L’italianità non si svende
Basilea
Sono in tanti a sostenere che la voglia di italiano nel mondo e il desiderio di riscoprire le proprie radici culturali stanno aumentando. Non risultano chiare, però, le motivazioni che animano soprattutto i giovani in questa ricerca, anche perché alcuni sono succubi di smodate operazioni commerciali.
Che cosa vuol dire tutelare e diffondere la cultura italiana all'estero? Quali sono gli investimenti da privilegiare? Sono domande di fondo, che si abbinano al significato che si vuol dare al concetto di italianità , un termine ricorrente nei documenti del Consiglio generale degli italiani all'estero, Cgie, da interfacciare con «sicilianità », «friulanità » o «toscanità », neologismi che abbondano nelle riviste regionali di emigrazione. Si tratta di un dibattito che necessita di chiarimenti per non continuare ad invocare i soliti interventi assistenziali e per porre un freno alla proliferazione di iniziative spesso slegate tra loro.
Sono soprattutto le nuove generazioni in emigrazione a chiedere cultura. Esse sembrano aver superato la fase dell'ambivalenza che portava spesso a considerare il mantenimento o l'apprendimento della lingua di origine, come un ostacolo alla piena integrazione nella comunità ospitante e pertanto fonte perenne di conflitto tra genitori, figli e società di appartenenza. L'accento era posto sulle difficoltà che i ragazzi dovevano affrontare in quanto costretti a scegliere tra la cultura del cuore e la lingua del quotidiano.
Bisogna ammettere che la politica culturale perseguita dall'Italia ha ottenuto di recente qualche effetto positivo se la voglia di italiano e la scoperta o il recupero delle matrici culturali sono oggi avvertiti come un potenziale arricchimento della personalità . Le nuove generazioni, che operano in un contesto sempre più multiculturale, si rendono conto delle ampie possibilità che un'identità specifica offre loro. «Hanno una marcia in più», ribadisce qualcuno. Si tratta di giovani capaci di muoversi con singolare destrezza tra due culture e due lingue, senza alcun complesso di inferiorità , anzi fieri di gestire una duplice anima che li rende più fortunati dei loro coetanei.
La cultura della pizza
Venire incontro alle esigenze di queste nuove generazioni allarga notevolmente l'ambito degli interventi in campo culturale e le risposte risultano molto diversificate. Per qualche Istituto Italiano di Cultura si tratta di perseguire una strategia di vetrina, con meri «eventi di rappresentanza», come li definisce Gioacchino Lanza Tomasi, che non sempre coinvolgono la comunità italiana. C'è chi preferisce lo sfruttamento mercantile della cultura nei suoi aspetti meramente folklorici. Il logo dell'agenzia per la promozione del cinema italiano all'estero è composto da una «pizza» cinematografica da cui spunta una pizza margherita. La valorizzazione del prodotto cinematografico italiano è dunque affidata al classico stereotipo della pizza napoletana. Del resto una recente indagine condotta sui soci della Società Dante Alighieri mette in luce come gli italiani all'estero percepiscano la «cultura italiana» attraverso gli occhi dei media locali per i quali pizza, mafia e spaghetti sono elementi essenziali. Qualcuno potrebbe concludere che dopo un secolo di investimenti non siamo ancora riusciti a far percepire gli aspetti più originali dell'Italia e della sua cultura.
Il desiderio di individuare vie innovative in ambito culturale a servizio di comunità molto diversificate e molto più esigenti che in passato, ha fatto da sfondo al prezioso confronto intercorso durante le due giornate di studio organizzate recentemente a Zurigo dalla IV Commissione del Cgie sul tema: «Vivere in pienezza la matrice culturale italiana in una società multiculturale».
Il presupposto è quello di non considerare le comunità italiane all'estero come mero fattore di crescita economica o come incidente di percorso cui offrire briciole di assistenza o come mercato da inondare con il made in Italy. Questo porterebbe alla scomparsa o alla invisibilità totale della diaspora italiana nel mondo. La validità di una politica scolastico-culturale si misura non tanto se al centro degli interessi si colloca la difesa di una particolare identità , quanto piuttosto se si privilegia un sistema dove si apprende a vivere una cultura come relazione per cui tutti, immigrati e autoctoni, si mettono in discussione.
A Zurigo il dibattito non si è svolto in parallelo o a compartimenti stagni, ma attraverso un incessante confronto e interscambio tra operatori sul campo, vertici istituzionali, regioni, enti e associazioni assieme agli esperti provenienti dal mondo accademico. Le risposte ad alcuni quesiti di fondo porteranno alla formulazione di proposte concrete per il «rinnovo» delle leggi 153 e 401, da sottoporre alla valutazione dell'Assemblea generale.
