Libertà religiosa, «cuore» dei diritti
Con la dissoluzione dei regimi comunisti, simboleggiata dalla distruzione del «muro di Berlino» nel 1989, sembrava cadere anche la maggiore causa di persecuzione dei cristiani e dei credenti in Dio: il confronto tra le Chiese e i totalitarismi che aveva contraddistinto il XX secolo. Totalitarismi che avevano preteso di assoggettare anche le coscienze oltre che i corpi dei sudditi, Chiese che avevano tenuta viva la testimonianza irriducibile della libertà umana. Come sappiamo, la libertà di coscienza è la prima delle libertà, sulla quale poggiano tutte le altre, comprese le libertà civili.
Purtroppo la speranza di una fine delle persecuzioni e dell’avvento in tutto il mondo di un clima di tolleranza e di dialogo ha avuto breve vita. In quest’alba del XXI secolo, alle vecchie cause di persecuzione altre se ne sono aggiunte, meno «codificate» ma anche più virulente e meno controllabili.
Fra i residui della tradizionale persecuzione comunista, la maglia nera spetta alla Corea del Nord, dove i credenti non hanno alcun diritto e vengono spesso imprigionati con l’accusa di «attentato alla sicurezza nazionale». Motivi di persecuzione permangono anche in Cina, dove ad esempio le comunità cattoliche in comunione con la Santa Sede non sono riconosciute e, in forma molto più attenuata – come malessere più che come persecuzione dichiarata – in Vietnam e in Laos. Ma, come abbiamo detto, si tratta di «vecchie forme» di persecuzione politico-ideologica, meno dure che nel XX secolo, che lasciano spiragli di dialogo con le autorità civili, e ora appaiono meno gravi e meno pericolose per la vita dei credenti e dei pastori delle chiese rispetto alle «nuove forme» di persecuzione.
L’associazione «Aiuto alla Chiesa che soffre» che dal 1947 documenta e denuncia le varie forme di persecuzione che colpiscono cattolici e cristiani nel mondo, ritiene che oggi la causa maggiore sia il fondamentalismo musulmano.
Cristianesimo e islam
In diversi stati musulmani vige la sharia, la legge islamica, che, con la motivazione di impedire conversioni, non ammette la libera attività delle minoranze religiose. Qui (è il caso, per esempio, dell’Arabia Saudita) non si possono aprire chiese, mentre altrove (come in Iran), chi lascia l’islam può essere condannato a morte. Ma è comunque lunga la lista di Paesi dove la libertà religiosa subisce forti condizionamenti e attenuazioni: Mauritania, stati musulmani della federazione della Nigeria, Indonesia, Malaysia, Afghanistan, Pakistan, Algeria, Somalia…
Sovente nazionalismo e fondamentalismo religioso si fondono, malgrado le voci di dissenso per questo connubio che si levano dal profondo dell’islam: così è per la guerra del Nord del Sudan musulmano che ha devastato il Sud cristiano o politeista negli anni passati. La stessa India, patria, con Gandhi, della tolleranza e della non-violenza, è stata contaminata: gli Stati della federazione indiana dove il partito nazionalista indù controlla il potere, hanno introdotto leggi discriminatorie, mentre si chiudono gli occhi, come in Orissa, sulle «spedizioni anti-cristiane».
Ma la causa più grave, oggi, è il terrorismo dei fondamentalisti sempre più spesso rivolto, oltre che contro le minoranze islamiche, contro i cristiani.
Uno degli ultimi annuali dell’«Aiuto alla Chiesa che soffre» indica nel Medio Oriente la zona cruciale. Qui le comunità cristiane sono in radicale caduta, cacciate dal terrore permanente in cui vivono: per l’Iraq si parla di metà dei cristiani costretti alla fuga. Ma la diaspora colpisce tutto il Medio Oriente, basti guardare a territori nei quali i cristiani erano maggioranza, come in Libano, o a Betlemme in Palestina, dove ogni anno si stanno riducendo. E pensare che vengono dalla popolazione autoctona più antica, copti, caldei, assini, maroniti, di questa parte del mondo.
Talvolta terrorismo fondamentalista e costrizione di stato basata su una lettura restrittiva del Corano finiscono per coesistere all’interno dello stesso territorio.
