumendo. Ma non è questo il punto, bensì la modalità e il contesto dell’iniziativa, ovvero il periodo di crisi economica che stiamo attraversando. La sensazione è che si sia sfruttata a fini pubblicitari la necessità di molti di trovare un impiego. I primi a esprimere disappunto sono stati i sindacati: con i 30 mila lavoratori in cassa integrazione ordinaria e straordinaria e i millecinquecento in mobilità nel solo territorio varesotto, una scelta diversa era possibile e forse auspicabile.

Infine mi trovo in buona compagnia nel ritenere che il lavoro è una cosa seria (l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, recita appunto la Costituzione italiana), un bene che esprime la dignità della persona e la accresce, contribuendo alla sua realizzazione. La fortuna, che pure può avere un qualche peso anche nella ricerca di un impiego, non può sostituirsi al merito, alla laboriosità, all’intraprendenza del singolo.

 

Limitare la playstation ai figli: come?

«Vista l’attenzione che date ai temi dell’educazione, mi piacerebbe chiedere un confronto, magari aperto anche ad altri genitori, su un tema che mi sta a cuore: come regolare l’uso della playstation, e in genere dei videogiochi, ai figli? La questione divide me e mio marito, benché davanti ai figli ci si sforzi di individuare una linea comune. Fin dalle prime discussioni io cercavo di argomentare per ritardarne l’uso, ma lui obiettava che non aveva senso visto che i nostri figli vivono nell’era digitale. Io proponevo programmi a mio avviso più adatti ai bambini, ma alla fine nulla poteva competere con gli “sparatutto”, con cui, credo, si diverta anche mio marito. Io, come una guardia svizzera, limitavo gli orari, mentre mio marito filosofeggiava: “Meglio aspettare che l’aggeggio perda il suo fascino proibito”. Solo che io ho qualche dubbio su questo epilogo (a tutta playstation) e più di un timore: che impatto ha su un bambino questo tipo di gioco? Non rischia di isolarsi, disperdere concentrazione, confondere realtà e finzione, insomma contrarre una sorta di dipendenza?».

Lettera firmata

Ogni nuova tecnologia porta con sé dei cambiamenti dai risvolti sconosciuti: è normale che un genitore s’interroghi sui rischi e cerchi di individuare le opportunità. L’importante è non radicalizzare le posizioni e cercare di capire questo nuovo brodo di coltura in cui stanno crescendo i bambini di oggi, quelli che gli esperti chiamano i «nativi digitali», un popolo mai esistito prima con cui dobbiamo cercare di dialogare da subito. Innanzitutto, non possiamo sottovalutarli: non credo che un bambino con due genitori presenti alle sue spalle non sia in grado di distinguere il vero dal falso o di capire che sta esagerando. Ma non è bene neppure sopravvalutarli: non tutti i programmi sono alla portata di bambino e trasmettere il senso del limite richiede un grande sforzo educativo da parte dei genitori. Anche i videogiochi non sono che un mezzo da imparare a usare. C’è chi li usa male, per promuovere il razzismo e la violenza, e chi li sa utilizzare come mezzo didattico o per lanciare, come nel caso di una nota organizzazione umanitaria, una campagna di lotta contro il lavoro minorile. In questa nuova dimensione ricca di possibilità e di rischi, credo che la dialettica tra lei e suo marito possa approdare a una buona sintesi.

 

Adulterio dello sguardo e «nel cuore»

«Mi ha sempre colpito quella frase evangelica che dice: “Avete inteso che fu detto: ‘Non commettere adulterio’: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore” (Mt 5,27-28). Se le cose stanno così, è ben difficile non essere “adulteri”, almeno ogni tanto… Ma il Vangelo, in questo, non è troppo esigente?».