Tempo di transizione
Non si possono sottovalutare le molteplici difficoltà per un'azione concertata e innovativa in campo culturale. Da un lato è scoraggiante constatare lo scarso coraggio di un Parlamento che nel momento di approvare il bilancio dello Stato non sembra aver intuito che la credibilità di una nazione si gioca soprattutto sugli investimenti culturali e che non si può lasciare un settore vitale alla straordinaria ma pur sempre limitata buona volontà di pochi appassionati. I giovani oriundi italiani non possono non confrontare le strategie culturali messe in atto da nazioni come la Spagna, con le sue 5000 borse di studio annuali, la Francia, la Germania e il Regno Unito con gli investimenti italiani.
D'altro canto occorre indicare strategie lungimiranti in una fase di transizione che vede il passaggio dalle recriminazioni alla ricerca di proposte e dalla concezione di comunità come luogo di assistenza al suo coinvolgimento in quanto protagonista. Si sta lentamente superando il bipolarismo tra «chi lotta sul campo» e il mondo dell'accademia. Si intravede il passaggio da una lingua da salvaguardare alla concezione di una lingua e di una cultura come strumenti di dialogo e di interrelazione. Si ipotizzano interventi sempre meno settoriali per privilegiare una strategia globale che contagi scuole e università , corsi extra scolastici, formazione professionale, TV e stampa, centri di memoria e centri di studio, centri di cultura italiana operanti all'estero. Il termine ultimo sarà la cessazione delle politiche a corto respiro e l'accettazione della «cultura della promozione culturale italiana all'estero» (Gianni Puglisi).
Rimane valido il principio enucleato durante il Convegno del 1996 svoltosi a Montecatini che ribadisce come una vera strategia culturale deve essere globale e non un gesto isolato di singole nazioni. La lingua e la cultura sono un mezzo essenziale per avvicinare le nazioni, e gli emigrati sono i primi e i più autentici portatori di pluriculturalità .
I luoghi della memoria
Accanto alla scoperta del volto reale delle nuove generazioni e al ruolo che devono giocare, non si devono dimenticare le varie categorie che compongono una comunità . Occorre pertanto una mappatura dell'esistente nel campo delle offerte e delle opzioni, che individui le differenziazioni nei Sistemi-Paese e che fornisca risposte esaurienti alla domanda di formazione permanente, la nuova frontiera della politica culturale.
Si prospetta un ventaglio di domande e di offerte tale da esigere una notevole dose di duttilità e creatività . Per cogliere in tutta la loro valenza le giuste richieste culturali di una comunità occorre sapere chi siamo come persone e come gruppo. A sua volta questo dipende dal sapere come eravamo. La memoria è un elemento vitale della esistenza di una comunità per cui è necessario recuperare la storia delle comunità , salvaguardarne il patrimonio, creare appositi luoghi della memoria.
Ma l'impegno a ricordare non deve significare non trovare tempo per fare qualche cosa degno di essere ricordato, come scrive John Gillis. Il passato non deve colonizzare il presente. Sono mutate drasticamente le situazioni e occorrono soluzioni culturalmente innovative. Stanno spuntando gli uomini e le donne del futuro, il frutto più genuino di un cammino durato oltre cent'anni. Le offerte culturali devono rinsaldare le vie di riferimento di questi precursori della società del futuro che tutti dovremo affrontare nei prossimi decenni e in cui le differenze culturali vissute in tutta la loro pienezza sono fonte di arricchimento reciproco e non motivo di conflitti e di contrapposizioni. Le scelte culturali italiane si mettono così al servizio dell'intera umanità .
La testimonianza di un giovane oriundo
«Non rinnego la mia cultura e le mie origini, solo che non provo nostalgia per posti in cui vivo per qualche settimana all'anno».
Con questo contributo di Antonio Baranelli, il webgiornale del sito Internet www.webgiornale.de il notiziario edito quotidianamente per la comunità italiana in Germania, ha dato avvio al «Forum Giovani», una piazza virtuale dove le giovani generazioni sono invitate a un libero scambio di idee sui temi che li riguardano. Dal Forum riprendiamo l'intervento di Antonio Baranelli, figlio del presidente del Circolo Famiglie Italiane di Gross Gerau, Giovanni.
Tempo fa, Tobia Bassanelli mi chiese di far partire un'iniziativa, cioè aprire una specie di Forum per esprimere le nostre opinioni, oppure per lanciare spunti di discussione. Così adesso provo a fare il primo passo, augurandomi che questa iniziativa prenda piede.
