Luca Mercalli. Il fascino del tempo

«Felicità non vuol dire soddisfare ogni genere di desiderio, ma quei bisogni fondamentali che rendono la vita bella. Ed essa dipende dalla nostra capacità di relazione, dai valori della convivialità, della cultura». Parola del climatologo Mercalli.
26 Ottobre 2011 | di

 È diventato famoso al grande pubblico televisivo per la sua partecipazione alla trasmissione di punta di Raitre Che tempo che fa, in cui, dal 2003, prevede il meteo della settimana successiva. Ma la sua presenza «buca» lo schermo, come si dice in gergo televisivo, andando ben oltre questo ruolo e suscitando un’innata simpatia mista a curiosità. Sotto lo sguardo benevolmente ironico del conduttore Fabio Fazio, il professor Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, la maggiore associazione nazionale nel settore delle scienze dell’atmosfera, alle previsioni del tempo aggiunge sempre sagaci commenti sulla situazione del pianeta e sui comportamenti umani.

Msa. Professor Mercalli, come è cominciata la sua passione per la meteorologia?
Mercalli. Mi è capitato quello che succede a molte persone: in campo scientifico ho numerosi colleghi biologi, ingegneri, botanici, entomologi che hanno sviluppato un interesse a partire dall’infanzia. Ritengo sia la cosa migliore che possa capitare a una persona: si comincia subito con le idee chiare e non si perde tempo.

Noi – cioè chi la osserva dall’esterno – siamo probabilmente legati a una visione «romantica»: la immaginiamo bambino che guarda le nuvole e capisce da come soffiano i venti che tempo farà…
È stata invece, da subito, una visione molto concreta. Ho sempre coltivato l’orto a casa mia, così quando, a 13-14 anni, mi sono trovato nella condizione di dover prendere decisioni mie e indipendenti sulla sua conduzione, la meteorologia è diventata fondamentale. Lavorare l’orto, valutando il termometro invece della luna, richiedeva preparazione. Crescendo ho mantenuto entrambe le passioni: oggi coltivo ancora l’orto e, in più, faccio le previsioni del tempo.

Nel suo curriculum si legge che lei è un climatologo. Che differenza c’è tra climatologo e meteorologo?
La meteorologia serve a prevedere il tempo per due-tre giorni e, per quanto nella mia formazione vi sia anche l’attività di previsore, nasco come climatologo: il ricercatore che studia il clima del passato, del presente e del futuro. Io preferisco essere presentato come climatologo poiché, indagando il clima del passato, cerco di contribuire alla conoscenza degli scenari del clima del futuro. Certo, la meteorologia mi piace: anch’io passo delle ore a contemplare le nuvole; ma oggi il clima conosce una serie di gravi problemi che comportano un impegno più vasto sulle soluzioni, e che in questo momento sento l’urgenza di comunicare. Il mondo sta cambiando e, se non ci attrezziamo, questo cambiamento sarà brutto, farà tanto male.

Lei è un ricercatore di fama internazionale, ma è conosciuto dal grande pubblico italiano come divulgatore scientifico che richiama ai doveri, singoli e collettivi, nei confronti dell’ambiente.
C’è un aspetto etico profondo che mi muove. Il ruolo che ho cominciato a ricoprire con questa attività, soprattutto nella televisione ma anche sui giornali, è scomodo: mi hanno talora etichettato come catastrofista, menagramo… Potrei benissimo, nel mio mestiere, occuparmi di una parte neutra; potrei dire, come fanno altri: «C’è il sole, andate al mare». Perché, invece, voler attirare l’atten­zione su certi problemi del mondo? Intanto non è frutto delle mie fatiche, esiste un’enorme quantità di autorevole ricerca scientifica ai massimi livelli su tali tematiche. Io, che mi sono trovato a occupare la posizione di giornalista scientifico, mi sento in dovere di utilizzare questo ruolo privilegiato per portare l’attenzione su che cosa c’è dietro al tempo, sui problemi ambientali e su ciò che sta per cambiare nel nostro mondo.

Il suo ultimo libro, Prepariamoci (edizioni Chiarelettere 2011), già nel titolo fa supporre una visione pes­simista.
La crisi economico-finanziaria è forse la meno importante delle crisi che stiamo vivendo in questo periodo storico. Nella prima parte del libro ho richiamato ogni argomento (sovrappopolazione, disponibilità di petrolio, cambiamento climatico, riduzione dei ghiacciai, inquinamento, biodiversità minacciata, smaltimento dei rifiuti, ecc.) con riferimenti precisi, rimandi ad altra bibliografia, a documenti delle Nazioni Unite: materiale di un’autorevolezza tale che è impossibile pensare: «Mercalli queste cose le sogna di notte». Ho cercato di porre le questioni in modo che siano utilizzabili anche da un utente distratto, che magari non ha mai pensato a certi temi.

Il sottotitolo, però, (A vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza… e forse più felicità) va in un’altra direzione, aiuta a vedere le crisi di cui parla sotto un’angolazione diversa. Come unire le due prospettive?
Sarei uno stolto se mi limitassi a enumerare i problemi senza tentare di offrire delle soluzioni: la seconda metà del libro è testimonianza delle scelte compiute da me e dalla mia famiglia. E se ci sono riuscito io, penso che possano provarci tutti… La visione dell’attuale situazione è pessimista, però sappiamo che ci sono delle soluzioni: sta alla persona applicarle oppure lasciarsi trascinare nei problemi che inevitabilmente emergeranno. Pur rimanendo pessimista, voglio mantenere la speranza perché, se tante persone cambieranno il loro stile di vita, si potrà ancora cambiare qualcosa nella nostra società, magari fondandone una basata su principi che non siano quelli del denaro a tutti i costi, della crescita infinita. L’unica soluzione che attualmente viene data ai nostri problemi è la riproduzione dei problemi stessi.

