L’integrazione possibile

Coltivare la cultura dell’accoglienza si può. Lo dimostrano le tante esperienze in campo educativo, editoriale o culturale in genere, che aiutano i bambini a cogliere la ricchezza della diversità.
29 Dicembre 2008 | di

I bambini non considerano la diversità come un «fatto negativo»: per loro è semplicemente un«fatto» sul quale a volte pongono delle domande. Sono domande molto semplici ma precise, e sta agli adulti rispondere in modo corretto per spiegare ciò che è diverso da sé.

Il primo attore dell’azione educativa è certamente la famiglia che, in sinergia con la scuola, può essere un ottimo laboratorio d’integrazione. Quest’ultima, inoltre, è in grado di favorire iniziative che facilitino l’accoglienza e l’inserimento dei bambini stranieri, «coltivando» in ogni piccolo alunno la cultura dell’accoglienza. Come sottolinea il dottor Vinicio Ongini membro dell’Osservatorio Nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri presso il ministero della Pubblica Istruzione: «Nella scuola italiana ci troviamo di fronte a una realtà molto diversificata e complessa. Negli asili, per esempio, 7 bambini stranieri su 10 sono nati in Italia. Non hanno quindi grandi problemi d’integrazione: condividono con i bambini italiani un immaginario comune che ha meno distanze culturali di quante ce ne sono tra la generazioni di adulti e gli attuali adolescenti. Dai dati, invece, risulta che il nucleo di massima criticità dell’integrazione si concentra sugli adolescenti stranieri (sono intorno ai 46 mila) che arrivano nel nostro Paese e vengono inseriti nella scuola, con tutte le difficoltà che si possono immaginare».
A conferma di questa tesi Giovanna Ramera, scrittrice, vent’anni d’insegnamento alle spalle tra scuola elementare e media racconta: «Un giorno, in classe, un mio alunno mi disse: “Maestra, Mampreet puzza di cipolla! Mi cambi posto?”. Mampreet era una bimba indiana di 7 anni, all’epoca appena arrivata in Italia. Allora chiesi ai bambini di annusare il proprio maglione, di ricordare il profumo della mamma, del papà e quello di casa, e poi li feci riflettere sul fatto che forse anche Mampreet pensava che noi avessimo tutti un odore strano: quello del pollo arrosto! I bambini si sciolsero in una risata. La piccola sembrava avere paura di assaggiare il cibo della mensa. Il mediatore culturale spiegò che era vegetariana e che non aveva mai visto la mozzarella, la pasta e la pizza... Temevamo che ci sarebbe voluto molto tempo per condividere il momento del pasto, finché un giorno di festa Mampreet riconobbe sul tavolo della mensa qualcosa di familiare. I suoi occhi si illuminarono, allungò la mano e disse timidamente: “Coca cola”. Basta poco per rifiutare, ma basta poco anche per imparare a conoscere!».


Loro come noi

A pensarci bene i bambini che adesso arrivano nelle nostre scuole non sono poi così diversi dai bambini italiani che nel secolo scorso migravano con le loro famiglie in Paesi come Belgio, Francia, Germania, America o Australia. Anche loro vivevano l’esperienza dell’immigrazione come esperienza dell’abbandono di un bagaglio culturale e affettivo col quale sino ad allora erano vissuti e si erano identificati. Il Paese per il quale partivano non rappresentava solamente un luogo individuabile sulla carta geografica con un percorso che si snodava per migliaia di chilometri lontano dalla loro casa, ma anche il luogo della perdita e della dura ricostruzione di percorsi interiori che dessero fiducia e, perché no?, risposte a quei cambiamenti per loro così dolorosi e difficilmente decifrabili. Era un viaggio alla riscoperta di sé.

