L’Istituto mediterraneo per i trapianti
Ha progetti ambiziosi l'Istituto mediterraneo per i trapianti che ha cominciato, in questi giorni, la sua attività a Palermo. Oltre a voler dare fiducia ai propri cittadini attraverso l'efficienza e l'umanità delle proprie strutture sanitarie, l'Istituto ha tra i suoi obiettivi primari, quello di porre fine ai «viaggi della speranza» che costringono tuttora centinaia di malati, soprattutto delle regioni meridionali, a rivolgersi ad altre regioni o, più spesso, all'estero per ricevere un organo salvavita. Ed è proprio da questo dramma, vissuto per anni da malati italiani in attesa di trapianto e dai loro medici, che ha preso il via, due anni fa, l'idea di costituire un centro trapianti a Palermo, coinvolgendo una delle istituzioni scientifiche più importanti al mondo nel settore dei trapianti, il centro statunitense di Pittsburgh.
A dirigerlo, è stato chiamato il chirurgo Ignazio Marino, (allievo del pioniere dei trapianti Thomas Starzl), uno dei «cervelli italiani» che 15 anni fa ha lasciato il nostro Paese per andare a specializzarsi in America in un settore così innovativo della medicina. Alla presidenza del comitato dei garanti dell'Istituto, ha dato la sua adesione il cardinale Salvatore Pappalardo che si è impegnato a promuovere campagne per la donazione degli organi tra la popolazione siciliana e ha coniato uno slogan davvero efficace: «Date a Cesare& quel che è di Giovanni, a Stefania quel che è di Francesco& ».
È nato così l'Ismett,(Istituto mediterraneo per i trapianti) grazie a una collaborazione pubblico e privato (innovativa per il settore sanitario italiano), tra l'università di Pittsburgh, la Regione Sicilia e le aziende sanitarie degli ospedali «Civico» e «Cervello» di Palermo, con la piena collaborazione del ministero della Sanità . Tutti questi soggetti insieme hanno dato un contributo specifico al progetto. A cominciare dal ministro Rosy Bindi che ha recuperato decine di miliardi non utilizzati dalla Regione. L'università di Pittsburgh, da parte sua, si è impegnata nella formazione del personale sanitario e nel trasferimento delle più moderne tecnologie, mentre la Regione, tramite le due aziende sanitarie, partecipa attraverso l'impegno del personale sanitario (40 infermieri e decine di medici siciliani hanno trascorso alcuni mesi al centro trapianti di Pittsburgh) e finanzia l'attività .
Oggi, i trapianti sono una realtà consolidata, una terapia efficace per la cura di alcune malattie che altrimenti porterebbero a morte. Ma pochi sanno che la situazione italiana, e, soprattutto, nel Mezzoggiorno, non è solo legata alla scarsità di donazioni, ma anche alle carenze organizzative delle rianimazioni che dovrebbero avere un ruolo centrale nel coordinamento delle attività di prelievo e trapianto. I malati che attendono un organo in Italia sono tanti (circa 12.000 in lista di attesa, 10.000 per il rene, 1000 per il cuore e 1000 per il fegato), ma sono davvero poche le possibilità di soddisfare questa richiesta nel nostro Paese, soprattutto al Sud.
E la sofferenza dei malati e delle loro famiglie, la frustrazione dei medici e i costi da sostenere per i viaggi all'estero sono diventati un peso insopportabile. Nel solo 1995, la Regione Sicilia ha speso 250 miliardi per i «viaggi della speranza», e in questi ultimi anni sono partiti dall'isola per trapianti all'estero 60 malati all'anno. Molti di più sono i malati che non hanno avuto quest'opportunità e sono morti per la mancanza di una struttura che li potesse assistere da un punto di vista chirurgico. E negli ultimi anni la situazione per i pazienti dell'Italia meridionale bisognosi di trapianto è divenuta sempre più disperata.
«Molti Paesi europei - spiega il professor Luigi Pagliaro, clinico medico dell'ospedale 'Cervello' - hanno già chiuso le liste di attesa per i cittadini stranieri e la stessa cosa si accingono a fare anche gli Stati Uniti, che hanno già posto il limite del 5 per cento per i non americani che devono ricevere un trapianto».
Ecco perchè è fondamentale e sempre più urgente vincere la sfida del centro di Palermo.
Il professor Ignazio Marino: Senza donatori tutto inutile
Msa. Cosa vuol dire organizzare un centro per i trapianti in Italia?
Marino. L'organizzazione di un centro trapianti è un'attività molto complessa di cui il trapianto rappresenta, forse, il momento più semplice. Un chirurgo che ha fatto il training di formazione sa certamente svolgere bene il suo lavoro. Ciò che sembra più difficile è organizzare quelle attività che devono funzionare perfettamente e che normalmente non si vedono. Pensiamo, ad esempio, al problema del reperimento degli organi, indispensabili per fare i trapianti. Occorre una buona ed efficiente organizzazione della rete regionale dei prelievi. Si tratta di un aspetto fondamentale senza il quale è impensabile un centro trapianti. E una buona organizzazzione è alla base di tutto. Basti pensare al caso della Spagna che insieme all'Italia e alla Grecia, alla fine degli anni '80, era agli ultimi posti in Europa per prelievi e trapianti. Oggi, con 33 donazioni per milione di abitanti (è partita da 3 donazioni per milione di abitanti) la Spagna è al primo posto nel mondo e questo record è stato possibile proprio grazie a una riorganizzazione dei prelievi.
Dunque professore, con un'adeguata informazione, il problema dei donatori si potrebbe superare?
Credo proprio di sì e le faccio un esempio: nella Regione Sicilia, da gennaio a giugno, ci sono stati solo 5 casi di donatori multiorgano. Ma, alla fine di giugno, abbiamo organizzato un corso di formazione per tutti i rianimatori della regione e nei 30 giorni successivi ci sono stati ben 13 donatori. Ecco, questo credo sia un dato importante e tutto questo insieme alla tecnologia necessaria. Il trapianto non è un intervento ben codificato come una resezione gastrica, ma è un processo di aggiornamento continuo e di scoperte che devono essere alimentate da un'organizzazione e da una ricerca clinica e scientifica estremamente efficace.
Quali sono le più recenti novità nel campo dei trapianti d'organo?
Il miglioramento delle tecniche e dell'uso di farmaci per il controllo del rigetto e delle infezioni post-trapianto che hanno permesso di allungare la sopravvivenza dei pazienti. Negli anni '70, circa l 85 per cento dei pazienti che veniva sottoposto a un trapianto di fegato, moriva. Oggi, pazienti che vengono curati con un trapianto di fegato vivono, e per moltissimi anni. Ci sono persone, vive da oltre 28 anni, che stanno bene e conducono una buona qualità di vita. Il numero di pazienti vivi da 10 anni, oggi è grandissimo. Ma, in futuro, i trapianti non saranno più la cura principale per molte malattie. Si arriverà a una «medicina dei trapianti», meno invasiva e cruenta che potrà utilizzare anche le tecniche di ingegneria genetica.