Che cosa significa?
La crescita è il motivo per cui ci troviamo in questa situazione. Che cosa si propone per risolvere tale situazione? Altra crescita. E questo vuol dire esaurire risorse e produrre rifiuti. Il sociologo Giampaolo Fabris descriveva l’uomo come un essere che ha bisogni, desideri e capricci. I primi sono sacrosanti, da soddisfare: cibo, assistenza sanitaria, una casa, vestiti... sono indispensabili a tutti. I desideri e i capricci sono invece infiniti. Dovremmo riprenderci la visione che felicità non vuol dire soddisfare ogni genere di desiderio o capriccio, ma quei bisogni fondamentali che rendono la vita bella: la salute, un tetto sotto il quale ripararsi, l’acqua corrente in casa… Soddisfatti i bisogni, la felicità dipende dalla nostra capacità di relazione, dai valori della convivialità, della cultura: guarda caso, tutti elementi con un basso impatto ambientale.

Ci può suggerire tre comportamenti pratici e semplici da attuare, per prepararci alla vita con meno risorse che ci aspetta?
Innanzitutto suggerisco di abbattere gli sprechi: spesso non ci accorgiamo che buttiamo via i soldi, per esempio utilizzando l’automobile tutti i giorni o, in casa, facendo un uso eccessivo del gas e dell’energia elettrica. Poi, di rivedere i propri desideri. Noto che ci sono tante persone che si sentono povere perché hanno desideri inarrivabili. La pubblicità impone un modello e ci si sente perdenti se non si riesce a raggiungerlo; le persone sono obbligate per motivi sociali a confrontarsi con acquisti, al di sopra delle loro possibilità, di oggetti che in realtà non servono. Infine, consiglio di tappare i buchi della casa per sprecare meno energia e risparmiare sulla bolletta. Mi rendo conto che la questione ha migliaia di sfaccettature: il mio libro non è un ricettario, racconta con semplicità ciò che ho fatto io. All’interno di questo racconto ognuno può trovare degli elementi di base da adattare alla propria peculiare condizione.

C’è un capitolo del libro che si intitola «Razionalità e spiritualità, ci vogliono entrambe». Che cosa intende affermare?
L’uomo cerca di fare scelte razionali: certe cose, infatti, si compiono per mera convenienza economica; ma il genere umano è formato anche di spiritualità: a volte qualcosa lo si fa a priori, perché si sente il dovere di farlo. Ecco l’esempio classico: i pannelli solari, oggi, si dice comunemente, costano. Così, prima di acquistarli, si fanno calcoli sino all’ultima virgola di euro; ma, se dobbiamo cambiare l’auto o la televisione, non ci comportiamo nella stessa maniera, magari facciamo le rate e ci indebitiamo, anche se il modello precedente funzionava ancora. Se io, nella mia scelta, metto non solo la razionalità dei costi ma anche il piacere e il convincimento di aver compiuto una cosa giusta e di sentirmi parte di una scelta nobile e coerente, non sento il bisogno di avere la televisione con lo schermo più grande; al contrario, il mio pannello solare, che già mi conviene perché i calcoli dimostrano che sul lungo periodo mi fa risparmiare, quando faccio la doccia mi rende più contento. Quell’acqua calda che mi arriva dal sole mi soddisfa, mi offre un piacere spirituale che non ha prezzo.

Il 2012 è stato dichiarato dall’Onu l’Anno delle energie rinnovabili. Può essere di sprone per richiamare pubblicamente l’attenzione su questi temi?
È importante che il tema venga riproposto anche in questo modo, ma credo che i risultati nascano dal profondo delle persone. «Prepariamoci», allora, non solo per un motivo etico, cioè per inquinare meno e salvaguardare il mondo per i nostri figli e nipoti, ma anche per mantenere il proprio benessere quando le condizioni cambieranno e cercheranno di portarcelo via. Il mio pannello solare in questo momento sta alimentando casa mia con molti vantaggi: mi fa pagare meno di bolletta, sicuramente mi fa sentire bene da un punto di vista spirituale perché io non sto bruciando petrolio e quindi non inquino. Inoltre, sono preparato di fronte a un aumento continuo della bolletta, addirittura di fronte alla possibilità che il gas possa mancare. Se le turbolenze internazionali faranno sì che qualcuno decida di chiudere il rubinetto del gasdotto, quel giorno io starò al caldo ugualmente. Prepararsi, allora, acquista il significato di dire «Il mondo cambierà», molto probabilmente mettendoci davanti quei problemi elencati prima. Se ci si affretta, si riuscirà a mantenere un livello minimo di benessere; se non si fa nulla, rischiamo la barbarie.
 

la scheda
 

Luca Mercalli, torinese, classe 1966, ha studiato Scienze agrarie in Italia e Climatologia in Francia. Presiede la prestigiosa Società meteorologica italiana, costituita nel 1865. Fondatore, e dal 1993 direttore, della rivista «Nimbus», che si occupa di meteorologia, clima e ghiacciai, ha pubblicato numerosi lavori scientifici; collabora con quotidiani e periodici nazionali. Sugli stessi temi svolge attività didattica nelle scuole e nelle università. Fa parte del comitato scientifico di AspoItalia, sezione dell’Association for the Study of Peak Oil and Gas, e del Climate Broadcast Network dell’Unione europea. Tra i suoi libri ricordiamo Le mucche non mangiano cemento (Sms 2004), Filosofia delle nuvole (Rizzoli 2008), Che tempo che farà (Rizzoli 2009) e Viaggi nel tempo che fa (Einaudi 2010). Vive e lavora in Val di Susa, in una piccola casa con orto, alimentata da energia solare.
Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017