L'intervista. Giuseppe De Rita
San Francesco sul concetto di fraternità ha gettato le fondamenta del suo ordine. Un concetto che esprime accoglienza, condivisione, scambio, accettazione dell’altro in nome di una medesima origine che accomuna tutti gli esseri umani in un unico destino. E questo nonostante la storia (anche quella biblica, basti pensare ad Abele ucciso da Caino, a Esaù raggirato da Giacobbe, a Giuseppe venduto come schiavo dai fratelli invidiosi) ci mostri una lunga sequenza di fratelli tra loro ostili, pronti a ingannarsi e a sopprimersi a vicenda per brama di ricchezza o potere. Ma questo, ben lungi dall’indebolire l’ideale di fraternità, ne esprime ancor più la forza intrinseca, una forza che nemmeno le miserie umane riescono a scardinare. Non stupisce, quindi, che in tempi di conflittualità come quelli odierni si vada a recuperare quell’ideale, auspicando addirittura che a esso possano uniformarsi i rapporti sociali e politici. Lo ha fatto l’Ordine francescano secolare, il braccio laicale della famiglia francescana, che alla fraternità come modello ispirativo del vivere sociale ha deciso di dedicare un intero convegno dal titolo «Semplicemente fratelli. Percorsi di fraternità per la società italiana», in programma a Padova dal 28 al 30 maggio. Al convegno interverrà anche Giuseppe De Rita, sociologo, presidente del Censis (Centro studi investimenti sociali), interprete della società italiana da quasi mezzo secolo. Lo abbiamo incontrato.
Msa. Dottor De Rita, la categoria della fraternità è troppo spirituale per essere applicata alla società civile e politica?
De Rita. Non è troppo spirituale. Tutti i meccanismi di tensione in una società politica e in una realtà sociale sono legati a una non condivisione o a una negazione della fraternità. Partiamo dal concetto che noi fratelli siamo necessariamente in conflitto perché coeredi di un’unica eredità. Quell’unica eredità va divisa e questa divisione è vissuta in modo conflittuale. Basti pensare alle liti familiari per l’eredità del padre o, estendendo il concetto, al difficile rapporto tra cattolici, ebrei e musulmani sull’eredità di Abramo. Tutto nel mondo è eredità, ma nella trasmissione dell’eredità c’è una dimensione conflittuale molto forte. Per motivi storici, che non è il caso di analizzare qui, la parola fraternità è diventata una parola dalle forti valenze spirituali, molto nobile (il fratello, la fratellanza, la fraternità…), però porta ancora in sé quella dimensione conflittuale: tutti i fratelli sono eredi di un’unica eredità che non è facilmente divisibile e per la quale sono pronti a combattere.
La politica italiana in particolare è esempio riconosciuto di faziosità e litigiosità. Sappiamo che non è questa la strada migliore per perseguire il bene comune. Cosa consiglierebbe ai politici?
Io sono convinto che una buona democrazia debba essere un po’ conflittuale, quindi non mi spavento quando sento di liti o conflitti in politica. Il vero problema è che il conflitto oggi è sostanzialmente vuoto: c’è un rincorrersi di accuse e controaccuse, di peccati e reati, che portano un po’ di faziosità ma non conducono al conflitto. Producono solo un moralismo fazioso, che è ben diverso. Io consiglierei ai politici di puntare sui fatti, di non mettersi a fare troppi moralismi, di non utilizzare i media collettivi come strumento per fare politica, ma di ritornare, come molti stanno facendo, alle questioni concrete e alle persone, ai problemi del territorio.
Talvolta la fraternità è scambiata per localismo, etnicismo, riferimento al clan, radicamento territoriale al limite del separatismo, chiusura corporativa…
Se fraternità è intesa in termini intellettuali, culturali e anche religiosi, tutti questi concetti non c’entrano. Gli appartenenti a un ordine professionale possono sentirsi accomunati da una cultura solidale; può accadere che una realtà locale o un’etnia si sentano solidali nel proprio territorio, ma è appunto solidarietà, non fraternità, è meccanismo di riferimento quotidiano. La fraternità è un’altra cosa, è un impeto dello spirito, della psiche e forse anche del cuore, che porta a un rapporto paritetico di reciprocità e di scambio. La fraternità non può portare a un rapporto di convergenza su interessi.
La Chiesa in Italia è sempre stata grande agenzia di fraternità: ha creato ponti, legami, proposto stili educativi… Questa funzione è messa a rischio dai recenti scandali?
I recenti scandali mettono a rischio la funzione di paternità, non di fraternità della Chiesa. La Chiesa oggi, specialmente in Italia, ha una spiccata dimensione sociale, è costituita per lo più di preti che stanno sul territorio. Quindi il rapporto orizzontale di fraternità nella Chiesa c’è ed è anche molto forte. A essere in crisi è la figura del prete come padre, come adulto, come educatore dei giovani, del prete maieutico potremmo dire. È questo l’aspetto che, almeno in parte, si è perso, al di là dello scandalo. Oggi è venuta meno la responsabilità verso i figli, anche se spirituali, e la responsabilità verso la funzione paterna che ogni prete deve avere.
La crisi economica ha reso gli italiani meno fraterni? Li ha avvicinati o allontanati?
Li ha più avvicinati che allontanati. È vero che la crisi economica ha fatto scattare dei meccanismi di egoismo e di sopravvivenza individuale che, anche giustamente, ogni crisi porta con sé. Però è anche vero che nell’ultima crisi abbiamo assistito allo sviluppo di almeno due elementi: un microwelfare (cioè un welfare garantito dalla famiglia, dal vicinato, dalle badanti, da realtà insomma non di tipo istituzionale) e una solidarietà territoriale, specialmente nei localismi industriali. Non possiamo definirle fraternità, ma sono certamente forme di solidarietà orizzontale che, all’interno delle realtà locali e delle famiglie, si sono sviluppate in modo marcato.