Torniamo alle situazioni-limite dell’Iraq e dell’Afghanistan. Il maggior pericolo per le comunità cristiane, nel primo stato presenti storicamente da sempre – anteriori, cioè, alla conquista araba – mentre nel secondo di origine straniera e più limitate di numero, viene indubbiamente dal terrorismo Jihadista (Al-Qaeda) e dai talebani. Però affiorano anche restrizioni da parte degli Stati. In Iraq, per esempio, la nuova legge elettorale vorrebbe limitare la rappresentanza dei cattolici di vari riti orientali che si trovano soprattutto in alcune province del Nord. In Afghanistan, accanto ai rapimenti di stranieri, sovente motivati anche con pseudo-ragioni religiose, può capitare che un tribunale coranico decreti condanne a morte per «apostasia».
I segnali positivi
In questo quadro piuttosto oscuro di alcune zone del mondo risaltano tuttavia anche alcuni segni positivi; in altre i segnali sono comunque di miglioramento.
Tutti ricordiamo i martiri dell’America Latina, così frequenti negli anni ’80 e ’90: gli innumerevoli sacerdoti, religiose e religiosi, laici, vescovi a cominciare da monsignor Oscar Arnulfo Romero, ucciso con una fucilata da un estremista di destra mentre, una domenica, celebrava la messa. In quel periodo, i credenti che volevano dare testimonianza dei valori evangelici di fratellanza e di pace si trovavano stretti tra l’incudine degli «squadroni della morte» di estrema destra e il martello delle «guerriglie» di estrema sinistra. Oggi la situazione è ovunque notevolmente migliorata, anche perché la convivenza civile delle lotte politiche ha preso il posto degli scontri armati. Solo in Colombia persistono rischi ed episodi di questo tipo, ma in forma attenuata.
Il confronto con il «mondo»
Sempre i credenti, sul loro cammino, se vorranno testimoniare fedelmente i valori evangelici nella società oltre che all’interno della propria coscienza, dovranno confrontarsi con i poteri e le reazioni del «mondo». Ma il sangue dei martiri, la testimonianza dei perseguitati, ha aperto la via stretta dove, storicamente, si è tracciato il cammino della libertà religiosa e di quella civile. E questo appare anche il doloroso tributo di riscatto che rischiara il nostro tempo.
L’associazione «Aiuto alla Chiesa che soffre» è stata fondata nell’Europa del 1947, disseminata dalle macerie della seconda guerra mondiale, dall’olandese padre Werenfried Van Straten, noto come «padre lardo», perché invitava a «sacrificare una fetta di lardo della vostra dispensa a favore di chi ha perso tutto». Per lungo tempo ha aiutato, su base ecumenica, le Chiese cristiane perseguitate dai regimi comunisti dell’Est europeo, poi ha allargato il suo raggio a tutto il mondo. Ogni anno, i successori di «padre lardo» pubblicano un rapporto di denuncia sulla situazione mondiale.
Aiuto alla Chiesa che soffre
La libertà religiosa nel mondo
Luci e ombre, episodi di intolleranza fondamentalista, ma anche «aperture» in Paesi un tempo a rischio. L’ultimo «Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo», dell’associazione «Aiuto alla Chiesa che soffre» (Acs), disegna un quadro a tinte fosche sulla libertà religiosa.
Ne parliamo con Elvira Zito, dell’Ufficio Stampa del Segretariato Italiano di Acs, l’organizzazione che si occupa di aiutare la Chiesa laddove situazioni politiche o sociali ne mettano in difficoltà l’azione evangelizzatrice: ogni anno Acs realizza 5 mila progetti (costruzione di chiese e scuole, interventi umanitari e di sviluppo)
in 130 Paesi.
Msa. Perché le recenti gravi violenze anti-cristiane in India?
Zito. Sebbene la Costituzione garantisca la libertà religiosa, in molti Stati dell’India sono in vigore le cosiddette leggi «anti-conversione» che penalizzano l’operato della Chiesa: tali norme riguardano solo i casi nei quali un indù si converte a un’altra fede. La Chiesa cattolica è considerata un elemento «destabilizzatore» della società basata sul sistema delle caste: l’annuncio evangelico di uguaglianza, giustizia e speranza può essere il fermento di un cambiamento. Per questo vengono colpiti non solo i luoghi di culto, ma anche le scuole cattoliche, aperte a tutti e con un ottimo livello di insegnamento.
In quali Paesi i cristiani soffrono maggiori persecuzioni da parte dei governi?
Oltre che in Cina, la situazione è difficile in Pakistan, dove la repressione si esplica in una legge penale sulla blasfemia; in Nigeria, dove in molte zone viene applicata la sharia e – per quanto riguarda l’America Latina – si va profilando una situazione difficile in Venezuela, dove il governo Chàvez si manifesta come anti-cattolico.
