L'Italia non dimentichi l'«altra Italia»
Dai contatti personali e dal monitoraggio offerto dai media emergono preoccupazioni e attese da parte delle comunità e delle associazioni italiane che operano nel mondo. Un’attività svolta spesso in contesti interculturali, in quel «villaggio globale» prospettato negli anni Sessanta dal sociologo Marshall McLuhan. È uno scenario senza frontiere, caratterizzato dal fenomeno della globalizzazione, che obbliga gli italiani all’estero e i loro discendenti, a liberarsi – nel rapporto con i gruppi di origine diversa – dagli etnocentrismi legati alle gloriose memorie del passato. Oggi è necessario rivolgere l’attenzione alle prospettive del futuro, in un millennio pieno di incognite e di sfide.
La sensazione è che, da parte del governo e delle istituzioni diplomatiche italiane, ci sia un crescente disinteresse per l’«altra Italia». Vanno sottolineate, invece, le iniziative di alcune Regioni italiane, che stanno operando con efficacia e contro corrente, in un momento in cui si progetta di chiudere alcuni consolati e di tagliare i contributi che sostengono la scuola e la cultura italiana nel mondo. Tutto questo significa la fine, a livello relazionale e culturale, di quanto in questi ultimi decenni si era programmato – e in parte realizzato – per dare un futuro all’italianità nel mondo. La posta in gioco è davvero alta per tante istituzioni e per il destino di quanti possiedono ruoli e impegni di gestione e rappresentanza.
In assenza di un progetto governativo che assicuri un mutamento dell’attuale tendenza negativa, la situazione si fa sempre più complessa, presentandosi in forme contraddittorie. Manca, infatti, un indirizzo chiaro, che esprima quanto il parlamento e il governo italiano intendono attuare per riattivare i rapporti con i loro enti e le loro Istituzioni operanti nel mondo. Nello stesso tempo, è sempre più condivisa la convinzione che non basti la motivazione dell’attuale crisi economica, che ha già delle scadenze, per bloccare un processo culturale e un patrimonio di iniziative che hanno come finalità il presente e il futuro dell’italianità all’estero.
Ci riferiamo alla presenza di cittadini italiani e di milioni di oriundi loro discendenti, divenuti, grazie al loro impegno e alle loro iniziative, una finestra italiana aperta sul mondo. È per loro che si attende un progetto politico, in grado di assicurare risorse e porre nuovi obiettivi al ruolo delle sedi consolari, degli istituti di cultura e di altre realtà come i patronati, le associazioni e gli organi di informazione. Realtà che possono concorrere al recupero del senso di «cittadinanza attiva» dei nostri connazionali e del senso di appartenenza affettiva e culturale degli oriundi e di tanti italofili. Un progetto politico che darebbe credibilità alle Istituzioni governative e parlamentari italiane e una risposta alle attese dei nostri connazionali e dei loro discendenti. In tal modo, essi potranno continuare a essere l’emblema di un’italianità internazionale, ponti tra generazioni, mediatori di rapporti culturali e imprenditoriali tra le due Italie.
Perseguono questo obiettivo le permanenze e le visite degli oriundi italiani nella terra dei loro padri, al fine di acquisire conoscenze a beneficio della loro professionalità e instaurare nuovi rapporti. Occasioni propizie, queste, per le Regioni e le Istituzioni italiane, non solo al fine di arricchire i loro database, ma per mettere in atto nuove iniziative. È mediante queste occasioni che si possono promuovere dei contatti in grado di favorire forme di partecipazione senza scopi assistenziali, modelli di solidarietà e opportunità di business, a reciproco vantaggio e in uno spirito di sussidiarietà. I comunicati che ci pervengono, via internet, dall’Australia come dall’Argentina, dal Brasile come dal Canada, testimoniano questa tendenza. Nello stesso tempo, però, pongono al governo un’istanza, che non può essere disattesa. E che stimola il mondo associazionistico, così come i media aderenti alla Fusie, a sentirsi sempre più coinvolti.