Lettera firmata

Il Vangelo è certamente esigente, nel senso che non fa sconti a nessuno. Mette così a disposizione di tutti la misura alta della carità e della verità. La modalità del nostro sguardo è rivelatrice del nostro «cuore», biblicamente il luogo delle decisioni più che dei sentimenti. Uno sguardo può dunque portare lontano, lontano dal cuore di Dio e dalla verità dell’altro, strumentalizzandolo. Così si esprimeva Giovanni Paolo II in una udienza generale dell’8 ottobre 1980: «L’adulterio “nel cuore” viene commesso non soltanto perché l’uomo “guarda” in tal modo la donna che non è sua moglie, ma appunto perché guarda così una donna. Anche se guardasse in questo modo la donna che è sua moglie commetterebbe lo stesso adulterio “nel cuore”». Attenzione, non si tratta dello sguardo che apprezza, ma dello sguardo intrusivo e predatorio di chi pensa solo a sé e al proprio desiderio, di chi non rispetta la dignità del coniuge e lo riduce a mero oggetto senza alcun interesse per la relazione. La forza dell’attrazione sessuale, pur mantenendo intatta la sua valenza positiva, non può e non deve mai – anche nella coppia – prevaricare l’altro. E questo vale sia per l’uomo – di cui parlano i versetti evangelici – che per la donna. Caso evidente di assoluta parità.

 

L’amicizia ai tempi di Facebook

«Gentile direttore, sono un’impiegata amministrativa, ho 38 anni. Con molte colleghe ci si frequenta ogni tanto anche fuori dal lavoro, e inoltre «siamo amiche» in Facebook. Le scrivo proprio a questo proposito. Faccio un esempio: incontro una collega al caffè, le chiedo come sta, mi risponde: “bene” e mi racconta il programma della serata. Poi, invece, sul suo profilo di Facebook, scopro che vive un pessimo momento, per una difficoltà affettiva che la fa star male anche fisicamente. Situazioni di questo tipo mi sono capitate più di una volta. Non riesco a capire e mi domando: sono io a essere poco accogliente?».

Lettera firmata

Ai tempi dei social network (di cui Facebook è un esempio di punta) la situazione da lei descritta è purtroppo frequente: lo schermo del computer pare abbia sostituito la relazione faccia a faccia. Perché? I motivi possono essere molteplici: di fronte al computer ci si sente più liberi e disinibiti che nella realtà; ci si relaziona con gli altri in modo più asettico (lo schermo filtra le emozioni); ci si può permettere di non essere troppo sinceri, costruendosi un’identità virtuale che non corrisponde completamente a quella reale. Credo, quindi, che quanto le è capitato non dipenda dalla sua scarsa capacità di accoglienza, ma piuttosto dalla natura stessa di Facebook. D’altra parte siamo dinanzi a un social network cresciuto rapidamente: si stima che in Italia siano già oltre 5 milioni gli iscritti. Tutti parlano del fenomeno: ragazzi, sociologi, psicologi, e – naturalmente – genitori ed educatori. Facebook nasce nel 2004 dall’idea di Mark Zuckerberg di mettere on line gli iscritti ad Harvard. La possibilità di ritrovare vecchie conoscenze e «fiamme» del passato (amori retroattivi!) si rivela concreta, e da quel momento il mezzo si affina divenendo luogo e opportunità di facile aggregazione. Tuttavia non mancano pericoli o abusi. «La relazione umana – scrive su “Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro – non è un gioco e richiede tempi, conoscenza diretta. La relazione mediata dalla Rete è sempre necessariamente monca se non ha un aggancio nella realtà… Facebook, in fondo, incarna un’utopia: quella di stare sempre vicini alle persone cui teniamo in un modo o nell’altro, e di conoscerne altre che siano compatibili con noi. Ma l’utopia deve confrontarsi col rischio grave che cellulari e computer possano alfine isolare e dare solamente una parvenza di relazione, non fatta di incontri reali». Pertanto, concludendo, le rispondo che, al di là delle enormi potenzialità della Rete, quando non ci si incontra faccia a faccia, alla fine a pagarne il conto è la vita, quella vera. Tutti webbizzati, inoltre, non vuol dire tutti amici: anche se si utilizzano le stesse parole, i significati sono diversi. L’amicizia ha bisogno di altri tempi e luoghi, e non si coltiva a colpi di click. Essere «amici di mouse» può rappresentare un inizio esplorativo e passeggero anche interessante, niente di più.


