L’EUTANASIA

08 Ottobre 1998 | di

Se in questione è una legge che ' si fa per dire ' regoli l'eutanasia attiva, vale a dire la «morte dolce» richiesta dal malato e procurata da un medico con tutti i crismi della scientificità  e della profilassi, se si tratta di una legge, ebbene sono facile profeta: prima o poi, più prima che poi, questa legge verrà .

Ci si premurerà  di avere il consenso scritto di chi viene ammazzato - non si sa mai - ; si insisterà  nel richiamare una umanissima disumanità  che andrebbe usata verso chi soffre in modo grave e senza speranza di guarigione; si giurerà  che si riserva questo trattamento di uccisione a casi isolati ed eccezionali, ecc. Ma, aperto un varco nell'imperativo del rispetto alla vita umana, si può facilmente prevedere che passeranno pressoché tutti i comportamenti anche meno giustificabili. Si sa come vanno le cose a questo riguardo. Del resto, si sono uccisi milioni di bambini nel grembo della madre in nome di una legge che intendeva «tutelare la maternità ». Ironia. Sarcasmo. Cinismo.

Dal punto di vista morale si tratta di decidere se la vita umana può essere conservata, promossa e recata a compimento, oppure debilitata o soppressa a piacimento sia pure senza far soffrire soverchiamente. Insomma: c'è davvero un diritto di disporre della propria vita come garba e di intervenire per interrompere la vita di un altro sia pure con il suo consenso e addirittura dietro sua invocazione? Il problema del dolore non sembra oggi costituire più un motivo determinante. Gli analgesici di cui dispone attualmente la farmacologia possono attutire quasi ogni sofferenza anche tra le più lancinanti.

E sia detto con molta chiarezza: non si può intervenire attivamente per togliere la vita a un altro - con una iniezione letale o in qualsiasi altro modo - ; ciò non significa però che si debba ricorrere a qualsiasi mezzo possibile, pur straordinario e pur impervio, al fine di tenere in vita una persona che, salvo un miracolo, è irrimediabilmente votata e prossima a morire. La somministrazione di sedativi e di antidolorifici appare legittima anche se obnubila la consapevolezza e magari abbrevia un poco l'esistenza. Ciò può essere lecito dopo che un malato abbia disposto per il «dopo» e si sia preparato all'incontro con Dio o almeno ad andare verso il morire con la consapevolezza di chi procede verso un enigma o verso un mistero.

Non è facile stabilire in astratto delle fattispecie generali a cui ricondurre tutti i casi. Senza tema di esagerare, si può sostenere che ogni situazione è un poco a sé e va letta e risolta in base a principi universali non agevolmente applicabili.

Semmai, una preoccupazione è da tenere sempre presente. In questo settore della morale forse è meglio esagerare nel rispetto alla vita propria e altrui, che disporne con eccessiva disinvoltura. Ci si può trovare - è amaro ammetterlo, ma si deve - ad esercitare funzioni che assomigliano molto alla soppressione che ha provocato l'«olocausto» o le «purghe» di infausta memoria.

E un credente sa che la sofferenza insegna molte cose, affina il cuore, unisce al Signore Gesù e rende perfino corredentori. Prospettive altissime. Più agevoli da descrivere, forse, che non da attuare.

Ma anche chi assicura di non credere, che cosa esattamente sa dell'oltre la morte? Non c'è proprio nulla? E se ci aspettasse un Dio che giudica e che vuole salvare amando? Nel dubbio è forse meglio agire come se si fosse creati per l'eternità . Anche perché Dio non fa esistere degli esseri che lo sanno conoscere e amare per poi annientarli senza motivo. Il «cuore» chiede di placarsi per sempre. E se c'è fame e sete, è perché ci dev'essere anche pane e acqua. Almeno pane e acqua.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017