Lettere al direttore

22 Aprile 2010 | di

LETTERA DEL MESE


Matrimoni misti tanti e fragili


Nel nostro Paese stanno aumentando i matrimoni misti. Unioni non facili che richiedono attenta valutazione e adeguata preparazione.


«Caro padre, sto vivendo un periodo di grande tensione perché mia figlia minore, che studia medicina, ha conosciuto e frequenta da qualche mese un senegalese di religione musulmana. Escono spesso insieme e, se non sono proprio fidanzati, certo dev’essere nata una simpatia. Conosco bene mia figlia, una ragazza anticonformista che ama tutto ciò che in qualche modo è diverso e lontano, alternativo. Vorrei che non si giocasse la vita con una decisione avventata, anche perché ha sempre frequentato la Chiesa e non credo sia disposta a rinunciare alla sua tradizione religiosa di cattolica praticante. Ma sa, l’amore è cieco e a volte fa fare delle cose di cui poi ci si pente (…). Cosa ne pensa dei matrimoni misti?».

Lettera firmata


Nel nostro Paese stanno aumentando in modo massiccio, grazie alla crescita costante del flusso migratorio, le cosiddette unioni miste. Per lo Stato si tratta di matrimoni tra un italiano/a e un cittadino/a di diversa nazionalità, mentre per la Chiesa la diversità riguarda la confessione o la religione professata: è un matrimonio misto quello tra un cristiano cattolico e una cristiana valdese, non lo è quello tra un cattolico italiano e una cattolica salvadoregna immigrata. I dati Istat relativi al 2006 ci dicono che in Italia ormai è misto un matrimonio su dieci: a scegliere un coniuge straniero sono prevalentemente i maschi (19 mila – più del 75 per cento – a fronte di 5 mila italiane). Gli uomini preferiscono le donne dell’Europa orientale (49 per cento) e nel 21 per cento dei casi dell’America centro-meridionale. Rari i casi nei quali un italiano cattolico scelga di sposare una donna di religione musulmana, anche perché la cosa è severamente vietata dalla legge coranica. Più precisamente, se un maschio musulmano può sposare una «donna del Libro» – praticamente un’ebrea o una cristiana (Corano 5,5) – una musulmana non può sposare un «politeista» (Corano 2,221) o un «miscredente» (Corano 66,10), categorie all’interno delle quali sono annoverati cristiani ed ebrei. Anche a livello giuridico, molti Paesi islamici non rilasciano l’autorizzazione civile al matrimonio tra un cattolico e una musulmana se il primo non ha emesso la shah`da, vale a dire la professione di fede: «Non c’è divinità all’infuori di All`h e Muhammad è il suo Messaggero». Purtroppo molti credono che si tratti di una formalità, quando invece dal punto di vista cattolico questa professione pone in atto una vera e propria apostasia. Di fatto significa aderire all’islam.

Ma veniamo a sua figlia che ha intrapreso, per motivi elettivi, cioè di scelta, una via ardua. Nessuno mette in dubbio che il legame amoroso è realtà forte e positiva, che aiuta a superare anche aspre difficoltà, e quindi va assolutamente rispettato.

Se però in genere i matrimoni misti sono particolarmente fragili, quelli tra un musulmano e una cattolica lo sono per più motivi, e i numerosi fallimenti (quando non si sfiora il dramma) stanno a dimostrarlo. Non è diret­tamente l’appartenenza religiosa all’islam a fare problema, quanto il fatto che da tale appartenenza derivano forme culturali difficilmente modificabili in breve tempo: il modo di intendere la paternità e la maternità, l’educazione religiosa dei figli, il ruolo della donna, il legame con le famiglie di provenienza, la fedeltà nel rapporto nonché la sua unicità, l’indissolubilità del matrimonio. Inoltre, molto cambia se il matrimonio è vissuto in uno Stato occidentale o se si pensa di stabilirsi in uno Stato islamico. Nel secondo caso i problemi aumentano di molto e la cosa è sconsigliabile. Vi sarebbero poche o nulle garanzie sul­l’educazione cattolica dei figli, nonostante accordi precedenti in tal senso. Cerchi di mettere sua figlia in contatto con un prete cattolico competente in materia: prima conoscere, poi scegliere!



LETTERE AL DIRETTORE

Niente nipoti ai nonni che viziano?

«Ho due figli, un bambino di sette anni e una bimba di due. Da quando sono nati, mio marito e io ciclicamente litighiamo sull’opportunità o meno di lasciarli ai nonni dopo l’asilo nido e la scuola, nei giorni in cui io devo lavorare anche di pomeriggio. Discussioni molto aspre, un po’ perché i nonni premono per averli, un po’ perché ognuno di noi, in fondo, forse pensa che i propri genitori siano “migliori” di quelli dell’altro. In ogni caso, io noto che quando i piccoli stanno un po’ di tempo con i nonni diventano più viziati: inutile che noi ci affanniamo a insegnare regole e dare limiti se poi i nonni non hanno la stessa coerenza. Così, di fatto, glieli affido sempre meno, specie ai miei suoceri che sono sempre lì, con il regalo in mano…».

