Lidia Yusupova. Cecenia, in difesa dei diritti degli ultimi

Da avvocatessa, ha condiviso con Anna Politkovskaya l’impegno per il ripristino della legge in Cecenia, il Paese che sta cercando di risollevarsi dopo le due guerre separatiste con la Russia.
26 Giugno 2009 | di

Amnesty International l’ha definita una tra le donne più coraggiose d’Europa. La stampa interna­zionale la considera l’ultima testimone della Cecenia. È Lidia Yusupova, avvocatessa cecena già tre volte candidata al Nobel per la pace, impegnata dal 2000 nel campo dei diritti umani. La incontriamo a Udine dove partecipa come ospite d’eccezione al Festival «Vicino-Lontano» nel corso del quale ha tenuto un intervento tra i più applauditi della manifestazione.
Lidia è un’esile donna dallo sguardo nobile e generoso, simile ai personaggi illuminati della grande letteratura russa. Appare così quando ci viene incontro. Sembra disorientata e gracile ma poi, fin dalla stretta di mano, si percepisce che è una donna energica, determinata. Con un cenno fa segno che possiamo iniziare.

Msa. Già nel 2007 lei doveva essere qui, a Udine, per la consegna del Premio Tiziano Terzani alla memoria di Anna Politkovskaya. Ma è stata trattenuta dalle autorità russe che le hanno sequestrato il passaporto. Cosa avrebbe voluto dire in ricordo di Anna?

Yusupova. Era importante ricordarla allora, e lo è oggi. Anna era un esempio, per la sua bellezza, per il modo in cui affrontava la vita, il lavoro. È sempre possibile che una brava persona faccia il giornalista, ma non è detto che un giornalista sia anche una brava persona. Anna non si limitava a scrivere qualcosa perché andasse semplicemente in stampa. Metteva tutta se stessa in ciò che faceva, spendeva il suo cuore. Anna scriveva per cercare di cambiare davvero le cose.

C’è un episodio che ama ricordare nella sua amicizia con la Politkovskaya?

Erano gli inizi del 2004. Anna intervistò Akhmad Kadyrov, il presidente ceceno che poi fu ucciso nel maggio dello stesso anno. Quando Anna venne nel mio ufficio di Grozny, dopo l’incontro, sentiva un peso, un dolore. Pianse. Kadyrov l’aveva trattata con brutalità, senza un minimo di gentilezza. Io volevo sedermi accanto a lei e abbracciarla, ma non lo feci. Volevo trasmetterle un po’ di forza, ma pensavo che forse non era il caso. E ora, ripensandoci, sento che avrei dovuto darle quell’abbraccio.

Dopo la morte di Anna è cambiata la modalità con cui i media russi descrivono la vicenda della Cecenia?

Profondamente. Anna scriveva di ciò che vedeva. I mezzi di informazione russi sono per lo più appiattiti sulla linea del Cremlino, sicché, quando parlano di Cecenia, sostengono che ora tutto va bene e non ci sono problemi. Questo accade anche con le altre repubbliche del Nord del Caucaso. Generalmente i nostri media non raccontano la realtà delle cose, ma offrono una versione allineata alla propaganda del Cremlino.

Con la ong «Memorial» lei, nove anni fa, ha aperto un ufficio legale nella capitale della sua tormentata terra natale. Ci può raccontare questa esperienza?

Il mio incontro con alcuni esponenti del centro per i diritti umani «Memorial» ri­sale al 2000. A loro raccontai fatti ed episodi di cui ero stata testimone durante la prima guerra cecena. Era giunto per me il momento dell’impegno. Aprimmo una sezione dell’associazione a Grozny e cominciai a raccogliere i casi di violazione dei diritti umani. Ho incontrato migliaia di famiglie, specialmente tra il 2001 e il 2004. Era un periodo sciagurato. Mi riferisco alle uccisioni extragiudiziali e ai rapimenti che avvenivano quotidianamente, in larga scala. Non c’è persona in Cecenia che non abbia perso un familiare, un amico, un conoscente. Alla mia porta bussava­no madri che avevano visto morire i loro figli davanti ai propri occhi o che non avevano notizie da giorni, settimane. Ho aiutato molte di queste famiglie, le ho convinte a rivolgersi alle istituzioni europee per ottenere giustizia. Era incredibile la forza con cui reagivano al dolore immenso che le aveva colpite. La loro energia, la loro dignità, la loro anima sono da ammirare. Attraverso la mia professione e la mia parola ho fatto da ponte, da cassa di risonanza.

Il suo impegno umanitario le ha portato in dote minacce di morte. Come convive con questo peso?

Negli anni ho lavorato senza sosta. Non avevo tempo per la paura. Vedete, amo questo lavoro, è un mio desiderio portarlo avanti. A Grozny ci sono molti avvocati ma pochi disposti a lavorare per i diritti umani, perché significa rischiare la vita, inimicarsi la polizia, l’Fsb (i servizi segreti russi, eredi del Kgb ndr). Alcuni colleghi sono stati rapiti e non se n’è più trovata traccia, altri si sono lasciati corrompere dal sistema giudiziario russo. Ancora oggi i miei numeri di telefono e la mia e-mail sono sotto controllo.

