L’infinito oltre la grata del Carmelo

La vita claustrale da un lato attrae e incuriosisce, dall’altro stupisce e pone interrogativi perché sembra una fuga dal mondo. Le monache carmelitane raccontano come la loro rinuncia diventa pienezza.
22 Febbraio 2007 | di

La vita di clausura attrae e inquieta al tempo stesso. Da un lato, infatti, crea curiosità e stupore, dall’altro pone interrogativi sulla radicalità di una scelta che sembra sganciare la persona dal mondo e annullarne la femminilità. Ma chi la vive afferma di trovare oltre la grata un universo infinito, un amore immenso, la più grande delle libertà.
Ma dove sta la verità? Che cosa si cela dietro questa vita comunitaria scandita dai tempi dell’orazione, del lavoro e della ricreazione? Lo abbiamo chiesto alle carmelitane di due monasteri, quello di Monselice, nel padovano, e quello di Venezia. Compiendo un breve viaggio oltre la grata per cercare di capire come la «rinuncia al mondo» può diventare occasione di pienezza.


Prima tappa: Monselice
Nel cuore dei colli Euganei, a Monselice (PD), il Carmelo del Sacro Cuore ospita dodi-ci carmelitane scalze: dai 24 anni in su. La più giovane è una novizia del Madagascar. Per entrare nel parlatorio la chiave viene passata attraverso la ruota, e una voce squillante e gioiosa dà il benve-nuto. Ad accoglier-mi è la priora, suor Maria Grazia della Sacra Famiglia, con la più giovane professa (32 anni), suor Maria Giovanna di Gesù. I loro volti sono luminosi, il sorriso disarmante, la comunione tra sorelle palpabile fin dal primo approccio.
Qui la grata si può aprire: «La clausura – spiega subito suor Maria Grazia – è solo un mezzo, così come le regole che danno forma alla vita claustrale. La grata o la soglia non fanno clausura, che invece è nel nostro cuore. Esse sono “segni” della custodia di alcuni valori e di uno stile di vita che è fatto di ricerca del Signore». Anche il silenzio, spiegherà poi la priora, è un mezzo e non un assoluto. L’abito, confezionato all’interno del monastero, è meno austero e pesante di come lo si immagina: la «tocca» (che incornicia il volto e dà continuità all’abito) è facoltativa, e la portano soprattutto le più anziane. «La regola da sola fa scoppiare – dice suor Maria Grazia –. Nel monastero abbiamo molta comprensione per le ragazze che si avvicinano alla nostra vita e per la persona in generale». Nessun formalismo rigido, quindi, ma una regola di vita che diventa necessità perché alimentata da due sorgenti: il rapporto con il Signore vissuto nel silenzio dei tempi dell’orazione e la vita comunitaria con le sorelle.
Suor Maria Grazia è carmelitana da 35 anni, mentre prima era suora di vita attiva: «Facevo l’infermiera – racconta – ma a 24 anni stare accanto ai malati non mi bastava più. Volevo essere di maggior aiuto. Sentivo che stando più unita a Gesù potevo essere più unita a tutti. E ho scelto la clausura».
«Se nel mondo alziamo il tasso di contemplazione – fa eco una vivacissima suor Maria Giovanna, professa dal 2003 – il bene non resta isolato. L’amore vale per se stesso e amare significa dimenticare se stessi». Suor Maria Giovanna un mese dopo la laurea in matematica è entrata nel Carmelo. «Volevo sposarmi – racconta –. Pensavo che fosse quella la realizzazione dell’amore. A 19 anni sono entrata in crisi. Trovavo inutili tante cose, la mia vita si inaridiva e non aveva un senso». Galeotto per la sua vocazione è stato un libro: La vita di una santa. «Leggendolo ho scoperto che in alcuni aspetti la protagonista mi assomigliava. E ho trovato un nuovo rapporto con Gesù: l’ho incontrato come uomo e amico. Sono cambiata. Desideravo vivere questa vita e ho iniziato a uscire allo scoperto. Mi sono fidata e sono entrata in monastero. Ma mi ci sono voluti anni per ritrovare me stessa e la completezza nel dono alle sorelle». A fugare ogni dubbio una domanda: non ti manca nulla? Lo sguardo di suor Maria Giovanna vaga per una frazione di secondo alla ricerca di una possibile risposta. Ne trova una, la sola che il cuore le suggerisce: «Cosa potrebbe mancarmi?».


