L'Europa e il Papa pellegrino

La visita di Benedetto XVI a Santiago de Compostela offre una specifica chiave di lettura del suo magistero. Si riannoda con il vecchio continente un dialogo che è di senso valoriale e di confronto rispettoso.
12 Ottobre 2010 | di
Il pellegrinaggio di questo novembre a Santiago de Compostela conclude un anno che ha visto Benedetto XVI rivolgersi all’Europa con una particolare attenzione, nello sforzo di riannodare con il vecchio continente un dialogo sui suoi valori costitutivi e un confronto rispettoso tra le diverse concezioni della convivenza umana. Così è stato a Cipro. Così è stato, con forse maggiore evidenza, nella visita in Gran Bretagna, forse il Paese più multiculturale d’Europa, una visita che per profondità di argomenti trattati e per calore di accoglienza ha sorpreso molti osservatori, in particolare quelli più inclini al sensazionalismo scandalistico che all’indagine vera degli avvenimenti.
A Santiago de Compostela il Papa si reca nel contesto dell’anno giubilare celebrato ogni volta che la festa di San Giacomo, il 25 luglio, cade di domenica. Per il prossimo bisognerà attendere il 2021. In proposito, l’Arcivescovo di Santiago, monsignor Julián Barrio Barrio, l’ha definita storica poiché «sarà la prima volta – ha detto ai giornalisti convocati in arcivescovado il 6 luglio scorso – che un Pontefice si reca a Santiago de Compostela espressamente per rendere onore a san Giacomo nel suo anno giubilare». Per la verità, l’affermazione del presule non è formalmente esatta. Anche la visita di Giovanni Paolo II del 1982 avvenne mentre si celebrava l’anno giacobeo. Tuttavia, l’Arcivescovo di Santiago l’ha motivata in senso sostanziale, ricordando che in quell’occasione la tappa nel santuario fu fatta nel più generale contesto della visita pastorale di Giovanni Paolo II alla Spagna. Questa volta invece Benedetto XVI ha voluto espressamente pregare sulla tomba dell’apostolo in questa particolare occasione, «unendosi con i pellegrini che sono venuti, che stanno continuando a venire e che certamente ancora verranno in questo anno santo compostelano».
La conchiglia nello stemma
In ogni caso, quello fatto a Santiago de Compostela da Benedetto XVI è un pellegrinaggio di particolare significato, un appuntamento che si potrebbe definire iscritto da sempre nell’esperienza di questo Papa. Ne offre una prova persino il suo stemma, scelto da Vescovo e conservato dopo l’elezione al soglio pontificio. Silenzioso, ma eloquente, lo stemma racconta la storia di una vita e indica la via sulla quale Joseph Ratzinger intende camminare. Accanto al moro e all’orso, simboli dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, di cui Ratzinger è stato arcivescovo, lo stemma riporta in primo piano proprio la conchiglia che è da sempre il simbolo dei pellegrini a Compostela. «È anzitutto il segno del nostro essere pellegrini», nota lo stesso Ratzinger nella sua autobiografia. Ma la conchiglia, presente anche nello stemma dell’antico Monastero di Schotten, presso Regensburg (Ratisbona) in Baviera, al quale Joseph Ratzinger si sente spiritualmente molto legato, ricorda altresì la vicenda secondo cui sant’Agostino, incontrando un bambino sulla spiaggia che tentava di mettere l’acqua del mare in un buco con una conchiglia capì che «la sua ragione non poteva contenere il mistero di Dio». «Un richiamo al mio grande maestro – scrive il Papa – e al mio lavoro teologico».
Del resto, quel dialogo tra fede e ragione –  il cammino dell’intellectus quaerens fidem e della fides quarens intellectum, – intorno a cui si è costruita l’Europa e sul quale si dipana da tempo il magistero di Benedetto XVI ha nei luoghi del pellegrinaggio un suo modo alto di esprimersi. Se ne è avuta una prova indiscutibile proprio dall’osservare le migliaia di giovani che si sono messi in cammino quest’anno verso Santiago de Compostela, sulle orme percorse nei secoli dai loro padri di ogni Paese. Se una cosa emerge da questa osservazione – e più ancora dal percorrere con quei giovani un tratto di strada – è l’esigenza di senso, la richiesta di significato, l’anelito a un’educazione alla fede che rispetti e arricchisca la ragione e il pensiero.