Mi chiamo Antonio Baranelli, abito a Gross-Gerau, ho 19 anni e studio Giurisprudenza all'Università di Mainz. Il 23 dicembre scorso, sfogliando il webgiornale, mi sono incuriosito vedendo il titolo «Sono in Germania da tre anni», cioè il testo di Cristina Pogetti. Ho letto con molta attenzione, come una ragazza, che essendo qui da poco, anche con alcune difficoltà iniziali, sia riuscita ad ambientarsi bene, nonostante qualche nostalgia «patria»; cosa che io non ho mai avuto al cento per cento perché, essendo nato e vissuto qui da sempre, non ho certamente quel legame sentimentale con i miei paesi d'origine. Ad essere sinceri c'è poca identificazione con quei paesi dell'entroterra molisano e campano. Se non fosse per i miei parenti, non so se ci tornerei ogni anno, come faccio adesso.
Per intenderci, non rinnego la mia cultura di italiano, e le mie origini, solo che non provo nostalgia per posti in cui vivo per qualche settimana all'anno. Sono sempre un italiano, e mi sento tale, se no non avrei continuato il corso di lingua-madre fino alla tredicesima classe, e non avrei nemmeno partecipato a trasmissioni e manifestazioni in favore di questa. Anche perché, in un contesto di unificazione europea, sono convinto che conoscere la propria lingua e cultura d'origine, sia utile per costruire un'unità basata sul rispetto reciproco e sulla tolleranza, e non solo sull'economia.
Ritornando al testo di Cristina e alla mia esperienza, quando vado in Italia sono sempre l'«Antonio» ma anche il «Tedesco». I ragazzi con cui da piccolo giocavo, e che allora chiamavo amici, oggi sono solo dei conoscenti, proprio come dice Cristina. Anzi sono anche contento se mi riconoscono e mi salutano. Che, scusate tanto, non è poco. Non voglio fare un processo alle intenzioni, perché vivono una loro realtà e io una mia; non spetta a me giudicare, e non mi aspetto che mi accolgano a braccia aperte.
Sarei contento di sentire e leggere le vostre esperienze e come la pensate riguardo ai corsi di lingua e cultura italiana.
Antonio
Argentina che rapporto hanno con la loro terra d'origine ?
Pallaro. Il ministro degli Interni argentino, quando parla di noi dice: «Voi non siete una comunità , ma un Paese». Siamo, infatti, più del cinquanta per cento della popolazione argentina. Seguiamo quotidianamente, attraverso la stampa e la Tv, tutto ciò che succede in Italia, mentre i nostri connazionali residenti nella madre patria, senza un messaggio di ritorno, conoscono poco la realtà argentina e sono fermi allo stereotipo della valigia di cartone. I nostri emigrati, giunti dal 1880 in poi, hanno creato delle situazioni straordinarie, in modo speciale nel mondo associativo: si sono inseriti nella società argentina, hanno concesso che i loro figli frequentassero le scuole e le università , non perdendo mai i contatti con l'Italia. Quando siamo arrivati noi, negli anni Cinquanta, abbiamo cercato di allacciarci con la vecchia emigrazione, stabilire un rapporto con le loro associazioni. Oggi sono 1.066, sparse in tutta l'Argentina e con la sede nelle piazze principali del Paese.
Nel mondo si rincontra un crisi del vecchio associazionismo. È un fenomeno che coinvolge anche le associazioni in Argentina?
I giovani partecipano alla vita associativa?
Identità significa anche conoscenza della lingua e della cultura della terra d'origine. C'è interesse e diffusione per la lingua e la cultura italiana?
Il modello Europa, in che modo può essere utile per lo sviluppo del Mercosul? I giovani italo-argentini che vengono in Italia a frequentare dei master, quali prospettive hanno nel mondo imprenditoriale argentino?
I temi del voto politico in loco e della doppia cittadinanza sono discussi e sentiti dalla comunità italiana?
Vede con speranza il futuro dell'Argentina?
Fino a pochi anni fa, in Argentina la velocità era interpretata dal passo del cavallo, però la velocità è cambiata radicalmente sia in questo Paese come in tutto il mondo. Capire questo è fondamentale per ogni calcolo che si voglia fare nei Paesi emergenti. Interpretare bene il fenomeno della velocità è alla base del futuro dell'Argentina. Se facciamo un confronto tra giovani laureati con appena 5 anni di differenza l'uno dall'altro, ci rendiamo conto del ritardo esistente tra loro. La speranza del futuro dell'Argentina è che, sul piano culturale, governi e strutture sociali seguano con serietà quei programmi educativi che, sfortunatamente da molti anni, in questo Paese, sono stati posticipati creando incertezze.