Perché questa avversione anti-religiosa?
Alla base c’è la tendenza a non considerare la libertà religiosa come un diritto umano fondamentale. Benedetto XVI lo richiama spesso come tale, proprio perché è evidente che in tanti Paesi del mondo i governi lo considerano ancora un diritto di serie B.
In quali regioni il cristianesimo viene osteggiato a livello «sociale»?
Nei Paesi a maggioranza islamica, anche dove le sue origini sono antichissime (come in Turchia). Anche in Iraq si sta vivendo una fortissima «ostilità sociale» che si esprime con i rapimenti dei cristiani. Tale situazione ha conseguenze molto gravi: provoca un’emigrazione forzata dei cristiani, la cui presenza va diminuendo.
In quali Paesi la libertà per i cristiani sta aumentando?
In Qatar, per esempio, dove la scorsa primavera è stata inaugurata la prima chiesa cattolica, edificata anche con il sostegno di «Aiuto alla Chiesa che soffre». È stato un evento importante, perché riguarda una realtà profondamente islamica. Un miglioramento – sebbene offuscato dalla situazione del Darfur – si può registrare anche in Sudan, dove gli Accordi del 2005, che hanno riconosciuto una parziale autonomia al Sud, hanno apportato benefici: in questa zona del Paese la presenza cattolica, più forte che altrove, ora è garantita.
Lorenzo Fazzini
Chiesa in Asia. Il primato del martirio
In Orissa (India) il pogrom contro i cristiani scatenato da fondamentalisti indù, in poco più di un mese ha ucciso 61 persone, causato 18 mila feriti, distrutto più di 180 chiese, bruciato 4500 case, razziato e distrutto 13 scuole e centri sociali, prodotto più di 50 mila profughi (nella foto a lato, una manifestazione contro le violenze). A Mossul (Iraq) i cristiani sono minacciati di morte se non si convertono all’islam o se non fuggono via dal Paese. In Cina, dopo le Olimpiadi, continua la persecuzione di sempre, con vescovi scomparsi, sacerdoti agli arresti domiciliari, cristiani sotto continuo controllo dell’Associazione patriottica che vuole costruire una Chiesa nazionale separata dal Papa. In Vietnam il governo, che annega nella corruzione, come diversivo accusa i cattolici di cospirare contro lo Stato solo perché denunciano le malefatte dei membri del Partito a spese della Chiesa.
La libertà religiosa, tra i diritti fondamentali dell’uomo, è il più umiliato in Asia. Su 52 Paesi asiatici, almeno 32 limitano in qualche modo la missione dei cristiani: i Paesi dell’islam (dal Medio Oriente al Pakistan, all’Indonesia, alla Malaysia) mettono in difficoltà chi vuole convertirsi; India e Sri Lanka spingono sempre di più per leggi anti-conversione; i Paesi dell’Asia centrale – escluso forse il Kazakistan – limitano la libertà religiosa; i Paesi comunisti (Cina, Laos, Vietnam, Nord Corea) soffocano o addirittura perseguitano la Chiesa.
Il destino delle Chiese dell’Asia è davvero strano: esse sono un «piccolo gregge», circa l’1 per cento della popolazione del continente, eppure sembrano «dare fastidio» ai fondamentalismi religiosi e ai totalitarismi politici come se fossero un enorme esercito.
La storia della Chiesa in Asia è intrecciata col martirio. Essa, anzi, sembra avere il primato per numero di martiri: centinaia di migliaia (persecuzioni cinesi e vietnamite); forse milioni (persecuzioni mongole) hanno accettato di morire pur di non rinunciare alla fede in Cristo. Ciò significa che la fede cristiana – pur accusata ingiustamente di essere una fede straniera – è vista come un valore, un bene inestimabile per la vita. Un Dio che ha dato la vita per te ti fa scoprire che la tua esistenza, anche se sei povero, un paria, una minoranza, ha un valore inestimabile. La fede cristiana libera dal fato, dall’essere massa, facendo scoprire la propria responsabilità personale. Ma è proprio questo il punto: le tradizioni religiose che si rinchiudono a riccio e i poteri politici che temono le persone libere, si alleano per cercare di sconfiggere questi piccoli semi di libertà che sono le chiese e le scuole cattoliche.