Ed è proprio il tema del viaggio uno dei punti di forza del lavoro che si svolge a Roma presso «Celio Azzurro», Centro interculturale ma anche esempio virtuoso di asilo che accoglie bambini italiani e stranieri dai tre ai sei anni, provenienti da tanti Paesi del mondo. Fortemente voluto da monsignor Luigi Di Liegro, allora a capo della Caritas romana, fu inaugurato il primo giugno 1990 anche grazie a un finanziamento della Provincia e del Comune. È stato il primo Centro interculturale in Italia destinato all’infanzia immigrata. In questi diciotto anni nelle sue aule sono passati più di settecento bambini provenienti dai cinque continenti. Attualmente l’asilo accoglie 45 bambini di 21 nazionalità, di cui solo il 20 per cento è italiano. «L’asilo fu aperto innanzitutto per rispondere al bisogno di alcune famiglie di immigrati di trovare un luogo accogliente in cui lasciare i propri figli – dice Daniele Valli, educatore al Celio Azzurro –. Il secondo obiettivo era quello di creare un ambiente in cui fosse possibile, per genitori e figli, ritrovare le proprie radici affettive valorizzando le diversità e il proprio vissuto. Celio Azzurro punta il suo impegno educativo sull’ascolto e sulla capacità di relazione, ma credo che questo percorso pedagogico dovrebbe essere attuato in ogni scuola a prescindere dalla presenza di bambini stranieri». Un percorso, dunque, che non può non tener conto del ruolo, forte e significativo, dei genitori. A riguardo, Valli sottolinea: «Riteniamo che i genitori siano imediatori affettivi ideali per mantenere un legame con le proprie radici, perché essi possono trasmettere ai bambini il piacere della doppia appartenenza, creando un ponte affettivo tra il Paese d’origine e quello dove risiedono. Così i bambini capiscono che le emozioni sono uguali in ogni parte del mondo». Ma come coinvolgere i genitori? «Nel nostro asilo i genitori sono coinvolti nella narrazione delle storie e nel racconto autobiografico, all’interno di un percorso che per i bambini si traduce in un ipotetico viaggio alla scoperta di sé (per quelli della sezione “Piccoli”) o alla scoperta di ciò che sta loro intorno (per i “Mezzani”) oppure alla scoperta del proprio Paese d’origine (per i “Grandi”). Il tutto, ovviamente, mediante attività ludiche e laboratori». Ma la convivenza di culture differenti deve fare i conti anche con problemi pratici, come la gestione dei menù per i bambini. «Dobbiamo mettere insieme le esigenze che nascono dalla convivenza di tradizioni culturali e religiose di 21 etnie differenti – prosegue ancora l’educatore di Celio Azzurro –. Anche qui c’è il menù della nostra dieta mediterranea, al quale però poniamo sempre una particolare attenzione per rispettare la dieta di chi non mangia, per esempio, il maiale o altri cibi. I bambini vivono un’esperienza molto piacevole quando i genitori che vengono a raccontare le storie cucinano il cibo del loro Paese così che tutti possano conoscerlo e assaggiarlo. Celio Azzurro intende offrire una vita scolastica normale ai bambini da poco presenti nella nostra città e testimoniare che è possibile una convivenza all’insegna del rispetto, dello scambio e soprattutto della valorizzazione delle culture rappresentate dai bambini e dalle loro famiglie».


E se ci sono altri problemi?

Se attraverso una cultura dell’accoglienza è possibile trovare punti in comune per costruire una convivenza civile, non bisogna dimenticare che in certi casi, oltre al trauma della migrazione, alcuni bambini portano con sé il dolore di una malattia. Che cosa accade a un bambino affetto da patologie quando arriva in un Paese straniero? Se ne è parlato lo scorso novembre all’Università Cattolica di Brescia, durante il convegno organizzato dall’Associazione Monsignor G. Marcoli dal titolo: «Il trauma della migrazione e i bisogni della crescita. Piccoli sordi in terra straniera». La relatrice principale è stata Marie Rose Moro, psichiatra e psicanalista, docente presso l’Università Paris 13 e consulente di Médecins sans Frontières, che ha parlato del suo innovativo dispositivo di cura con le famiglie dei migranti all’Ospedale Avicenne di Parigi. Nel corso del convegno è emerso come i bambini stranieri presentino una vulnerabilità psicologica specifica che è legata alla divisione sulla quale si struttura la loro personalità: quella tra il mondo interiore (legato all’affettività e all’universo culturale dei genitori) e il mondo esterno (della scuola, dei media) retto da regole diverse. «Dagli ultimi studi – dice a riguardo la dottoressa Moro – è emerso che tanto più un bambino ha una buona rappresentazione dei propri genitori, meglio apprenderà la nuova lingua». Minore, infatti, sarà in lui la «frattura» tra mondo interiore e mondo esterno, mondo degli affetti e mondo delle regole. «Rispettare la cultura dei genitori significa agevolare i figli − prosegue l’esperta −. Mi è capitato, per esempio, di incontrare una mamma di origine senegalese che, dopo la nascita del suo bambino, pensava di non potersene prendere cura. Credeva di essere stata vittima del malocchio durante il parto e che il suo piccolo fosse in pericolo. Se il mio approccio non fosse stato anche rispettoso della sua cultura, e quindi non avessi preso in considerazione che nel suo Paese questa idea è fortemente radicata, probabilmente non avrei potuto entrare in contatto con la mamma e la sua fragilità, e lei a sua volta non avrebbe accettato il mio aiuto. Credo ci debba essere un rapporto di autenticità con i pazienti, che presuppone la consapevolezza del proprio ruolo di medico e non si limita unicamente ai buoni sentimenti, né si confonde con altri ruoli professionali. Occorre accettare lingue e saperi degli immigrati per dare loro la libertà di farsi aiutare».



