Lo splendore di un «teatro sacro»

Le spoglie del Santo tornano a «casa», la stessa di prima, ma dove, di fatto, niente è più come prima. Grazie a un restauro che ha restituito al complesso rinascimentale i colori originali e la magia delle luci.
26 Gennaio 2010 | di

Il restauro di questo capolavoro del Cinquecento, conclusosi nel dicembre scorso, ha restituito ai devoti, alla città e al mondo lo splendido e compatto complesso definito il «cuore devozionale» della Basilica. La Cappella è infatti il «cuore della Basilica che è, a sua volta, il cuore di Padova». Un intervento durato quasi due anni ha rimesso a nuovo un preziosissimo luogo dove arte e fede si fondono.

Ne parliamo con il professor Leopoldo Saracini, membro della Presidenza della Veneranda Arca di sant’Antonio che da secoli si occupa della conservazione e del restauro del patrimonio artistico del complesso basilicale.

Msa. Professor Saracini, il corpo del Santo torna nella sua sede originaria dopo essere stato trasferito temporaneamente nella Cappella di San Giacomo. Qual è la situazione dell’Arca oggi, a restauro ultimato?

Saracini. Le spoglie fanno rientro nella casa di sempre nella quale, però, a seguito di un lavoro attento e sapiente, sono cambiate molte cose.Sono stati eliminati inutili orpelli, è stata rimossa la giallastra patina del tempo e il nero fumo di miliardi di candele votive e degli incensi. In fondo, sembra quasi un’altra. Grazie al lavoro di molti, questa che possiamo vedere oggi è la stessa splendida Arca voluta dagli artisti rinascimentali, così come la realizzarono.

Un sottile gioco di luci sembra far brillare di nuovo bagliore l’intero complesso che, nel Rinascimento, vide impegnati, per oltre cento anni, i più grandi scultori e architetti dell’epoca.

Il nuovo impianto di illuminazione è forse una delle novità più straordinarie di questo restauro.

Dietro al progetto, uno studio innovativo e attento curato dal Dipartimento di Illuminotecnica dell’Università di Padova. Per illuminare altorilievi, soffitto e qualsiasi altro dettaglio, sono state posizionate luci quasi avveniristiche come i led, di fatto tra le più affascinanti luci del futuro. Esse hanno la grande fortuna di poter essere plasmate e dosate in mille modi per colore e intensità. Sono luci del tutto differenti rispetto a quelle preesistenti, di colore rosso. Quella emanata dal led è una luce bianca come quella solare, l’unica che possa dare il giusto risalto a una scena «teatrale» perché non ne mescola i colori, ma caso mai li esalta nella loro essenzialità. È solo il colore bianco a riflettere al cento per cento tutto ciò che riceve.

La progettazione dell’Arca fu un evento. Perché?

Il motivo principale è che a questo grande complesso lavorarono artisti come Tullio e Antonio Lombardo, Tiziano Aspetti, Sansovino, Falconetto, Campagna, solo per citarne alcuni, e ancora il celebre orafo veneziano Balbi e gli scultori Filippo Parodi e Orazio Marinali. L’intento era quello di restituire alla figura umana la sua centralità nello spazio. E, di conseguenza, anche il rapporto diretto e intimo dell’uomo con l’elemento religioso. Un dialogo che si crea, immutato, anche oggi, a distanza di secoli. L’insieme ha la scenografia di un raffinato ed elegante spettacolo di arte sacra e la forza di un’apparizione miracolosa.

Una centralità messa in risalto dagli altorilievi e, soprattutto, dai contrasti cromatici che derivano dai materiali utilizzati.

Non è un caso che sia stato usato, in prevalenza, il marmo. Esso è un materiale durevole, resistente all’usura del tempo. La particolare collocazione della Cappella, nel quadrante settentrionale, l’aveva maggiormente esposta ai dilavamenti meteorici e alle infiltrazioni di umidità. Fattori che causarono un rapido degrado della prima versione della cappella tardo-gotica, deterioratasi dopo nemmeno un secolo dalla realizzazione dei suoi affreschi. La scelta di costruire il ricco apparato plastico del sacello utilizzando marmi e bronzi rispose, oltre che ai canoni estetici del Rinascimento, anche all’esigenza di usare materiali meno esposti agli effetti delle condense interne, per affidare al tempo un’opera che non potesse andare perduta.

Tra le tante curiosità, l’uso di svariati tipi di marmo.

Ne sono stati utilizzati ben quarantadue. Tutti, però, si richiamano a due colori predominanti: il bianco e il nero. L’unica variante intermedia sono le tonalità di grigio. Non è un caso che bianco e grigio facciano così da sfondo alle tinte scure delle figure. Proprio come in una perfetta scena tea­trale. Il restauro ha riportato nella Cappella dell’Arca gli originali colori di sant’Antonio: il bianco liturgico e il grigio del saio dei frati, mentre l’oro del soffitto di Gian Maria Falconetto rappresenta la dimensione dell’eterno. Il marmo che riveste la «mensa» (la lastra, che chiude l’Arca, dove il pellegrino poggia la mano) è tra i più preziosi al mondo: marmo africano verde antico. E ancora gli altorilievi (raffiguranti, a partire da sinistra, la vestizione di sant’Antonio e poi i miracoli da lui operati) sono in marmo apuano giunto a Padova dalle stesse cave dove si riforniva Michelangelo.

Cosa accadrà dopo il rientro del Santo nella «sua» casa?

Sant’Antonio è per antonomasia il santo delle sfide, errante, sempre in viaggio. Non è detto che questo, dunque, sia l’ultimo. Dopo l’ostensione e il rientro delle spoglie nell’Arca, vorremmo procedere quanto prima ai lavori nell’adiacente Cappella della Madonna Mora. La Basilica richiede una cura costante, perché è patrimonio del mondo, e dunque di ciascuno.


 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017