L’Europa dei cittadini

«Sono figlio dell’emigrazione e come tale sono convinto che l‘integrazione dei popoli, e il riconoscimento dei medesimi diritti è possibile se ci sono dei vissuti e delle esperienze comunitarie».
04 Dicembre 2002 | di

Ho avuto l";opportunità  d";incontrare l";ingegnere Domenico Lenarduzzi, a cui l";8 settembre scorso l";Università  di Firenze e la Sefi, Società  europea per la formazione degli ingegneri, hanno consegnato il «Career Prize» per il contributo dato all";internazionalizzazione dell";educazione universitaria in Europa. È solo uno dei tanti riconoscimenti ricevuti per i lunghi anni di carriera presso la Comunità  europea a Bruxelles. Qualche mese fa era stato insignito della laurea honoris causa dell";Università  di Lovanio, e la prestigiosa rivista Nouvel Observateur nel 1998 l";aveva inserito tra i 100 campioni made in Europe. I giovani dei Paesi della Ue conoscono Domenico Lenarduzzi come ideatore e realizzatore delle prime iniziative europee nel campo dell";istruzione: il Programma Comett, per la collaborazione tra il mondo dell";industria e delle università ; i Programmi Socrate ed Erasmus, che hanno favorito la mobilità  dei docenti e degli studenti delle università  nei territori dell";Unione, ponendo le fondamenta dell";Europa dei cittadini. Oggi, continuando a rimanere vicepresidente dei Fogolà¢rs furlans del mondo e presidente dello stesso ente a Bruxelles, egli offre il suo apporto alla Commissione europea come direttore generale onorario, consigliere personale del ministro Reding, con la volontà  di raggiungere tanti altri obiettivi per costruire, come ama ripetere, l";Europa dei cittadini.

Il mio colloquio con l";ingegnere Lenarduzzi ha ripercorso la sua vita, partendo dalla sua nascita a Torino, nel 1936, e dal primo triste ricordo inciso nella memoria: il terribile bombardamento della città , all";inizio del 1943. La sua famiglia fu obbligata a sfollare a Ovoledo di Zoppola, paese originario del padre, il quale, militare a Mentone fino all";armistizio dell";8 settembre 1943, sperava di trovare in Friuli un lavoro. Non fu così e allora, nel maggio del ";46, partì per il Belgio con il primo convoglio di lavoratori italiani. Dopo un anno di miniera a Charleroi, ritornò a Ovoledo per portare in Belgio la famiglia.

Domenico Lenarduzzi ha conservato una viva memoria di quel viaggio d";emigrazione: «Siamo partiti nel novembre del 1947 seguendo tutto l";iter dell";emigrazione. Ricordo il concentramento nei sottofondi della stazione centrale di Milano, l";attesa della visita medica e, dopo tre terribili giorni, la partenza per Charleroi dove giungemmo in una giornata fredda e piovosa. Non potrò mai dimenticare la prima impressione di quel Pays noir che diverrà  poi nostra stabile dimora; la sistemazione in una delle vecchie baracche "; occupate prima di noi dai prigionieri tedeschi, lettoni ed estoni "; formate da un unico vano coperto da ondulati che ci facevano provare d";inverno il gelo e d";estate trasformavano il vano in un forno. Siamo rimasti tre anni in quella baracca, di fronte alle terrils, le colline di rifiuti di carbone; poi ci siamo trasferiti in un altro alloggio ma solo nel ";56 la mia famiglia ha potuto avere una delle case per minatori, costruite negli anni Venti a Jounet, presso Charleroi».

Primogenito di 8 fratelli, quando Domenico arrivò in Belgio aveva 11 anni. Senza conoscere una parola di francese, fu inserito nella quinta elementare di una scuola in cui c";era un unico maestro per 40 ragazzi, divisi in 6 classi. Con gli altri fratelli più piccoli fu sistemato in fondo alla classe, ma la convivenza, fin dall";inizio, non fu facile. Su questa prima esperienza di socializzazione, Lenarduzzi aggiunge una riflessione quanto mai interessante: «Uscivamo da una guerra mondiale e, come italiani, dai belgi eravamo considerati ancora dei nemici. Noi eravamo consci solo delle nostre difficoltà  economiche e, anche se ragazzo, sentivo il peso d";una certa dominazione economica da parte di chi ci ospitava ma anche l";incapacità  di esprimere la nostra ricchezza culturale e storica. La prima volta che in Belgio abbiamo osato manifestare la gioia e l";entusiasmo di essere italiani, facendo sventolare il tricolore, è stato quando nel 1982 la nostra nazionale di calcio vinse il Campionato del mondo. Varrebbe la pena un giorno che dei sociologi studiassero quest";evento, vissuto all";estero come una forte occasione per manifestare la nostra identità  e l";orgoglio d";appartenere all";Italia».