La distruzione delle scuole (o il loro imbavagliamento) è un tipico elemento di persecuzione: Cina, Hong Kong, Indonesia, Nepal, India, Pakistan, Afghanistan… Non si vuole solo imbavagliare la fede delle comunità: si vuole anche distruggere la possibile influenza sociale del cristianesimo. Scuola significa fine dell’analfabetismo, apprendimento di un mestiere, conseguimento di una laurea, educazione, carriera, trasformazione sociale. Distruggendo la libertà religiosa dei cattolici, si distruggono anche le prospettive sociali di un popolo, lo si destina all’impoverimento e alla schiavitù. Giustamente Benedetto XVI e Giovanni Paolo II hanno detto che la libertà religiosa è la base di tutti i diritti. I tiranni, a loro volta, fanno fatica a chiudere i conti: il martirio di tanti cristiani suscita interesse, compassione, voglia di capire. È così che nei luoghi di persecuzione si assiste a una crescita di catecumeni e di battezzati, come avviene in Cina, in Nord Corea, in Iran… Solo la nostra indifferenza – di chiese e governi in Occidente – non ci fa partecipare a questo mistero di fecondità.
padre Bernardo Cervellera
Chiesa in africa. La vittoria dei vinti
Nel vastissimo continente africano, non meno che altrove, i cristiani si trovano spesso ad affrontare situazioni difficili determinate da una molteplicità di fattori di ordine sociale, politico e religioso che in alcuni casi possono degenerare in vera e propria persecuzione o comunque in uno stato di aperta ostilità. Da rilevare comunque che lo stile delle comunità non è quasi mai apparso intransigente, all’insegna di uno schierarsi in opposizione ai persecutori, tanto meno contro una determinata religione. Respingendo ogni forma di odio e prevaricazione, l’identità cristiana, basata essenzialmente sulla consapevolezza dell’impronta divina presente nell’animo umano, ha spinto una schiera numerosa di uomini e di donne – laici e consacrati – a testimoniare lo spirito delle Beatitudini.
Due sono comunque i contesti nei quali i cristiani, con sfumature diverse, sono maggiormente esposti a vessazioni o ad altri generi di malevolenze: in alcuni Paesi a maggioranza musulmana e laddove esistono regimi dittatoriali che soffocano ogni forma di dissidenza.
Nel primo caso, quello delle nazioni sotto la Mezzaluna, i problemi derivati dalla mancanza di comprensione acuiscono le differenze degenerando in violenze indiscriminate, particolarmente nel Corno d’Africa, unitamente al fenomeno migratorio che costringe i battezzati a trovare riparo in altri continenti. Per non parlare delle limitazioni imposte dai vari sistemi giurisprudenziali che riducono fortemente le facoltà dei cristiani nell’ambito lavorativo e più in generale del diritto civile. Emblematico è il caso in Egitto del cristianesimo copto (nella foto a lato), soggetto ai condizionamenti giuridici sanciti dalla Costituzione che, pur garantendo la libertà religiosa, proclama l’islam come principale fonte legislativa, condannando l’apostasia alla pari di un reato per alto tradimento. Sempre in questo Paese, considerato per certi versi filo-occidentale, la costruzione di un luogo di culto per i cristiani necessita di un lungo e spossante iter burocratico. Particolarmente pesanti sono state le vessazioni perpetrate in questi anni contro i cristiani in Sudan dove fin dall’indipendenza i vari regimi che si sono alternati al potere hanno esercitato azioni coercitive nei confronti delle minoranze religiose, imponendo l’applicazione della «legge islamica» (la sharìa). Ma non v’è dubbio che la terra in cui i cristiani hanno sperimentato i maggiori patimenti è la Somalia. Qui l’inizio dell’intolleranza è coincisa con l’assassinio di monsignor Salvatore Colombo, vescovo francescano di Mogadiscio. Poi, con l’estendersi della guerra civile, l’insicurezza ha determinato un vero e proprio esodo dei cristiani, famiglia dopo famiglia, alla volta del Nord America e dell’Europa.
Oltre a monsignor Colombo, hanno perso la vita in questi anni altri eroici missionari; l’ultima, in ordine cronologico, suor Leonella Sgorbati della Consolata, uccisa il 17 settembre del 2006 all’esterno del reparto di pediatria del «Villaggio dei bambini S.O.S», assieme alla sua fedele guardia del corpo di religione islamica.
