L’ha salvata il ricordo del nonno

Un’infanzia terribile per una giovane carcerata che non riusciva a trovare nel passato appigli cui aggrapparsi per uscire dal tunnel. Poi, il ricordo del nonno. La presenza degli anziani tra noi assicura un fertile scambio di risorse tra generazioni
07 Febbraio 1999 | di

Nell'epilogo de I fratelli Karamazov, Fedor Dostoevskij fa dire a uno dei suoi personaggi che non c'è nulla di più elevato, di più forte, di più sano e di più utile nella vita che un bel ricordo, specialmente se è un ricordo dell'infanzia: «Se un uomo riesce a raccogliere molti di questi ricordi per portarli con sé nella vita, egli è salvo per sempre. E anche se uno solo di questi bei ricordi rimane con noi, nel nostro cuore, anche quello solo può essere un giorno la nostra salvezza».
Anni fa ho avuto la riprova della validità  di queste parole incontrando in carcere la giovane protagonista di un clamoroso fatto di cronaca. La ragazza aveva ucciso un uomo il cui atteggiamento, sotto l'effetto di droghe e alcol, le era apparso tanto minaccioso da spingerla a sparare per difendersi. Dal dettagliato racconto che mi fece della sua vita, emergeva il quadro di un'infanzia e di un'adolescenza contrassegnate da violenze, abbandoni, separazioni dolorose.
Nel passato sembrava non esserci alcun appiglio cui aggrapparsi per uscir fuori dalla terribile situazione in cui si trovava. Nessun bel ricordo sul quale fondare almeno la possibilità  di una storia diversa da quella disperata che l'aveva portata fino all'omicidio. Un giorno, però, scavando nella memoria, rimettendo insieme le tessere di un mosaico disintegrato, la giovane incontra un ricordo di quando era bambina, le sere trascorse in una fattoria di campagna assieme al nonno «l'unico uomo che sia stato accanto a me con gioia senza chiedere altro che la mia presenza». Aveva trovato un bandolo per districare, almeno in parte, la matassa di una storia aggrovigliata e inquietante. Qualcuno, un tempo, le aveva dato un amore gratuito. Ciò che è avvenuto, può capitare di nuovo.
Un buon ricordo può essere la leva per far emergere la speranza. Ciò che fino a poco fa sembrava la «fine del mondo », ci appare ora come la «fine di un mondo». Ciascuno di noi, dunque, nel corso della vita può costruirsi - o aiutare gli altri a fare altrettanto - un piccolo patrimonio di buoni ricordi da utilizzare quando la realtà  ci appare tanto dura da essere insostenibile.
Anche quando diventiamo vecchi, il nostro comportamento, ciò che diciamo o facciamo con e per gli altri, potrà  entrare a far parte un giorno, per qualcuno che oggi ci sta accanto, del «pronto soccorso della memoria» da utilizzare in caso di crisi. Questo è uno dei tanti motivi per cui, quando si vuol fare qualcosa di utile per i vecchi, non si devono recidere le loro radici con il passato, la loro memoria.
Qualche mese fa, ho visitato una casa per anziani alcuni dei quali ormai costretti a letto, proprio quegli anziani mi hanno fatto capire quanto sia importante per loro vivere in una vera casa.
Se non può essere quella dei loro familiari, che abbia almeno le caratteristiche di una casa accogliente. Un numero di ospiti limitato, la possibilità  - per chi non è gravemente infermo - di partecipare attivamente a tutte le attività  quotidiane della casa, un'assistenza sanitaria competente e affettuosa. Soprattutto, una casa che sorga là  dove l'anziano è vissuto a lungo, che consenta, attraverso rapporti intensi con l'esterno, il contatto con luoghi dove è possibile incontrare volti e ambienti noti, dove poter ascoltare voci e dialetti consueti. Una casa dove non si svolgano attività  infantilizzanti, tese a far passare il tempo in qualche modo a persone che hanno invece il diritto di trovare un senso nella loro giornata. Una casa dove i vecchi non siano trattati come bambini ai quali va insegnato l'«abbicci» della vita. Una casa dove non ci sia spazio per l'umiliazione.
La presenza degli anziani accanto a noi assicura un fertile scambio di risorse tra generazioni diverse. Uno scambio di buone esperienze e, dunque, di buoni ricordi.
Da una parte la comunità , che non dimentica i suoi membri più vecchi e dimostra che il rispetto è dovuto a ogni essere umano ben oltre il superamento dell'età  lavorativa. Il rispetto non ha una data di scadenza e non è nemmeno una questione di forma. Ogni essere umano deve essere messo in condizione di vivere fino all'ultimo un'esistenza che abbia per lui un senso. La semplice sopravvivenza non basta.
Dall'altra parte l'anziano, che non si sente «tollerato» ma che continua a far parte di una rete di relazioni in un ambiente che conosce e nel quale è vissuto per tanti anni, darà  il meglio di sé, poco o tanto che sia, reagirà  meglio alle infermità  dell'età , metterà  a disposizione della comunità  non solo la propria memoria ma anche i propri sogni e i propri progetti.
Già , perché tra i tanti pregiudizi che affliggono la vecchiaia, c'è anche quello che ad una certa età  si vivrebbe con la testa rivolta all'indietro, prigionieri dei ricordi e della nostalgia. Le cose non stanno così. È vero che più si diventa vecchi più aumentano i distacchi, le assenze, le perdite di persone e ambienti e che tutto questo può incentivare una visione malinconica della vita, ma è anche vero che la voglia di vivere non viene meno quando ci si sente accettati, accolti, parte di una collettività .
Un insegnamento prezioso per i più giovani che imparano attraverso l'esempio che la vita è degna di essere vissuta dal primo all'ultimo istante
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Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017