Terminata la scuola elementare, Domenico era destinato come il padre «a scendere in miniera»; ma accadde un fatto che cambiò la sua vita. «Noi venivano spesso chiamati maccheronì "; racconta "; e un giorno, dopo la scuola, ci confrontammo animatamente con i ragazzi belgi. Fui denunciato alla polizia e messo in un riformatorio: ma fu la mia fortuna perché il sacerdote, canonico di S. Agostino e direttore dell";istituto, intuite le mie capacità , mi chiese se volevo continuare gli studi. Accettai, e pur rimanendo ospite del riformatorio, frequentai l";anno preparatorio e successivamente il ginnasio in un istituto diretto da religiosi. Tra il 1953 e il `€˜54, mentre frequentavo il IV anno ginnasiale, dovetti però superare la prova di una grave malattia che mi costrinse a camminare con la sedia a rotelle. Non era purtroppo ancora disponibile il vaccino che solo un anno dopo iniziò a salvaguardare tante vite umane dalla poliomielite».

Domenico aveva allora 17 anni, ma dimostrò la forza d";animo che ha caratterizzato tutta la sua vita. «In queste situazioni o si progredisce o si regredisce. Io non mi arresi, e grazie all";aiuto di quel sacerdote, terminai il ginnasio-liceo e mi iscrissi all";Università  di Lovanio, anche se la mia famiglia non poteva aiutarmi». Ricorda infatti che quando comunicò al padre l";intenzione d";intraprendere gli studi, questi gli disse: «Sono d";accordo: tu non scendi in miniera, però non puoi contare sul mio aiuto». Aveva infatti altri sette figli da mantenere. Da allora Domenico cercò di lavorare durante le vacanze; nell";istituto, durante il tempo libero, aiutava il personale delle pulizie e al mattino si alzava alle 5.30 per servire le messe celebrate dai sacerdoti. A Lovanio si rese autosufficiente preparando e vendendo, con l";aiuto di altri studenti, le dispense delle lezioni universitarie. Nel 1959 si laureò in Ingegneria commerciale e per un anno fu assistente del decano della Facoltà  d";Economia il quale, dopo la sua nomina nel 1960 a commissario alla Corte dei Conti della Commissione europea, gli offrì la possibilità  di seguirlo in quella sede. Iniziò così il suo lavoro come impiegato, salendo gradualmente in professionalità  e scala gerarchica. Lenarduzzi riassume i 42 anni d";attività  con uno stile quanto mai sintetico: «Ho operato nella Commissione di Controllo fino al ";65 e poi, vinto un concorso, fui assunto dalla Direzione generale dell";Occupazione e degli Affari Sociali, occupandomi delle condizioni del lavoro della grande pesca, degli agricoltori e dei trasporti su strada e ferrovie. Successivamente divenni amministratore principale della Direzione Generale della Politica regionale, dove ho lavorato più di 4 anni con Renato Ruggero che poi fece una grande carriera all";interno delle Istituzioni europee: mi occupai del coordinamento del Fondo sociale e agricolo. Divenuto Capo divisione, ebbi un grande ruolo nella preparazione dei primi studi per l";allargamento dell";Unione europea alla Spagna, al Portogallo e alla Grecia, seguendo la problematica dell";impatto di queste nuove adesioni. Nel 1981 iniziai a operare nel Settore Educazione che riguarda tutte le discipline della formazione dei cittadini: un settore che si estende dall";istruzione alla formazione professionale, dalla gioventù alla cultura, dal settore audiovisivo allo sport, e che coordinai nella sua globalità  quando nel 1998 divenni direttore generale della Politica dell";istruzione», uno dei ruoli più importanti della Commissione europea.

In quest";ultimo settore, Lenarduzzi fu un pioniere, dato che non esisteva nessuna base giuridica per la programmazione delle proposte. «Nel Trattato di Roma non c";è nessun cenno all";educazione in quanto tale, come alla sanità , all";ambiente e alla cultura. L";obiettivo del mercato comune era quello di assicurare lo sviluppo dell";Europa, fondandosi sulla cooperazione degli Stati e particolarmente dei popoli della Ue. Jean Monnet aveva intuito questo vuoto quando affermava «Se avessi saputo, avrei iniziato dalla cultura e dall";istruzione piuttosto che dalla parte economica», sottolinea ancora Lenarduzzi, che però aggiunge: «Si sa però che ";trainante"; è l";interesse per l";economia e per lo sviluppo e bisogna essere intelligenti per fare in modo che il sociale e i diritti di cittadinanza, in quanto tali, accompagnino lo sviluppo economico. In un mondo ideale bisognerebbe formare prima il cittadino, perché faccia le sue scelte».

