L’incognita del ritorno

Sono migliaia quelli che reputano non più possibile il loro rientro in Italia. E chi torna non è un fallito: considera la permanenza a Londra solo una parentesi della propria vita.
18 Marzo 2005 | di

LONDRA
Se partire (e lasciare l";Italia) segna l";inizio di un viaggio alla ricerca di autoaffermazione e di realizzazione, come abbiamo riscontrato nelle due parti già  pubblicate della nostra inchiesta, ritornare in Italia significa che il viaggio è giunto alla sua conclusione, che cioè la ricerca ha avuto buon esito e che gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti. In questa semplice equazione, che semplice non è, c";è un assurdo di base. Se l";Italia, per i giovani che la lasciano, rappresenta nepotismo, assenza di opportunità , difficoltà  di inserimento nel mercato del lavoro, precarietà , impossibilità  di mettersi in proprio, difficoltà  di ottenere un mutuo dalla banca, Londra e la Gran Bretagna rappresentano tutto l";opposto: opportunità  e realizzazione.
Per il giovane italiano che all";estero è riuscito ad affermarsi professionalmente, ma non solo, rientrare nella realtà  precedentemente rifiutata non avrebbe alcun senso. Un ragionamento questo per niente assurdo. Sono migliaia, infatti, i giovani che ogni anno lasciano l";Italia, come altrettanto numerosa è la quantità  di questi che considerano il viaggio all";estero un viaggio di sola andata, senza ritorno.

Chi sono i giovani che non ritornano?
Quali sono i motivi della loro decisione? I giovani che non ritornano sono quelli che hanno resistito alle iniziali difficoltà  d";inserimento, e dopo i primi due anni di sacrifici, fatti di lavori umili, retribuzioni minime, abitazioni sovraffollate, sono riusciti nel loro piccolo ad auto-affermarsi e a dimostrare a loro stessi il proprio potenziale. Sono ragazze trentenni che ritengono difficile il reinserimento nel tessuto economico italiano; l";essere donne in età  criticamente feconda è lo svantaggio che agli occhi del datore di lavoro, proprietario di un";azienda privata italiana, impedirebbe loro di ottenere un lavoro gratificante. Sono nella maggioranza dei casi giovani laureati che, dopo una lunga permanenza nelle università  italiane, dopo aver sperimentato il sistema lavorativo britannico basato sulla meritocrazia, e aver così ottenuto un lavoro ben retribuito e appagante, non sono più pronti a compromessi e non sono più pronti a rientrare in una cultura (italiana) dove il lavoro è ancora inteso come un favore e non come un";opportunità . Nell";assurdo, il raggiungimento delle aspirazioni e degli obiettivi del giovane, si trasforma nell";inevitabile punto di non ritorno.
«Mi piacerebbe rientrare in Italia, però mi spaventa l";idea di ritornare a lottare per ottenere ciò che merito o semplicemente per trovare un";occupazione che mi piace», afferma Monica Costa, 34 anni. «Tornare in Italia? Qualche volta ci penso ma non ci sono le condizioni giuste, non c";è crescita economica, non ci sono speranze per noi giovani», dichiara Claudia Ricci, 31 anni, laurea in Lingue. «Rientrare in Italia, alla mia età ? E che prospettive lavorative avrei? Dopo i 30-33 anni è impossibile trovare un impiego in Italia! E poi, dopo un anno in Germania e 14 qui a Londra, nel mio caso, non mi sento né inglese né italiana» dice Sonia Comincini , 36 anni, interprete.
«Ritornare definitivamente in Italia? Ogni tanto ci penso ma poi guardo un po"; di Tv italiana e mi passa la voglia. Penso di ritornarci solo quando inizierà  a pesarmi la vita che faccio a Londra», ammette Sergio Pepe , 39 anni, laurea in Scienze Politiche con il massimo dei voti.
«Per ora non voglio ritornare "; afferma Luca Frassinetti , 32 anni ";. Il lavoro in Italia è un problema: alcuni amici mi dicono che è difficile trovare lavoro dopo i 35 anni. Ritornerei solo se i miei genitori avessero bisogno di me», conclude Frassinetti.
Sono molti, forse troppi, i giovani italiani residenti in Gran Bretagna da ormai 5, 10, 15 anni che non considerano più possibile un rientro in Italia e, anche se non chiudono la porta completamente ad un ritorno definitivo, sembra evidente che più il tempo passa e più il loro ritorno è per tutti una vana speranza.
«Tornerò sicuramente, il problema è definire quando "; dichiara Roberto Serra , 31 anni, laurea in Ingegneria ";. Per ora ritengo di dover fare ancora esperienza qui. L";esperienza all";estero e la conoscenza della lingua inglese sono molto ben valutate in Italia». Il lavoro sembra essere la condizione necessaria ma non sufficiente per ritornare in Italia, il posto di lavoro deve essere ben pagato e soprattutto gratificante, caratteristiche senza le quali è impensabile ritornare.
«Ritornerò in Italia solo quando l";esperienza di lavoro maturata in Inghilterra mi permetterà  di acquisire un lavoro gratificante, che non mi costringa a troppi compromessi "; dichiara Tullia Bellantuomo , 28 anni, laurea in Lingue ";. Ho già  vissuto all";estero per periodi più o meno brevi, e tutte le volte che sono tornata in Italia me ne sono pentita. È un problema riadattarsi ai ritmi di vita completamente diversi e alla mentalità  chiusa», aggiunge Bellantuomo.