Il monastero in laguna
«La vita comune è un grande aiuto alla vita di preghiera». A confermarlo, oltre le parole, sono i volti radiosi di quattro sorelle carmelitane che mi accolgono sorridenti al di là di una grata nel monastero di San Giuseppe e Bonaventura a Venezia: 15 monache, dai 36 agli 86 anni. A raccontare le loro storie e la pienezza che offre la vita contemplativa sono suor Lucia dello Spirito Santo, suor Maria Grazia di Gesù Cristo, suor Emanuela della Santissima Trinità e suor Margherita della Croce. «Tutta la nostra vita è preghiera – confermano –. Non c’è divisione tra ciò che si è, che si fa e che si desidera. Ogni cosa, ogni atto è vissuto con amore e questo dà unità alla nostra vita e ci fa esse-re creatura nuova. L’unione con il Signore trasforma». Le parole sgor-gano spontanee e il pensiero dell’una com-ple-ta quello dell’altra in un’armonia che stupisce. Suor Lucia è in monastero da 47 anni ed è felice: «Non ho mai avuto un dubbio. Appena entrata ho sentito di essere finalmente a casa. La chiamata del Signore è il fine di tutto. Donando a lui la vita ho capito che mi potevo realizzare senza misura». «È questo il centro e la chiave dell’armonia – fanno eco le sorelle –: se c’è una vera chiamata, ci si sente subito in sintonia». «Quando si entra – riprende suor Maria Grazia, che racconta un travaglio durato dodici anni prima dell’affidamento – si lascia tutto. Si sperimenta una “morte”, ma poi si capisce che il Signore dà il centuplo». Che è fatto di amore, condivisione, pienezza, libertà… Una dimensione che suor Emanuela prima non riusciva a trovare, pur avendola cercata a lungo: «Qui – dice – ho trovato lo spazio che comprende tutto il mondo. Tra noi ci vogliamo un gran bene. La comunità è un dono immenso al cui centro c’è Gesù. Il nostro rapporto dipende sostanzialmente dal rapporto che abbiamo con il Signore, che ci rimanda sempre ai fratelli».
In monastero, confermano, la femminilità e la maternità trovano compimento pieno.
«Prima di entrare in clausura – racconta infatti suor Margherita – ho detto a Gesù: “Se non mi dai il cento per cento, io torno indietro, perché voglio essere una donna completa”. E Lui me l’ha dato e me lo dà ogni giorno di più. Oggi mi sento piena-mente donna e madre, perché amo e dono incondizionatamente. Ciò che rende madre, infatti, è donarsi alle sorelle, all’umanità intera, per qualcosa di utile. Anche senza vederne i risultati immediati».



ZOOM


Più vocazioni?


Nel mondo le monache sono 47.626 in 3.529 monasteri (dati 2005), 6.672 in Italia. Una scelta di vita che sembra registrare un aumento di vocazioni.
Ma sono le stesse claustrali a ridimensionare il tiro grazie all’associazione fra monasteri che dà loro la possibilità di un confronto continuo: «C’è un aumento di vocazioni contemplative rispetto alla vita attiva – dichiara suor Maria Grazia, priora del monastero di Monselice –, ma la flessione c’è comunque. Dire che sono in crescita è un’autoillusione ecclesiale».
Il fenomeno va letto in prospettiva. Il dato da osservare non è tanto il numero degli ingressi, quanto la capacità di tenuta nel tempo.
Oggi, per le giovani, la scelta radicale è molto più difficile rispetto al passato. Il monastero deve tenerne conto. Se, infatti, da un lato chi si avvicina alla vita claustrale deve possedere determinate attitudini, dall’altro il monastero dovrebbe essere in grado di cambiare: «In questo le giovani ci aiutano, facendo del bene a tutta la comunità».



Appunti. VITA QUOTIDIANA NEL CARMELO

Una volta entrata nel Carmelo, la monaca ne esce solo in casi eccezionali. Per il resto, la sua vita è scandita da un «ritmo di preghiera», che inizia la mattina, tra le 5.30 e le 6.00, in genere con le Lodi, e termina la sera, verso le 21.00, con la recita di Compieta. A cadenzare la giornata è la campanella, che richiama le sorelle alla preghiera in coro, al lavoro − in cella o nelle stanze a esso riservate (officine) ma sempre in silenzio −, o agli spazi di ricreazione per un momento di condivisione.
Il rapporto con l’esterno avviene attraverso una ruota (un cilindro rotante nel quale vengono riposti gli oggetti) posta all’ingresso del monastero. Alle monache è concessa la lettura di un quotidiano e di alcune riviste. Possono utilizzare in qualche caso il telefono e, in alcuni monasteri, vedere telegiornale, internet e la posta elettronica. La clausura non può essere oltrepassata da nessuno. Solo alle giovani che sentono la necessità di verificare la propria vocazione è permesso di condividere la vita delle monache per il periodo di prova. Per tutti gli altri, il contatto con le claustrali avviene nel parlatorio, uno spazio diviso in due dalla grata, segno che contraddistingue la custodia: di qua il mondo esterno che chiede intercessione, ascolto, preghiera, vicinanza, dall’altra parte le monache che con il loro sì hanno scelto l’amore del Signore prima di tutto.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017