L'intervista. Ennio Morricone. «La musica è come un sogno»
Ce lo invidiano in tutto il mondo. Le sue melodie sono quasi leggenda. E non c’è italiano o straniero che, al suono della struggente colonna sonora di C’era una volta il west (capolavoro diretto da Sergio Leone nel 1968), non associ in automatico il suo nome. Ennio Morricone è un marchio di fabbrica, una garanzia di successo. Sia che componga musica, sia che risponda alle domande di un’intervista, il maestro nato a Trastevere, nel cuore di Roma, nel 1928, sa sempre come stare al centro dell’attenzione. Ma il suo segreto non si chiama Oscar, Grammy o Leone d’oro. Nonostante in oltre cinquant’anni di carriera abbia collezionato nove David di Donatello, cinque nomination agli Oscar, un Oscar alla carriera (2007), quattro Premi Bafta (British academy of film and television arts) e altrettanti Golden Globe, un Grammy Award, il Prado d’oro alla carriera (1989), l’Efebo d’argento (1993), il Leone d’oro alla carriera (1995) e il Polar Music Prize (è stato il primo italiano, nel 2010, a riceverlo), l’importante per questo artista è serbare sempre qualche novità da consegnare al futuro. E cavalcare l’onda dell’oggi con lo stesso stile di ieri e di domani.
Figlio di un trombettista originario di Arpino (Frosinone), Ennio Morricone si avvicina alla musica fin da giovane: a 10 anni inizia a frequentare il Conservatorio di Santa Cecilia. Ben presto si cimenta nella composizione di musica per radio, televisione, cinema e teatro. Dal ’61, quando esordisce con la sua prima colonna sonora nel film di Luciano Salce Il federale, il compositore inizia un percorso professionale che lo porterà a collaborare con registi come Pier Paolo Pasolini, Sergio Leone e Bernardo Bertolucci, fino a varcare i confini nazionali per impreziosire le pellicole di Brian De Palma, Oliver Stone, Pedro Almodovar e Warren Beatty. Un talento unico e tante soddisfazioni. Ce ne sarebbe più che abbastanza per appendere la bacchetta al chiodo e ritirarsi in pensione. Ma Ennio Morricone non ci pensa nemmeno, e oggi – alle soglie degli 85 anni – prosegue la sua attività con entusiasmo ed energia. Dopo aver arricchito con le note La migliore offerta, l’ultima fatica del regista Giuseppe Tornatore – uscita nelle sale lo scorso gennaio –, ora il maestro si prepara a un tour di concerti che lo porterà a esibirsi al Royal hospital Kilmainham di Dublino, assieme all’Orchestra Roma Sinfonietta, il 28 luglio. Quindi, il 22 agosto, sarà la volta di Verona, dove, assieme all’Orchestra sinfonica nazionale della Rai e al Coro lirico sinfonico della città scaligera, nella suggestiva cornice dell’Arena, ripercorrerà i pezzi più significativi della sua carriera. Ma non finisce qui. Nell’agenda di Morricone c’è già in programma una doppia esibizione autunnale: il 13 e 14 novembre al Crocus City Hall di Mosca il maestro dirigerà l’Orchestra sinfonica e il Coro polifonico locale.
Con una vita tanto ricca di stimoli, l’aggettivo che più si addice a Ennio Morricone è «determinato», e al contempo «semplice». Perché, dietro all’artista pluripremiato, si nascondono anche un marito (è sposato con Maria Travia dal ’56, ndr) e un padre come tanti. Dei quattro figli, Marco, Alessandra, Giovanni e Andrea, solo quest’ultimo ha intrapreso la carriera di musicista, collaborando talvolta col padre. Suo il tema d’amore nel film di Giuseppe Tornatore Nuovo cinema Paradiso, composizione per la quale Andrea Morricone ha vinto il Premio Bafta, insieme con il padre.
Dalla musica al cinema, in realtà, lo spirito creativo del maestro sembra aver «contaminato» un altro figlio. A Giovanni Morricone si deve, infatti, la regia di due dvd che ripercorrono altrettanti concerti del padre: Voci dal silenzio, tenutosi all’Arena di Verona nel 2004, e il concerto che si è svolto a Venezia nel 2008. Padre e figli uniti nella vita privata, come nel lavoro: anche questo significa «fare famiglia».
Msa. Una moglie e quattro figli: il suo è un clan numeroso. Come è riuscito a conciliare gli impegni familiari con i tanti viaggi e concerti che il lavoro del compositore implica?
Morricone. Non facevo concerti quando i miei figli erano piccoli. Ma ora ognuno ha la propria casa e, quindi, quando viaggio, porto con me mia moglie Maria.
Scrivere musica è, in genere, un’attività solitaria. Eppure, alle volte, può essere necessario un team di supporto. C’è qualcuno che la coadiuva? Troverebbe troppo retorica e accondiscendente l’espressione «grande maestro»?
Quando scrivo nessuno mi può aiutare, perché chi scrive ha qualcosa di personale da dire. La musica esige che prima si guardi dentro se stessi, poi che si esprima quanto elaborato nella partitura e nell’esecuzione. Il risultato di questo lavoro raggiunge chi lo ascolta. Riguardo a eventuali collaborazioni con altri professionisti, posso dire che, nel mio caso, non vanno oltre l’organizzazione dei concerti. Io mi concentro solo sulla direzione dell’orchestra e sulle prove.
Da quando, negli anni ’60, lei ha iniziato a scrivere colonne sonore, come sono cambiati il mondo della musica e il suo pubblico?
