L'italianità è una conquista
Roma
Bettero. Lei sostiene che occorre rifondare la comunità degli italiani all’estero. Quale segno vuole lasciare questo governo?
Mantica. È finita un’epoca che considero anche eroica di costruzione della comunità, delle sue organizzazioni, del riconoscimento delle sue associazioni, dei sistemi di rappresentanza; ed è finita con l’elezione di 18 parlamentari della Circoscrizione estero nel 2008. Ho indicato questa data, diversamente da quella del 2006, che corrispondeva alla prima elezione dei Parlamentari all’estero, perché nella contrapposizione tra maggioranza e opposizione, gli italiani all’estero si trovarono, nel 2006, ad avere un ruolo un po’ particolare. Oggi c’è un clima politico diverso, c’è la possibilità di lavorare per cinque anni. Ma abbiamo anche il dovere di immaginare che cosa sarà questa comunità italiana tra vent’anni, e quindi di pensare a cosa fare per mantenere vivo il senso d’appartenenza di cittadini italiani di seconda e terza generazione che, più che cittadini italiani, sono cittadini d’origine italiana.
Cosa si aspetta dalla prossima Conferenza mondiale dei giovani italiani all’estero, in programma a dicembre?
Innanzitutto chiederemo provocatoriamente a questi giovani che cosa significhi essere italiani nel mondo nel 2020-2025. Io mi aspetto risposte fuori dalle consuetudini, dalle logiche dei patronati e dei sindacati, per capire davvero cosa siano l’identità nazionale e quella culturale; cosa voglia dire essere una comunità nazionale. Ci sono molti cittadini che hanno il passaporto italiano, e che sono, a tutti gli effetti, cittadini italiani, ma che non conoscono nemmeno la nostra lingua.
Lei insiste per investire sui giovani, ma questo porterebbe a compromettere il rapporto con le associazioni. Investendo solo sulle associazioni, del resto, si rischierebbe di ignorare il cambiamento nel mondo giovanile. Cosa sceglie?
Nell’opzione che lei mi ha posto, io punto sicuramente sui giovani a costo di mettere in discussione un sistema basato su un principio che è l’assistenzialismo nei confronti dell’Italia che, secondo me, non ha futuro.
I fondi a disposizione, quali priorità avranno? Si parla di ulteriori tagli ai consolati.
La questione della rete consolare è stata affrontata con il presidente del Comitato degli italiani all’estero alla Camera, l’onorevole Zacchera, e con il senatore Micheloni che fa parte dell’opposizione. I servizi consolari che rende l’Italia nel mondo sono unici. Se vogliamo continuare con i «municipi italiani nel mondo» parliamone, e allora dimensioneremo una rete consolare. Se vogliamo immaginare i consolati come quelli britannici o francesi, forse dovremmo affrontare una ristrutturazione diversa. Se un consolato deve gestire 48 mila persone come in Argentina, evidentemente è una cosa diversa da un consolato oppure è un consolato di tipo particolare. La rete consolare è nata e si è sviluppata sull’onda dei flussi migratori degli italiani all’estero. Oggi credo sia importante domandarsi se quel tipo di rete risponda alle esigenze o se, in futuro, occorra pensare a cose diverse. E, poi, in un mondo nel quale si opera con carte di credito, internet, ecc. mi domando se per rinnovare un documento amministrativo ci sia bisogno di un console, di un impiegato, di una sede oppure, più semplicemente, di uno sportello. Parliamo pure di «consolato digitale»: c’è un esperimento in corso a Dublino. Vediamo come funziona. Lo dovremo trasferire a Chambéry per verificare come funziona in una piccola realtà. Certo che se non si vuole cambiare nulla, avremo di fronte un futuro molto difficile.
Lei vuole investire nel mondo dell’impresa italiana all’estero per sviluppare relazioni con la realtà economica in patria. In che modo?
Questo è un vecchio sogno dell’onorevole Tremaglia che io vorrei riprendere in maniera più pragmatica. L’onorevole Tremaglia pensava che, in qualche modo, la comunità degli imprenditori italiani all’estero avrebbe potuto aiutare l’Italia a ritrovare i fondi per gli investimenti, per le infrastrutture, per l’ammodernamento del Paese. Io non credo che questo sia l’obbiettivo di una confederazione degli imprenditori italiani nel mondo. Occorre mettere insieme più sinergie con una comune identità culturale e linguistica per affermare un’internazionalizzazione delle imprese italiane e, quindi, per creare una rete che favorisca lo sviluppo economico dell’Italia. E noi opereremo in questo senso. Se facciamo un elenco di persone d’origine italiana, bisogna poi vedere se queste se la sentono ancora di partecipare allo sviluppo della madre patria o se, invece, pensano che ormai i loro interessi siano in Brasile, in Argentina, in Cina o altrove.