Ma lei, Lidia, si è mai chiesta com’è possibile che sia ancora viva? Possiamo dire che è un miracolo?

Non credo sia un miracolo. Penso piuttosto che sia la volontà di Dio.

Come immaginava la sua vita futura prima delle due guerre cecene?

La immaginavo normale, come quella di tutti. Ma la guerra ti cambia l’esistenza. (Lidia abbassa lo sguardo. Un sipario si è aperto sui ricordi. Per qualche secondo resta in silenzio, a occhi chiusi).

Ora sento di essere colpevole anch’io, perché noi intellettuali ceceni avremmo dovuto fare tutto il possibile per evitare queste guerre. (Lidia si porta la mano al petto e fa un sospiro profondo).

Era la mia generazione, quella dei non più bambini e non ancora anziani, che avrebbe dovuto fare qualcosa di più.

È molto difficile per un occidentale immaginare ciò che lei ha vissuto. Dove trova, quotidianamente, la forza per affrontare la vita con questo impegno e questa pas­sione?

Beh, intanto quando mi sveglio bevo un buon caffè. (Adesso Lidia ride, un senso di leggerezza le corre finalmente sul viso). Poi mi metto al lavoro. Mi chiedo: «Quali novità ci sono oggi nel mondo?». E mi informo. Poi magari chiamo gli amici più cari, parlo con loro. Penso che una persona non conosca mai esattamente il proprio potenziale finché questo non è messo alla prova. Il corpo e la mente umani sono sensibili, rispondono e reagiscono in base alle condizioni che si presentano loro. Mi spiego meglio: normalmente non giri con l’ombrello, ma quando piove lo prendi. Allo stesso modo reagiscono la coscienza e la mente: si adattano alle condizioni che incontrano, predisponendosi ad affrontarle al meglio. Accade lo stesso, per esempio, con i bambini malati: hanno più energia, più attaccamento alla vita rispetto a molti bambini sani; sanno gioire per le piccole cose. In fin dei conti è più facile sdraiarsi sul letto e dire: «Io mi sento male, non voglio fare niente». Invece, abbiamo la responsabilità della nostra vita, dobbiamo affrontare i problemi senza timore.

Le informazioni ufficiali parlano della Cecenia come di un Paese pacificato, in via di sviluppo. Lei è una fonte diretta e indipendente: che cosa sta realmente accadendo?

La nostra capitale è interessata da una graduale ricostruzione. Non si spara più, sono scomparsi i carri armati, e la gente cammina tranquillamente per le strade. Oggi si vive meglio, più sereni, non c’è più la paura per le irruzioni notturne cui eravamo abituati. I giorni passati erano percorsi da esplosioni e spari, rapimenti e omicidi. Anche oggi ci sono rapimenti, ma non non sono più un fenomeno di massa. Comunque non si può parlare di fioritura economica. Un tempo esistevano stabilimenti produttivi e imprese private, oggi ci sono solo enti statali che cercano di dare un po’ di respiro all’economia. Gli ospedali e le scuole hanno ripreso a funzionare. I terreni possono essere coltivati, ma è necessaria un’opera preventiva di sminamento perché molti sono ancora disseminati di mine inesplose.

La prima guerra cecena, nel 1994, fu la risposta russa alla dichiarazione di indipendenza della Cecenia. Oggi i ceceni sentono ancora il desiderio di indipendenza?

Certo, ma non possiamo parlarne liberamente, perché metteremmo a rischio la nostra vita. Ognuno di noi ha perso almeno un familiare, non possiamo cancellare gli orribili ricordi. Ora vogliamo semplicemente vivere.

La Russia soffre atavicamente di un gap democratico sul piano dei diritti individuali. L’Europa può dare un aiuto in tal senso?

Il vostro aiuto sarà prezioso solo se prima i cittadini della Federazione Russa si saranno assunti le proprie responsabilità a livello individuale, comprendendo il valore dei diritti umani.

Come si può rendere un uomo libero se ancora non conosce il concetto di libertà?

Quando ci sarà coscienza di sé e dei propri diritti. Solo allora la nostra società sarà libera e si potrà parlare di democrazia.

Se la sente di tirare un bilancio della sua vita?

Ci sarebbe tanto da dire. Nella mia esistenza ci sono state molte cose buone. Ho deciso di lavorare come avvocato perché credevo sinceramente che nessuno avrebbe osato violare la legge. Ora so che in Russia non c’è legge. Ma so anche che quanto accade a noi è comune ad altri popoli. E comunque non ci è concesso rinunciare all’impegno civile, per noi stessi e per non far mancare il nostro contributo all’umanità.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017