Io sono cambiato, non so se questo è successo anche al pubblico. Di sicuro quest’ultimo si è fatto più esigente nell’ascolto. Dagli anni del mio esordio a oggi si è passati attraverso l’alta fedeltà, la riproduzione sempre più perfetta del suono, l’arricchimento tramite messaggi video. Tutto è diventato più accurato. E il mio modo di scrivere testimonia sempre l’esigenza di andare avanti lungo un percorso creativo.
Durante la sua carriera lei si è cimentato in vari generi musicali. Spesso ancora oggi, però, il suo nome è associato alle pellicole western dirette da Sergio Leone. Come mai?
Io e Sergio Leone siamo stati compagni di scuola. I film western all’epoca erano considerati un genere minore, tanto che a quelli prodotti in Italia venne poi data l’etichetta di «spaghetti western», modo di dire che ne sminuiva il valore. Spesso si trattava, invece, di pellicole straordinarie. Anche se le colonne sonore scritte per tali film rappresentano soltanto l’8 per cento della mia produzione, il pubblico ricorda soprattutto queste. Ma in realtà sono molte altre le pellicole di rilievo per cui ho lavorato.
Andiamo ai suoi esordi. Quale è stata la prima composizione per cui ha ricevuto un compenso?
Gli arrangiamenti delle canzoni per la radio.
E qual è stata invece la colonna sonora che le ha dato più soddisfazione, ma anche più «filo da torcere»?
Quella composta per il film Mission di Robert Joffé, perché mi fu commissionata a montaggio concluso. Vinse il Golden Globe e il Premio Bafta nel 1987. Altro motivo di orgoglio: le musiche di La migliore offerta, diretto da Giuseppe Tornatore.
Le è mai capitato di scrivere un pezzo, convinto che sarebbe divenuto un successo, e di vedere invece disattese le sue aspettative?
Non scrivo per il successo. Scrivo per me. Per cui non è mai avvenuto un episodio simile, né in positivo né in negativo. La musica poi è intangibile, non ha sembianze, è come un sogno: esiste solo se viene eseguita, prende corpo nella mente di chi ascolta. Non è come la poesia, che non necessita di interpretazione perché le parole hanno un loro significato. La musica può essere interpretata in vario modo. Una composizione per una scena di guerra può essere intesa anche come brano che accompagna una danza frenetica.
Qual è il traguardo che l’ha gratificata di più?
Potrei dire, indifferentemente, i nove David di Donatello, l’Oscar e il Leone d’oro alla carriera. Tutti i miei premi sono stati un traguardo e la gratificazione del mio lavoro.
Quello del compositore è un mestiere che sognava sin da bambino?
No, da piccolo volevo fare il medico.
Come mai ci ha ripensato?
Tutto è cambiato quando ho iniziato a frequentare il Conservatorio: allora ho trovato la mia strada nella musica.
Nell’ambito della composizione classica, quali artisti predilige?
Di certo più di uno: Giovanni Pierluigi da Palestrina, Claudio Monteverdi, Igor Stravinsky e Goffredo Petrassi, il mio maestro.
Musica a parte, lei è anche un grande estimatore del gioco degli scacchi. Quando ha scoperto questa passione?
All’età di 18 anni, quando acquistai in edicola un manuale. Ora faccio parte della seconda categoria nazionale (della Federazione scacchistica italiana, ndr). Ho giocato spesso con un altro musicista, Aldo Clementi, mio compagno al Conservatorio e bravissimo alla scacchiera.
Parlando invece di sport, ce n’è uno che lei ama particolarmente?
Anche se non lo pratico, mi piace il calcio e sono tifoso della Roma.
Dal piacere al dovere, dalla passione all’esigenza. Qual è il problema più grave che oggi affligge la società, in specie le nuove generazioni?
Le emergenze sono tante e occorre affrontarle tutte. Non basta risolverne una. Se ci si occupa con serietà della scuola, poi, bisogna dedicarsi con lo stesso rigore al pianeta lavoro.
Se lei incontrasse per la strada uno dei tanti esponenti dell’economia o della politica italiana che cosa gli chiederebbe?
Li ho incontrati più di una volta e non ho chiesto loro mai nulla.
Qual è la risorsa più importante su cui l’uomo può contare per superare i momenti bui?
La fiducia in se stesso.
La scheda
Ennio Morricone nasce a Roma il 10 novembre 1928. Frequenta il Conservatorio di Santa Cecilia e si diploma in strumentazione per banda, tromba e composizione con il maestro Goffredo Petrassi. Nel 1956 sposa Maria Travia, da cui avrà quattro figli. Nel 1961 inizia a scrivere colonne sonore per film. Si dedica anche alla musica per la radio, la tv e il teatro. Suoi sono brani come Se telefonando, cantato da Mina, e moltissimi arrangiamenti per Gianni Morandi. Nel 1964 inizia la collaborazione con il regista Sergio Leone nel film Per un pugno di dollari. Sei anni dopo vince il primo Nastro d’argento per le musiche di Metti, una sera a cena di Giuseppe Patroni Griffi.
Tra i premi vinti, Morricone conta dieci Nastri d’argento, nove David di Donatello, un Oscar, un Leone d’oro alla carriera, ventisette dischi d’oro e sette dischi di platino. Cavaliere della Legion d’onore in Francia, Commendatore e Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, Morricone vanta anche due lauree honoris causa attribuitegli dalla Seconda Università di Roma e dall’ateneo di Cagliari.