Quali sono stati gli obietti raggiunti negli anni in cui ha avuto responsabilità  nel settore dell";Istruzione? «Il primo impegno era di dimostrare che la Ue non aveva solo una dimensione economico-commerciale, ma che oltre a questo aveva l";obiettivo fondamentale di creare dei cittadini con dimensione europea. Per raggiungere tale obiettivo era necessario che avessero occasioni d";incontro per conoscersi, dialogare e vivere insieme. Non c";era nulla. E innanzitutto con l";aiuto dei collaboratori e il sostegno della Commissione, ho cercato di promuovere occasioni d";incontro. Ero convinto che il sapere non ha frontiere e che le università  della Ue dovevano cooperare insieme, riconoscendo e integrando i periodi di studio fatti negli atenei degli Stati membri». Ciò avrebbe permesso la mobilità  dei docenti e degli studenti, l";approvazione di programmi con spirito di cooperazione, il riconoscimento di master e curriculum seguiti nelle sedi universitarie della Ue. Nel 1987 sono stati approvati i programmi Erasmus, e nello scorso ottobre 2002 "; 15° anno di fondazione "; si è festeggiato il milionesimo studente che ha beneficiato di questo programma. Un milione di studenti, le loro famiglie e tanti altri politici e cittadini europei hanno riconosciuto che questo è il miglior modo per costruire l";Europa dei cittadini. Nel 1984, il vertice europeo di Fontainebleu, presieduto da Mitterand, aveva chiesto all";onorevole Adonnino, parlamentare europeo, di elaborare una relazione sull";Europa dei cittadini, e in seguito a questo si è vista la possibilità  di dare ai giovani l";opportunità  di conoscersi e di vivere insieme. Per offrire però anche ai giovani non universitari la possibilità  di avere scambi d";attività  non scolastiche nei Paesi della Ue, dopo Erasmus è stato creato il programma Gioventù per l";Europa: un";altra occasione per arricchirsi di nuove esperienze, per imparare la lingua del Paese dove avveniva lo stage, con la garanzia di conservare il posto di lavoro nel Paese d";origine.

Domenico Lenarduzzi parla dei Programmi Erasmus, Gioventù d";Europa e Socrate (che da solo ha consentito la mobilità  di 275 mila studenti e insegnanti) con un certo orgoglio: sono i suoi migliori apporti alla costruzione della nuova Europa. «La Ue non è solo l";unione di Stati che hanno deciso di non combattersi più. I padri dell";Europa: Adenauer, Monnet, Spaak, Schuman e De Gasperi sono riusciti a fare in modo che popoli, per decenni nemici, riuscissero a stabilire e consolidare la pace. Quando incontro dei giovani per i quali la storia degli ultimi 50 anni non è conosciuta, cerco di renderli consapevoli dell";apporto fondamentale dell";integrazione europea, della scelta volontaria e democratica fatta da diversi popoli di vivere insieme: una scelta democratica e una volontà  d";integrazione attuate per il benessere di tutti, soprattutto delle nuove generazioni che avranno, un domani, delle responsabilità . Esse avranno una dimensione europea se hanno avuto occasioni di conoscersi, di confrontarsi, di ammettere le differenze, d";essere naturalmente tolleranti. Sono sensibile a questi obiettivi per le difficoltà  vissute nella giovinezza, per l";esperienza dei doveri avuti in un Paese ospitante senza il godimento dei diritti, come quello di votare per le nostre istituzioni. Bisogna aver vissuto queste difficoltà  per poter apprezzare gli obiettivi raggiunti. Lo scopo dell";integrazione non è quello di aprire solo le frontiere o avere una moneta unica, ma avere cittadini che siano consci di far parte della medesima civiltà , con culture, lingue e modi di vivere diversi».

È veramente convinto che l";allargamento dell";Europa sia anche uno sviluppo dell";intercultura? «L";Istituzione-Europa non esiste se non c";è interculturalità : o si fa la scelta dell";intercultura o gli avvenimenti esterni, come il fenomeno dell";immigrazione e la mobilità  della gente, ce lo imporranno. Chi non facilita questo processo, non ha capito la società  attuale. Sono sulla stessa idea anche per l";allargamento della Ue che avverrà  nonostante certe resistenze motivate dai costi che possono mettere in discussione il nostro benessere e i modelli di vita. L";allargamento è l";occasione per riunire popoli che da 2 mila anni condividono la nostra storia: in un mondo globalizzato è interesse della Ue costituire un";entità  che non sia una fortezza verso i Paesi in via di sviluppo, ma un";unione di popoli capace di assicurare e ridonare quella dimensione umana e concittadina che la caratterizza più di altri continenti. Mi ritengo quindi fortunato d";aver partecipato alla costruzione della nuova Europa e di aver portato un granello di sabbia perché tutti i suoi abitanti diventino concittadini».

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017