 

Lettera del Mese


Dalla convivenza al matrimonio per convinzione


Evangelizzare la convivenza significa non rassegnarsi a un fenomeno statisticamente sempre più diffuso e orientare con pazienza verso il matrimonio stabile e definitivo. Basato sull’amore.

«Caro padre Ugo, vivo da qualche tempo una grande sofferenza e per questo ho deciso di scriverle. Mio figlio, trentenne, è andato a convivere con una ”amica”, naturalmente con la disapprovazione mia e di mio marito. Dice che si tratta di un periodo di prova, per giudicare se la compagna scelta sia davvero la persona giusta, ma forse lo dice solo per darmi qualche speranza che alla fine si arrivi al matrimonio. Ho parlato anche con il sacerdote della nostra parrocchia, il quale sostiene che forse mio figlio ha bisogno di passare anche attraverso questa esperienza per approdare a un rapporto stabile e suggellato dal sacramento».

Mamma Giuliana


È sempre più difficile vivere la relazione, l’affidamento reciproco, l’amore, in un mondo che cambia in modo vorticoso. I modelli del passato sono stati spazzati via e quelli nuovi ancora non si intravedono, oppure appaiono provvisori e fragili, in gran parte pragmatici e svuotati di idealità. La cosa curiosa è che il matrimonio celebrato in chiesa resta per molte coppie la meta ideale verso la quale ci si sente chiamati, ma poi, per mille motivi, ci si ferma prima, e la convivenza diventa di fatto uno dei modelli prevalenti nonché socialmente accettati. Anche se non è possibile, proprio per la complessità appena accennata, fare di ogni erba un fascio: in verità non sono molte le coppie che si orientano alla convivenza come scelta anti-matrimoniale, cosa invece più usuale per una ventina d’anni a partire dal fatidico ’68; oggi un buon numero di coppie, ed è questo il caso di suo figlio, intende la convivenza come prova pre-matrimoniale, vale a dire un periodo di sperimentazione in vista di una decisione definitiva che per il momento resta sospesa: è curioso notare come ormai in Italia poco meno del 50 per cento di coloro che chiedono il matrimonio sono stati prima conviventi. Si può legittimamente parlare di una sorta di strategia del rinvio, e insieme di una omologazione delle relazioni di coppia a quelli che sono i diffusi modelli di consumo. Se la percezione è di navigare a vista negli affetti come nel mondo lavorativo, con poche garanzie e quindi senza la possibilità di configurare per sé e per altri un futuro credibile, le relazioni ne rimangono talmente stressate che tutto viene appiattito sul presente. Si teme di restare condizionati e come compressi in situazioni di vita che possono presto diventare insostenibili, emotivamente ma anche economicamente: qualcuno ha detto che ciò rivela più una mentalità anti-divorzio che anti-matrimonio (a impaurire è il fallimento della relazione, non il matrimonio in sé), anche se il permanere sulla soglia dell’indecisione troppo a lungo, inchiodati in un perenne stand-by, alla lunga può risultare controproducente, logorante, e fa correre il rischio di perdere di vista l’ideale.

Per la Chiesa la sfida si presenta di enormi proporzioni e di grande portata. Evangelizzare la convivenza significa innanzitutto non adeguarsi con rassegnazione a un fenomeno statisticamente sempre più diffuso e orientare con pazienza verso il matrimonio stabile e definitivo. Evitando però, poiché sarebbe riduttivo e scorretto, di far scivolare eventuali convivenze in matrimoni che non abbiano alla base la necessaria consapevolezza circa il passo in avanti che va compiuto.
Non si tratta infatti di onorare una legge ecclesiastica, per quanto fondamentale, ma di cogliere in essa e attraverso di essa la profonda esigenza cristiana dell’amore, quel «per sempre» che chiede limpida e totale condivisione di uomo e donna, con solenne promessa di fronte a Dio.
Cara Giuliana, continui a pregare per il cammino di suo figlio e della sua compagna. Anche se contrariata, esprima loro tutto l’amore di cui è capace come donna e come mamma. L’amore nasce solo dall’amore, non dalla costrizione o dai ricatti. Come ben sa, non ci si deve sposare in chiesa per far contenti i genitori ma per convinzione.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017