Per quanto concerne la seconda tipologia di persecuzioni, le Chiese africane a volte subiscono aperte vessazioni per essersi schierate in difesa dei diritti umani, dando voce alla società civile. Straordinaria in tal senso la testimonianza di monsignor Christophe Munzihirwa, arcivescovo gesuita di Bukavu (ex Zaire) freddato la sera del 29 ottobre 1996 con un proiettile alla nuca. Il presule aveva denunciato coraggiosamente fino alla fine le ingiustizie perpetrate contro i civili dai militari ruandesi. La sua fede e quella di tanti altri martiri congolesi, ugandesi e di altre nazioni africane rappresenta «la vittoria dei vinti», azzardo dell’utopia evangelica.
padre Giulio Albanese
Chiesa in medio oriente. Tra tolleranza e persecuzioni
Alla conclusione del sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (5-26 ottobre), poco prima di recitare la preghiera dell’Angelus dalla finestra dello studio che si affaccia su piazza San Pietro, Benedetto XVI è tornato sulle sofferenze che, come un interminabile stillicidio, stanno toccando i cristiani iracheni e indiani. Lo ha fatto richiamando l’appello di pace sottoscritto il 24 settembre scorso dai responsabili delle Chiese cattoliche orientali presenti al sinodo: «Al termine dell’Assemblea sinodale – ha detto il Pontefice – i patriarchi delle Chiese orientali hanno lanciato un appello, che faccio mio, per richiamare l’attenzione della comunità internazionale, dei leaderreligiosi e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà sulla tragedia che si sta consumando in alcuni Paesi dell’Oriente, dove i cristiani sono vittime di intolleranze e di crudeli violenze, uccisi, minacciati e costretti ad abbandonare le loro case e a vagare in cerca di rifugio».
La vita per i cristiani dell’Iraq (nella foto a destra) è diventata un vero e proprio calvario. Solo a ottobre sono state quattordici le vittime a Mossul, la Ninive biblica, dove nello stesso periodo sono fuggite oltre 2 mila famiglie. La violenza è all’ordine del giorno e ha assunto una connotazione differente rispetto all’inizio della guerra (che dura da oltre 5 anni): allora lo scopo principale era l’estorsione, ora le minacce e le intimidazioni sono rivolte soprattutto a ottenere la conversione forzata all’islam. L’alternativa è quella di finire uccisi o di vedere la propria casa devastata. In questa situazione la scelta obbligata è quella della fuga. Un esodo forzato che nasconderebbe la volontà di creare una enclave cristiana nella piana di Ninive, una sorta di ghetto dove convogliare e controllare i cristiani della regione. Degli oltre 4 milioni di profughi e sfollati iracheni nei Paesi vicini (2 milioni solo in Siria), circa 250 mila sono cristiani. Nel Paese i fedeli delle varie confessioni cristiane sono rimasti circa mezzo milione. Negli anni Novanta erano circa un milione complessivamente, il 3 per cento della popolazione, ma circa 250 mila erano già emigrati al tempo della prima Guerra del Golfo, nel 1991. L’aperta persecuzione dei cristiani in Iraq (con gli innumerevoli attentati alle chiese, l’uccisione di sacerdoti e dell’arcivescovo caldeo di Mossul, Paulos Rahho) è solo l’aspetto più eclatante di una situazione di discriminazione che è latente in molti altre aree del Medio Oriente. Se in Paesi come Siria, Libano e Giordania le condizioni sono di sostanziale tolleranza, in Egitto la crescita del fondamentalismo musulmano provoca ormai con tragica regolarità tensioni con la comunità copta, che patisce soprusi specie sul versante dei diritti civili. In Turchia il nazionalismo si vena spesso di sentimenti anti-cristiani: dall’uccisione di don Andrea Santoro in poi si sono ripetuti diversi episodi di «cristiano-fobia». Nell’Autonomia nazionale palestinese i cristiani sono tentati dall’esodo a causa della pesante situazione economica, dall’occupazione israeliana e dall’aumento dell’influenza delle fazioni combattenti musulmane nella vita politica del Paese. Di fatto, dall’inizio della seconda Intifada a oggi, migliaia di famiglie cristiane hanno lasciato la Palestina per costruirsi un futuro altrove.
Ma accanto a tante ombre, va registrata anche qualche luce. A ridosso della prima chiesa cattolica edificata in Qatar e inaugurata in occasione della Pasqua scorsa, sta ora sorgendo un secondo luogo di culto che servirà anglicani e protestanti. Segnali di apertura in un Paese di stretta osservanza musulmana che lasciano qualche spiraglio alla speranza.
Giuseppe Caffulli