Editoria. Crescere con un libro

È da poco in libreria un’innovativa iniziativa editoriale, dedicata sia ai bambini sordi che a quelli udenti italiani e stranieri da 0 a 6 anni, dal titolo Raccontare con le parole e con le mani la cui autrice è la dottoressa Marisa Bonomi, psicologa e psicoterapeuta.

Si tratta di un cofanetto contenente quattro volumi: due di filastrocche, uno di piccoli dialoghi quotidiani e un ultimo volume dedicato alle famiglie di bambini sordi (in italiano, arabo, indi e urdu).

Msa. Dottoressa Bonomi, da dove nasce l’idea della collana?

Bonomi. Da molti anni lavoro con educatori del nido e della scuola materna e ho constatato sia l’interesse dei bambini per i libri fatti a loro misura, sia la possibilità per gli adulti di utilizzare fiabe e racconti per accompagnare meglio il processo di crescita dei piccoli. Sfogliare con i genitori o con l’educatore un libro ben illustrato, che racconta una storia che ha un’eco nella propria esperienza di bambino, diventa un momento utile e piacevole che rafforza il legame tra l’adulto e il piccolo. Con questa collana abbiamo pensato di creare un’occasione di piacevole lettura congiunta anche per i bambini sordi che, di solito, sono un po’ in difficoltà con la lingua scritta; i testi sono perciò narrati anche nella lingua italiana

dei segni.

Perché la scelta di rivolgersi anche ai bambini immigrati?

In un mondo sempre più ricco di culture diverse, vogliamo contribuire, con le nostre filastrocche italiane e straniere, narrate anche nella lingua originale, a mantenere la «culla culturale» dei bambini figli di immigrati, per farli sentire meno sradicati dalle loro origini e meglio accolti nel nostro Paese.

Che cos’è il progetto: Piccoli sordi in terra straniera?

È un progetto innovativo e complesso dell’Associazione Monsignor G. Marcoli, volto al sostegno della genitorialità in famiglie straniere con bambini sordi, realizzato attraverso visite domiciliari.

Per saperne di più www.associazionemarcoli.it



Zoom. L’Africa a teatro

Anche il teatro per ragazzi si è avvicinato da tempo alle tradizioni degli altri Paesi, con progetti che si aprono alla ricchezza delle diverse culture. Ne è un esempio la cooperativa Teatro Laboratorio che propone Sotto la Tenda,uno spettacolo ricco di suggestioni il cui protagonista è l’attore marocchino Abderrahim El Hadiri. Immergendosi nei suoni e profumi di una casa immaginaria, si scoprono i colori del cielo e della terra, del deserto e del mare, i vestiti tradizionali e i suoni dei tamburi. I racconti del personaggio protagonista diventano quasi reali e con i bambini inseguono i ricordi, gli oggetti e la storia di un mondo lontano, ma anche molto vicino. In Musafir (sempre interpretato da El Hadiri) un narratore viaggia di paese in paese narrando storie in cambio di vitto e alloggio. I suoi racconti conducono là dove gli abitanti del Maghreb trascorrono notti diverse da noi, soprattutto durante il mese di Ramadan.

Info: www.cooperativateatrolaboratorio.it.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017