Ben pagati oppure non se ne fa niente!
«Tornerei subito in Italia solo a condizione di trovare un lavoro ben pagato, di circa 100 mila euro all";anno "; esclama Rita Bauce , 32 anni, laureata in Pubbliche Relazioni ";. Ho pensato di ritornare in Italia solo all";inizio della mia permanenza in Gran Bretagna, nei momenti difficili, di sconforto, quando ero senza soldi», ma la paura di non trovare un lavoro l";aveva frenata. «A Padova non ci torno se non ho un lavoro, anzi tutti gli amici che sono tornati in Italia, dopo 6-7 mesi di ricerca infruttuosa, sono ritornati a Londra. Dopo i 32 anni chi mi prende? "; si domanda Bauce ";. Come donna è difficile trovare un";azienda privata che ti assuma, molti datori di lavoro quando assumono una ragazza considerano l";età , il fatto che possa avere dei figli, e se possono ti evitano». Ma nel famoso Nord-Est il lavoro non manca: «ci sono molti lavori per operai specializzati e nella vendita ma non molti per noi laureati», e la scelta sembra quindi restringersi; «molti lavori sono a tempo determinato "; prosegue Bauce "; durano solo 3-4 mesi», e subentra così di nuovo l";angoscia di rimanere senza lavoro.
«Ritornare in Italia? Ci ho pensato, ma la decisione che ho preso qualche mese fa di mettermi in proprio mi ha fatto desistere "; afferma Galdina Baruzzo 47 anni, stilista "; a meno che altre esigenze lo richiedano, dopo anni di vita a Londra, bisogna avere una motivazione valida per ritornare indietro». Forse ha ragione Baruzzo, per chi ha saputo ricostruirsi una vita, per chi ha visto realizzati i propri desideri, per chi ha saputo affermarsi professionalmente e si è formato una famiglia, che senso ha abbandonare di nuovo tutto, ritornare in Italia e ricominciare? Bisogna avere una motivazione più che valida; bisogna avere coraggio. Lo stesso coraggio che 5, 10, 15 anni prima aveva portato gli stessi giovani a fare la valigia e a trasferirsi a Londra.
Ma ritornano solo gli sconfitti? «Chi parte non pensa necessariamente al ritorno "; afferma Riccardo Grigoli , 35 anni, 3 anni vissuti a Londra, rientrato definitivamente in Italia 4 anni fa ";. Se lasciare la realtà  natia per un";altra ha un significato, lasciare quella nuova tanto precedentemente idealizzata significa che cambiamento non rappresenta necessariamente miglioramento, che probabilmente le opportunità  di cui si parlava non sono state realizzate o che in fondo è più facile realizzarle nel proprio habitat. Magari dopo un percorso formativo di crescita, il viaggio appunto. La mia permanenza a Londra "; prosegue Grigoli "; è stato un periodo importante della mia vita, un periodo che mi ha visto fare alcuni sacrifici per coniugare studio della lingua, lavoro in albergo e vita privata, ma che alla fine mi ha ripagato con esperienze gratificanti e formative, sia in ambito professionale che più strettamente personale». Più che difficoltà  di re-inserimento bisogna quindi parlare di convenienza di re-inserimento. Ciascuno dei giovani intervistati tornerebbe volentieri in Italia solo se avessero la possibilità  di mettere in pratica, con la stessa gratificazione professionale, la propria creatività  ed esperienza. Vale la pena domandarci perché la dignità  di un buon posto di lavoro, debba ancora essere negata in Italia. Una domanda che milioni di italiani negli ultimi 100 anni si erano posti e che forse noi tutti ci eravamo illusi di non doverci più chiedere. Sbagliando.

Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017