L'infantile banalità del bene
Un medico legale nigeriano è in servizio a Pittsburgh, Pennsylvania, nel settembre 2002. Si chiama Bennet Omalu. È single e non ha ancora la cittadinanza Usa. Arriva sul suo tavolo autoptico il corpo di un atleta di football americano, 50enne, in pensione da 12 anni, che sembrava aver sofferto di Parkinson e depressione. Ma è davvero così? Omalu vuol andare a fondo, a costo di pagare i test di tasca propria, perché svolge un servizio pubblico, ama la verità e difende la propria indipendenza professionale. La memoria dei defunti la si onora anche così, chiedendo aiuto al cadavere: su, da bravo, fammi trovare quello che cerco, fammi sapere la verità.
Ristabilire la verità diagnostica
Omalu è quasi banale nella fedeltà al bene. Ha fatto una promessa professionale e la intende mantenere, anche se si trova circondato dalle maldicenze dei colleghi, dai poteri forti delle leghe sportive, dallo snobismo dei baroni universitari, dai fanatici degli stadi, dagli speculatori commerciali. Nella sala anatomica la morte gode nel soccorrere la vita. Se un collega ha sbagliato nel sottovalutare i sintomi (in buona o cattiva fede), occorre ristabilire la verità diagnostica, anche se, per quei pazienti, è ormai tardi. Le generazioni future trarranno però profitto da un progresso scientifico lento e inesorabile come una redenzione laica.
Il medico trova alla fine la causa dei depositi di placche fibrose che strozzano i tessuti cerebrali. Sono stati gli urti ripetuti, i traumi cranici sofferti nel corso di una lunga carriera sportiva. Gli atleti cozzano tra loro e, nonostante le protezioni, la massa molle del loro cervello sbatte contro la durezza della teca cranica. Allenamento dopo allenamento, partita dopo partita. «Encefalopatia traumatica cronica» è l’ipotesi che Omalu pubblica su un’importante rivista scientifica.
La corruzione usura la mente
Il titolo originale del film è «Concussion», che significa «commozione cerebrale», la scossa violenta della testa, che produce un breve disturbo della coscienza, ma non un macroscopico danno anatomico. «Concussione» in italiano ha anche un significato giuridico, quello di estorsione. Le due cose vanno assieme: il costume corrotto usura e corrompe la salute mentale; l’omertà di giornalisti, tecnici e medici avvelena i legami sociali, alimenta un opportunismo ipocrita, fa strage dei più deboli, genera nuove forme di schiavismo, mercifica i corpi.
Qual è oggi il ruolo di un sanitario? Curare le malattie o rifare l’uomo? Potenziare le prestazioni, migliorare l’estetica o curare le malattie? Il medico sportivo tutela primariamente la salute dell’atleta! Non è un meccanico che ripari «ai box» i guasti delle «macchine umane», né un talent scout di «mostri» utili ai profitti societari. Non è guru del cocktail farmacologico. Non è neppure uno «specialista d’urgenza» che legittima pratiche intenzionalmente violente o competizioni eccessivamente pericolose.
Liberare la verità
Questo film sigla un’alleanza: ci porta a ridosso della vita offesa, attraverso primissimi piani e dettagli, che fanno dello spettatore un patologo, il quale indaga sulle radici segrete della frode. Il cinema non promette una cura, ma documenta testardamente le sue congetture diagnostiche. Anche il cinema (come Omalu) parla con le ombre e chiede loro assistenza: aiutami a tagliare (montaggio si dice cutting), a capire, a liberare la verità, che nascondi dentro di te.
Zona d’ombra – Una scomoda verità, Usa 2015, regia di Peter Landesman, con Will Smith, Alec Baldwin, Arliss Howard, Paul Reiser, Gugu Mbatha Raw.