Lourdes tra miracoli e misteri

«Lourdes», diretto dalla regista austriaca Jessica Hausner e interpretato dall’attrice francese Sylvie Testud, è un successo per la critica internazionale.
24 Febbraio 2010 | di

In una grande sala da pranzo le cameriere preparano i tavoli. Si odono le note dell’Ave Maria. Un uomo in carrozzella entra in scena, poi un altro e un altro ancora. Tutti sospinti da suore e infermiere.
Inizia così Lourdes, diretto dalla regista austriaca Jessica Hausner (38 anni) e interpretato dalla brava attrice francese Sylvie Testud (39), presentato alla Mostra di Venezia, dove ha vinto anche il premio della critica internazionale. La vicenda, tutta imperniata su un pellegrinaggio, si incentra sul personaggio di una giovane donna, Christine, che ha trascorso gran parte della sua esistenza relegata su una sedia a rotelle. Un po’ per uscire dall’isolamento in cui è costretta, un po’ per spezzare la monotonia della sua vita, Christine decide di aggregarsi a un gruppo di pellegrini. Maria, una ragazza volontaria dell’Ordine di Malta, si prende cura di lei, la nutre, la lava, l’aiuta a coricarsi, l’accompagna alle funzioni religiose. Christine vede in Maria un riflesso del suo passato di donna «normale» e questo le infonde una certa speranza oltre a regalarle il piacere di un po’ di compagnia. Ma la ragazza preferisce frequentare i colleghi, i volontari suoi coetanei e, talvolta, cerca di sottrarsi alla penosa presenza dei malati, tutti afflitti da mali ritenuti incurabili dalla medicina. Un giorno, improvvisamente, Christine si alza dalla carrozzella e cammina.
Una guarigione miracolosa, ma inquietante e gravida di domande, soprattutto per gli altri malati che non riescono a nascondere sentimenti di invidia e gelosia: perché una persona guarisce e un’altra no? Perché è guarita proprio Christine, che di tutti i malati sembra la più indifferente, quella nutrita di minor fede? E poi, quella guarigione miracolosa sarà definitiva?

Il film è realizzato con una tecnica particolare, come se si trattasse di uno dei tanti filmini-ricordo che, durante i pellegrinaggi, sono girati dai fedeli con minuscole telecamere. Caratterizzato dunque da immagini essenziali, senza alcuna ricerca di preziosismi stilistici, con una fotografia ruvida e opaca, priva del supporto di luci artificiali, Lourdes è un film che indaga fra le quinte di un pellegrinaggio con quel metodo di lavoro che Cesare Zavattini chiamava «pedinamento della realtà», fissando atteggiamenti e situazioni intensamente vissuti. Ne deriva un misto di documentario, reportage, inchiesta antropologica, indagine critica e religiosa nello stesso tempo.

La bellezza e l’originalità dell’opera stanno, appunto, nel fatto che in essa convivono fede e laicità, spirito religioso e posizioni agnostiche, stupore e incredulità, misticismo e indifferenza. Tanto è vero che il film ha ricevuto premi di opposte tendenze come il Signis dell’Organizzazione cattolica internazionale del cinema e il Brian dell’Unione atei e agnostici razionalisti.

Viene da chiedersi come sia stata possibile una simile convergenza. La ragione sta nel fatto che Lourdes è un film intessuto di tante piccole sfumature, dove anche il minimo gesto non è affatto casuale, e proprio questo ha fatto sì che ad apprezzarlo fossero persone di opposte tendenze. La sua struttura a scatole cinesi non fa che riservare sorprese, prospettando, ogni volta che si gira pagina, nuove e impreviste situazioni sempre alimentate dal dubbio (ma non dimentichiamo che il dubbio, secondo sant’Agostino, è il bastone che l’uomo usa sul cammino della fede). Il film, asciutto, rigoroso, senza fronzoli nella forma, è invece quanto mai intricato e problematico nei contenuti e sottopone lo spettatore a una serie di domande di non facile soluzione. I quesiti che sorgono sono tanti: la guarigione di Christine è stata un miracolo? O si è trattato di un’illusione momentanea dovuta a chissà quale reazione e suggestione emotiva da parte della giovane donna? E se fosse stato tutto un sogno? Oppure soltanto un monito celeste per insegnare che la felicità è da cercarsi altrove: non nella salute del corpo, ma nella pienezza della vita e nella salvezza dell’anima? E chi è la vecchia signora, perennemente silenziosa, che puntualmente compare quando Maria, la giovane infermiera distratta dalla presenza degli altri volontari e dai loro inviti, si dimentica di Christine e l’abbandona per qualche momento? Questa donna misteriosa è un angelo? O è l’immagine di una nuova identità e l’evocazione di una rinnovata coscienza del proprio essere?

Le risposte possono essere tante, tutte valide, e ognuno può dare la sua.

Lourdes è uscito a fine febbraio in 140 sale della comunità (i cinema dell’Acec, Associazione italiana esercenti cinema, più noti come sale parrocchiali) con anteprime a Milano, Torino, Bologna, Padova e altre città italiane e proiezioni mirate sponsorizzate dall’Unitalsi (l’Unione nazionale per il trasporto degli ammalati a Lourdes e in altri santuari) e dall’Opera Romana Pellegrinaggi.

Lourdes è un cinéma-verité dell’anima: Jessica Hausner ha ottenuto dalle autorità del santuario il permesso di girare sui luoghi solitamente vietati a telecamere e cineprese e ha potuto catturare con l’obiettivo tutti i momenti topici di un pellegrinaggio, gli scenari e i rituali, trasformandoli nella rappresentazione di una commedia umana in cui si fondono attese e speranze, delusioni e sconforti. Sentimenti che confluiscono nell’interrogativo finale del film: quale senso attribuire alla nostra vita in conseguenza delle nostre azioni?


La tv e i bambini. Anatroccoli e Holly Hobbie

Su «Io donna» una mamma furiosa critica pesantemente l’ampio servizio dedicato al Mondo di Patty, accusando la serie tv di essere «socialmente pericolosa». La giornalista minimizza dicendo che lei in gioventù divorava «novelas», e ciò non le ha causato «troppi danni». Dell’anatroccola Patty, bruttina ma tanto buona, abbiamo già parlato con il dovuto distacco, prima che diventasse il fenomeno che oggi è. Va detto che non serve condannare il contagio di massa quando dilaga tra i bambini, perché negandolo si rischia di impreziosire l’oggetto del desiderio; è più interessante – e divertente – cercare di smontare questi casi dall’interno con i loro destinatari ideali, che in genere reagiscono molto bene al gioco e dimostrano di sapersi difendere dalla banalità del coro. Altro antidoto che possiamo adottare è cercare delle alternative. È in edicola, per esempio, ogni settimana, la vecchia serie La casa nella prateria: due episodi per dvd delle amabili storie di frontiera di Laura Ingalls, della sua famiglia, delle sorelline vestite come Holly Hobbie. È una serie tv anni Settanta e lo si sente nella lentezza calligrafica di sequenze e dialoghi; ma alle bambine di oggi sa piacere ancora, come piace la cara vecchia Pippi e tutto ciò che ha un senso e un valore al di là delle mode luccicanti e fatue.

Beatrice Masini

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017