L'Italia la salviamo noi!

Maggior coinvolgimento delle nuove generazioni: l'appartenenza a culture e Paesi diversi valorizza il loro Dna italico. Una risorsa che l'Italia dovrebbe imparare a coltivare.
11 Febbraio 2008 | di
La prospettiva della Conferenza Mondiale dei Giovani Italiani nel Mondo – compatibilmente con le vicende politiche del nostro Paese – ha polarizzato, negli ultimi mesi, l’interesse dei giovani oriundi. Questi, infatti, hanno elaborato nel corso di specifici meeting territoriali all’estero, ulteriori approfondimenti delle istanze delineate dal Documento propositivo redatto in seno al Cgie: il Consiglio generale degli italiani all’estero.
Ci pare opportuno, dunque, fare un confronto tra due prospettive dell’orizzonte italofono. All’estero cresce l’interesse per l’Italia, la sua lingua, la sua cultura, il bisogno di riappropriarsi di un’identità vissuta in modo orgoglioso e caparbio pur, magari, senza aver mai messo piede nella penisola. In Italia, invece, si vive sgomenti di fronte alle sorti di un Paese, forse mitizzato all’estero, che in realtà sta denunciando tutta la propria dimensione di sfaldamento, pessimismo e disorientamento. L’ultimo rapporto dell’Eurispes inchioda la politica, sia di centrodestra che di centrosinistra, così come la società civile, alle rispettive responsabilità: «il numero di persone a rischio povertà e di quelle già comprese tra gli indigenti, è allarmante – recita il rapporto –: si possono stimare in circa 5.100.000 i nuclei familiari, all’incirca il 23% delle famiglie italiane, e più di 15 milioni di individui. Di questi, quasi 3 milioni sono minori di 18 anni. Essere poveri oggi, significa sempre più essere giovani, con un lavoro dipendente e un titolo di studio alto, caratteristiche che pongono tali individui nella categoria dei working poors, e rappresentano una fetta della popolazione che lavora per un salario che li colloca al di sotto del livello di povertà». Un panorama desolante per i giovani italiani in patria che vedono sempre più l’emigrazione come una prospettiva necessaria per sfuggire allo stallo a cui si è autocondannata l’Italia, depressa da una classe politica inadempiente che ne tiene in ostaggio il destino; una generazione prosciugata nel portafoglio dal carovita, e defraudata della possibilità di capitalizzare i propri risparmi in un Paese, incapace esso stesso, alla base, tra i cittadini, di generare una spinta decisa e convincente verso un radicale ricambio dei propri leader. Viene naturale chiedersi: di quale Italia sono innamorati questi giovani oriundi all’estero? E come interpellano le istituzioni italiane affinché questo legame si rafforzi e, anzi, dia la stura – cosa di cui il nostro Paese si gioverebbe assai – a nuovi rapporti economici, commerciali e culturali capaci di rimotivarne le risorse interne e di stimolarne la dialettica e lo sviluppo?
Sono cinque i concetti-guida che racchiudono le ambizioni e gli interessi dei giovani oriundi: informazione, identità, interculturalità, interscambio, formazione professionale. La circolazione delle informazioni a doppio senso: dall’Italia verso l’estero e viceversa, non è soddisfacente nonostante le potenzialità amplificate da Internet: i gerghi e la facondia che accompagnano la verbosa retorica italica, mal si addicono all’efficiente pragmatismo di chi, ad esempio, è cresciuto in Paesi come Stati Uniti, Canada e Australia. Quindi occorre più sostanza e concretezza nella comunicazione multimediale e nella condivisione di idee e contenuti.
Oggi le comunità italiane all’estero sono riconosciute come parte integrante dell’Italia. Nelle variegate stratificazioni identitarie locali emerge con forza la matrice italica. Perciò la promozione della lingua e della cultura italiana (letteratura, cinema, teatro, musica, gastronomia, ecc.) resta un viatico efficace per coltivare l’appartenenza genetica degli oriundi. Un aspetto, questo, che non va disgiunto dalla valorizzazione e dalla condivisione di quei sedimenti culturali e valoriali che allignano nella personalità e nel background delle giovani generazioni all’estero.
Da tale consapevolezza procede anche la richiesta di un concreto interscambio con i giovani italiani in Italia attraverso i quali costruire quei ponti empatici capaci, nel tempo, di produrre effettive ricadute sul piano delle relazioni umane, politiche, professionali ed economiche. Non dimentichiamo che i giovani di oggi saranno la classe dirigente di domani. Una questione che può essere affrontata anche attraverso esperienze lavorative con workshop e stage all’interno del sistema produttivo italiano. La conoscenza dei propri partner significa, infatti, anche circolazione di know how e comprensione delle potenzialità reciproche. Ministeri, Università, categorie professionali e produttive, ma anche enti locali, sono dunque sollecitati a favorire queste esperienze fondamentali nella formazione di un giovane.
Saprà dare l’Italia delle risposte idonee e lungimiranti alle richieste dei giovani italofoni nel mondo, pur nel generale clima di incertezza e logoramento che pervade oggi il Belpaese? Saprà trovare l’Italia un fertile terreno di confronto, e adeguate risorse economiche da investire? È difficile formulare una risposta esaustiva. Forse l’auspicio migliore viene da uno che di creatività giovanile se ne intende, eccome. Quel Bill Gates, guru della Microsoft, convinto assertore che l’innovazione non possa che venire dagli under 25: «perché quando si diventa adulti si perde l’“incoscienza” tipica dei giovani, ovvero quel coraggio di osare che spesso porta a risultati e a successi inattesi». Forse, all’«incoscienza» di tanti giovani oriundi, glocalizzati e italofoni, l’Italia, un giorno, potrebbe ritrovarsi a dover dire: grazie!
Data di aggiornamento: 03 Luglio 2017