Le radici cristiane dell’Europa
Proprio il binomio tra pellegrinaggio ed Europa, che nella città galiziana vede una delle sue mete più famose, rimanda al discorso sulle radici cristiane del continente – che non significano né confessionalismo né esclusione di diversi apporti culturali – da molti a torto ridotta a una richiesta di mero carattere politico. Non è questo il contesto in cui riaprire un dibattito sul mancato recepimento di quella formula nei Trattati costitutivi dell’Unione Europea, all’accoglienza polemica che alcuni hanno voluto riservare a quella richiesta in nome di una laicità solo presunta, che finisce per essere una mera «sacralizzazione» dell’aconfessionalità, accompagnata da inquietanti accondiscendenze all’esaltazione di una sedicente «asetticità» della scienza.
Ma bisogna sottolineare che la cosiddetta battaglia del Papa contro il relativismo consiste proprio nel ricordare che il «sapere specializzato» ha sempre visto accrescere la responsabilità di impiegarsi per l’uomo e non contro l’uomo. Opporsi al relativismo etico, in Occidente, non è oggi fronteggiare nemici esterni. Non a ciò fa riferimento Benedetto XVI, quando denuncia «il proprio io e le sue voglie» come unica misura di giudizio. Non si tratta di convertire gli «infedeli», ma di contrastare la deriva etica delle nostre società. E si tratta anche di denunciare quella sorta di «ateismo bigotto» di quanti sono sempre pronti ad «appropriarsi» del magistero papale se lo reputano tale da poter essere distorto e usato «contro» qualcuno, ma non lo sono mai ad ascoltarlo e a riconoscergli cittadinanza – seguirlo sarebbe chiedere troppo – sui temi cruciali del rispetto dei diritti dell’uomo, di ogni uomo, dal concepimento alla morte naturale.
Per noi cattolici, soprattutto, il rispetto dell’altro non può essere materia di discussione o di trattativa, pena la rinuncia alla testimonianza del Vangelo. E all’obiezione che questa testimonianza per essere tale dovrebbe contrapporsi a un’Europa che oscilla tra laicismi esasperati e molteplicità di confessioni, rispose con chiarezza, in un dibattito al Senato italiano nel 2004, proprio l’allora Cardinale Ratzinger, sostenendo che «…noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso – del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza». E il futuro Papa aggiungeva che «…se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche a un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi». Il che significa che l’Europa non può guardare solo a se stessa. Se ne è avuta una conferma anche in settembre, con il Congresso mondiale di pastorale dei pellegrini e dei santuari, tenuto appunto a Santiago de Compostela, per iniziativa del Pontificio Consiglio della Pastorale dei migranti e degli itineranti, in collaborazione con l’Arcidiocesi. I partecipanti – 250 in rappresentanza di 75 Paesi – hanno ascoltato le testimonianze dei delegati provenienti da zone difficili, come il vescovo ausiliare di Baghdad, in Iraq, il rettore del santuario di Gikungo in Burundi, l’arcivescovo primate di Cuba e il vice superiore della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Gli obiettivi del Congresso erano quelli di ricreare l’atmosfera di comunione ecclesiale, incoraggiare i sofferenti per mancanza di libertà e sostenere con fiducia tutti i delegati nell’opera che svolgono in tutti i continenti e far crescere la consapevolezza che il pellegrinaggio riveste il ruolo di grande risorsa di fede e cultura, in quanto risponde alle domande fondamentali della vita. Ma andare pellegrini è soprattutto camminare con Dio. Lo stesso Benedetto XVI in occasione dell’apertura dell’Anno santo compostelano, ha ricordato che il pellegrinaggio è «un’opportunità particolare affinché i credenti riflettano sulla loro genuina vocazione alla santità di vita, s’impregnino della Parola di Dio che illumina e interpella e riconoscano Cristo».
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017