Elisabetta


La situazione che descrive è molto comune: è un confronto tra generazioni e tra ruoli da cui si esce solo dialogando e mettendo al centro il bene del bambino. Credo che la prima cosa da fare sia chiarire con suo marito quali sono per voi i capisaldi dell’educazione. Già questo confronto toglierà le prime ambiguità, il non detto che fa attecchire la zizzania. Andate poi dai vostri genitori, insieme, e, chiarendo che vi sono dei principi che ritenete essere dei punti fermi, chiedete apertamente collaborazione. Anch’essi vi esprimeranno le loro ragioni: magari un punto di vista a cui non avevate pensato e che potrebbe rivelarsi di utilità per i vostri figli. Tutti sappiamo, se non altro per esperienza personale, che una cosa è un genitore e un’altra è un nonno; l’uno ha uno spiccato ruolo educativo, mentre nell’altro prevale la dimensione dell’affetto e della complicità. E anche questi ultimi sono valori da non sottostimare. Ogni nonno è un mondo, un passato, una storia, un affetto grande che appartiene di diritto al bambino. Non credo sia impossibile modulare aspettative e convinzioni, regole e affetti, comportamenti non negoziabili e qualche piccolo strappo alla regola a fin di bene. D’altra parte un bambino sa, meglio di chiunque altro, chi è un nonno e chi è un genitore.



Quando single fa rima con solitudine

«Caro padre, sono un’abbonata di Milano. Sono rimasta impressionata da un recente studio che riguarda la mia città: il numero dei single per la prima volta ha superato quello degli sposati. Non so spiegarmelo bene nemmeno io, ma questa informazione mi ha procurato una certa tristezza…».

Annamaria


Gli stati d’animo, a volte, vanno presi sul serio. Bene quindi condividere il disagio, anche quando pare difficile da spiegare, come lei afferma. Io stesso provo un certo malessere di fronte a questa notizia, e cerco di analizzarla per capirne i contorni. Intanto: la situazione milanese è un picco perché, dati Istat alla mano, in Italia i nuclei familiari formati da una sola persona sono «solo» il 28,4 per cento. Sul 50,6 per cento registrato a Milano incidono i giovani che vengono ad abitare nella capitale lombarda per motivi di lavoro; la crescita di separati e divorziati; gli anziani vedovi (per la maggior parte donne); i migranti che lasciano le famiglie nei Paesi d’origine.

Da questa veloce analisi emerge un dato di fatto: chi vive da solo, nella maggior parte dei casi subisce la condizione di single. Se avesse un’alternativa, probabilmente la sceglierebbe, anche se la vita da single – ne abbiamo già parlato su queste pagine – può essere una vocazione per chi ha una missione che non richiede il matrimonio. In definitiva, disinneschiamo la notizia dalla sua possibile carica esplosiva: il dato milanese non è imputabile ad alcuna «guerra» tra scapoli e ammogliati. Perché allora resta la tristezza?

Forse al pensiero che per tanti la parola single significa solo solitudine.



Un grazie a tutti i nostri lettori

«Sono abbonata al “Messaggero di sant’Antonio” da tanti anni. È veramente bello, esauriente, colto, attuale, tutto grazie al direttore e ai suoi collaboratori. (…) Grazie della dolcezza e dell’umanità, della competenza che adoperate rispondendo alle domande attuali dei lettori e dello spirito di gioia, nonostante la gravità di certi problemi, che ci infondete. A mio figlio, che a breve farà la Cresima, regalerò un abbonamento al “Messaggero dei Ragazzi”».

Una mamma


«La crisi economica è entrata in modo pesante in casa nostra. Abbiamo dovuto tagliare tutte le spese non strettamente necessarie. Tutte, tranne una. Forse perché, anche se così non sembra, è in realtà più necessaria di altre. Sto parlando dell’abbonamento al “Messaggero”. D’altra parte, proprio quando la vita si fa più dura è necessario mantenersi ancorati a una speranza, e voi la comunicate sempre nei vostri articoli. Grazie, per tutto il bene che fate e che, con l’aiuto del Signore, vi auguro di continuare a fare per tanti anni ancora».

Un abbonato grato


Abbiamo scelto due delle tante lettere di apprezzamento che ogni mese giungono in redazione. Non possiamo pubblicarle tutte, per ovvi motivi di spazio, ma a tutti i lettori va il nostro grazie. Quando scegliamo gli argomenti da trattare sulla rivista, quando scriviamo, quando cerchiamo le foto da mettere in pagina noi pensiamo a voi, cari amici lettori, che ci premiate con il vostro sostegno, la vostra attenzione, la vostra fedeltà: il «Messaggero», in una recente indagine Audipress, figura essere la rivista che in Italia ha uno dei più alti indici di «frequenza di lettura» (vale a dire che quanti la ricevono la leggono attentamente, pagina dopo pagina, tutti i mesi). Continuate a seguirci. E a stimolarci con i vostri suggerimenti e consigli. È nostro desiderio realizzare una rivista bella e ricca di contenuti, sempre più al vostro servizio.


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017