Quando la fraternità si irrigidisce in ideologia della fraternità sono guai per tutti. Potrebbe accadere anche oggi?
No, perché non c’è un’ideologia della fraternità, né vedo possibile costruirla nei prossimi anni. La fraternità resta un lungo percorso. Il filosofo Lévinas diceva che il primo passo per uscire dalla solitudine del mondo moderno è riprendere a dare del tu, che significa uscire da se stessi e rivolgersi all’altro con quella dimensione facile e agevole che è il tu. Il tu verso l’altro non è ancora fraternità, però è, appunto, il primo passo. Su quello poi si può costruire una richiesta di reciprocità e la reciprocità porta alla fraternità. Noi siamo ancora allo stato prerudimentale di una cultura della fraternità, molto lontani da una ideologia.
Nella sua lunga esperienza di lettore della società italiana, costruttori di fraternità sono più gli uomini o le donne?
Dovrei dire le donne. A parte alcune realtà, come appunto i preti che lavorano nel sociale, in genere, nella dimensione laicale, sono più le donne a fare fraternità: sono loro a dedicarsi di più al volontariato, garantiscono più presenza quotidiana all’interno di alcune strutture, danno più spesso assistenza domiciliare spontanea ad amiche o conoscenti. La catena della fraternità, dell’attenzione all’altro, mi sembra più presente nelle donne che negli uomini.
Un laico impegnato sul versante ecclesiale come può tradurre la fraternità a livello socio-politico?
Il grande problema sarà di uscire dalla mucillagine sociale, cioè da quella poltiglia composta da tanti coriandoli che stanno l’uno accanto all’altro senza stare insieme. Per fare ciò, ribadisco, è necessario uscire da se stessi per andare verso l’altro; bisogna parlare con lui usando il tu, in maniera piana, comprensibile, umile se possibile; dopodichè, stabilito il rapporto, si può cominciare a parlare di reciprocità, perché i fratelli scambiano, non possono soltanto offrire o prendere. Questo è l’obiettivo fondamentale nel panorama politico dei prossimi 20-30 anni. Se dovessi impegnarmi in politica, cosa improbabile visto che io trent’anni non ce li ho di fronte, mi impegnerei in questo.
La scheda. De Rita in breve
Giuseppe De Rita è nato nel 1932 a Roma, da famiglia di origine molisana. È stato dapprima funzionario e poi responsabile della sezione sociologica per la Svimez (Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno). Dal 1964 al 1974 è stato Consigliere delegato del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali), che dal 1974 presiede.
Giuseppe De Rita, oltre a svolgere un’intensa attività pubblicistica, è relatore a convegni e dibattiti sulla società italiana. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il punto sull’Italia - Popolazione lavoro economia produzione finanza inflazione risparmio consumi sanità famiglia istruzione (con M. Deaglio), 1983, Mondadori; La Chiesa Galassia e l’ultimo Concordato (a cura di L. Accattoli), 1983, Rusconi; La società abbondante - Come arrivammo agli anni ‘90 (con N. Delai-A. Vinciguerra), 1990, Edizioni Euroitalia; Il regno inerme. Società e crisi delle istituzioni, Torino, Einaudi, 2002; Che fine ha fatto la borghesia? Dialogo sulla nuova classe dirigente in Italia, (con A. Bonomi e M. Cacciari) Torino, Einaudi, 2004.
info convegno
- Semplicemente fratelli
Tel. 349 4462836
e-mail: evento francescano 2010@ofs.it
Segretariato nazionale Ofs, Via della Cannella, 8
06081 Capodacqua d’Assisi (Pg). Sito www.ofs.it
Evento francescano 2010
Percorsi di fraternità per la società italiana
«Lo stile della fraternità francescana è sempre stato quello “pacificatore”, vale a dire risolutore dei conflitti. Se questo modello, adeguatamente sviluppato, fosse adottato dalle varie realtà sociali, si realizzerebbe una società “comunità di persone”, nella quale le relazioni avrebbero un ruolo fondamentale». Così Giuseppe Failla, Ministro nazionale dell’Ordine francescano secolare (Ofs), spiega le ragioni del Convegno padovano. «Ci auguriamo – prosegue – che, dopo aver insieme riflettuto su questi temi, le nostre fraternità divengano piccoli “laboratori” sul territorio dove sperimentare uno stile rinnovato, dal quale far scaturire una richiesta di maggiore condivisione su temi che toccano il bene comune».
Programma
- Venerdì 28 maggio
Ore 17,30/19,30; chiesa di San Francesco Grande, Padova; Saluto e preghiera d’inizio: Antonio Mattiazzo Arcivescovo - Vescovo di Padova
- Sabato 29 maggio - mattina
Ore 10,00; Basilica del Santo, Padova. «Le radici e le motivazioni evangeliche e francescane della Fraternità» Fr. Enzo Bianchi priore della Comunità monastica di Bose
- Sabato 29 maggio – pomeriggio
Ore 16,00/19,00; Centro Papa Luciani, Padova; Tavola Rotonda Giuseppe De Rita Sociologo intervistato da p. Ugo Sartorio Ofm conv, Direttore editoriale «Messaggero di sant’Antonio»; intervengono: Fra Antonio Maria Tofanelli Ofm cap, Gianluca Floridia Gioventù Francescana, Ettore Colli Vignarelli Giornalista Ofs, Beppe Pagani Sindacalista Ofs.
Ore 21,30; Spettacolo musicale aperto alla città
- Domenica 30 maggio
Ore 10,00 Santa Messa conclusiva