Lei è stato di recente in Sud America. Tra Brasile, Argentina e Uruguay ci sono un milione di pratiche per il riconoscimento della cittadinanza italiana. Come vede queste richieste: come una «minaccia» o come un’opportunità?
Abbiamo istituito un’organizzazione di quasi 150 persone che rafforzerà le strutture consolari soprattutto in Argentina, Brasile e Uruguay per rispondere in termini ragionevoli, cioè due o tre anni, alle domande giacenti. Questa è la legge, e quindi c’è un obbligo e un dovere di rispettarla. Ma vorrei capire se tutti questi passaporti e queste cittadinanze non servono, invece, per andare in Spagna o altrove. Mi domando fino a che punto questo sforzo, questo riconoscimento della cittadinanza deve essere perseguito, e fino a quando. Perché anche questo significa che c’è un mutamento profondo nel senso dell’appartenenza a una comunità nazionale.
L’assistenza sanitaria in Sud America è vitale per molte persone nonostante le ristrettezze delle finanze italiane. Eppure c’è più di qualche malumore.
Forse è giusto far sapere che in Argentina esistono 48 mila pensionati dell’Inps, e che l’Italia paga 267 milioni di euro agli argentini. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, abbiamo cambiato il sistema a partire dal 1° gennaio 2008. Non dico che sia perfetto, però stiamo parlando di Swiss Medical che è la più grande struttura di assistenza sanitaria in Argentina. Sono convinto che nei tempi giusti, tra qualche mese, arriveremo a pieno regime, e quindi offriremo ai nostri cittadini italiani, soprattutto in Argentina, un servizio di assistenza sanitaria qualitativamente paragonabile a quello precedente. Che poi si chiami Swiss Medical oppure nuovo Ospedale italiano, vorrei sapere che differenza fa per chi ha bisogno dell’insulina o di altre cure.
Da più parti si sollecita la riforma del Cgie e dei Comites. Li cambierebbe, li trasformerebbe?
Non è un problema mio, ma del Parlamento italiano.
Sì, ma politicamente come valuta la questione?
Ripeto: il Parlamento, in questo, è sovrano. Tuttavia mi sembra di poter dire che i vari livelli di rappresentanza devono essere riequilibrati tra di loro. In altri termini vorrei sapere dai parlamentari italiani eletti all’estero, quale ruolo intendono assumere e come intendono svolgere la loro attività. Faccio un esempio concreto: c’è stata una discussione sull’Ici per gli italiani residenti all’estero e iscritti all’Aire, ma che hanno casa in Italia. Il Governo italiano non ha riconosciuto in prima battuta l’abolizione dell’Ici per queste realtà. Non è un problema del Ministero degli Esteri ma del Ministero delle Finanze. Allora se i parlamentari italiani decidono di frequentare – come io credo doveroso – la Commissione Finanze, lì trovano tutte le risposte. E allora il sistema di rappresentanza dei parlamentari diventa completo a tutti gli effetti. Mi domando quale rapporto e quale potere abbia il Cgie sulla stessa materia. L’unica cosa che può dire il Governo è che non possono esistere due sistemi di rappresentanza diversi e conflittuali fra di loro.
Come si muoverà sul fronte della promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo?
Abbiamo chiesto e ottenuto che le deleghe per gli italiani nel mondo e per la cultura fossero affidate alla stessa persona. Cioè a me. Quindi coordinarle entrambe mi pare già una cosa fondamentale. Una volta che capiamo dove si disperdono i contributi pubblici, possiamo cominciare a stabilire il ruolo delle scuole italiane nel mondo, il ruolo delle scuole parificate e degli enti gestori, partendo dall’ipotesi che la lingua italiana si insegna a chi non sa la lingua italiana, e non ai figli degli italiani che parlano l’italiano.
Per lei che cosa significa «italianità nel mondo», oggi?
Significa amare il nostro Paese. Significa amarne la cultura, la lingua, i valori, la Costituzione. Questo mi pare il motivo per cui vale la pena di stare assieme e di essere orgogliosi di appartenere a questa comunità esaltandone, in tutti gli aspetti – anche da parte del Governo italiano – le sue specificità. Altrimenti, se è solo un atto amministrativo, è difficile poterne discutere.