L’ultimo segreto di Hayez
È vero che, come nella celebre Tempesta del Giorgione, anche nelle opere di Francesco Hayez, fervente patriota e caposcuola della pittura italiana dell’età romantica e risorgimentale, si nascondono «oscuri» messaggi politici? È indubbio che Hayez, di padre francese e madre di Murano (una delle isole di Venezia), sia stato plasmato dalle ambizioni indipendentiste dell’Italia ottocentesca, nutrite dalla consapevolezza della secolare grandezza dell’identità italica, sottomessa per secoli a sovrani e a eserciti stranieri. Emblematico, infatti, è il dipinto della Ciociara in cui egli rappresenta una bellissima donna, metafora dell’Italia – terra della bellezza, dell’arte e della cultura – seduta su una sorta di capitello corinzio sullo sfondo di una natura mediterranea. Il contenuto politico non è in questo caso tanto sibillino, dal momento che il maestro veneziano ritrae la ciociara con una collana di corallo rosso che ricade su una camicia bianca, e con una gonna verde a comporre così il nostro tricolore. Curioso il fatto che, un secolo dopo, nel film La ciociara di Vittorio De Sica – tratto da un romanzo di Alberto Moravia –, ritorni ancora una volta, con la figura della popolana della campagna laziale, interpretata dalla premio Oscar Sophia Loren, la metafora dell’Italia violata, in questo caso nel clima bellico della Seconda guerra mondiale.
Il Risorgimento dell’identità italiana Hayez, da bambino, fa appena in tempo a vedere l’ultimo doge di Venezia, Lodovico Manin, celebrare a bordo del Bucintoro – la grande nave ducale – la cerimonia dello sposalizio con il mare, prima della calata in Laguna delle armate napoleoniche, con il definitivo dissolvimento della storia millenaria dell’ormai fragilissima Repubblica di Venezia. Nato in una famiglia modestissima, l’artista attende l’avvento di quella giustizia sociale che è uno dei pilastri ideologici della Rivoluzione francese. Comprensibile, dunque, la sua delusione quando proprio Napoleone cede Venezia e il Veneto all’Austria con il Trattato di Campoformido del 1797. Ma il suo ardore patriottico non si estingue. La causa va sostenuta anche, se non di più, con l’arte. Così, tra il 1825 e il 1827, dipinge I due apostoli Giacomo e Filippo che altro non sono se non il ritratto di due giovani patrioti milanesi: Giacomo e Filippo Ciani, in esilio in Svizzera. Gli abiti dei due apostoli-patrioti che viaggiano per «evangelizzare» i sostenitori del Risorgimento, riprendono i colori della nostra bandiera. Hayez intuisce che, prima ancora che con gli eserciti, l’unità d’Italia si conquista con l’educazione, la parola, la diffusione della cultura nazionale.
All’epoca, un unico destino sembra unire le sorti di Milano e Venezia sotto il Regno Lombardo-Veneto, governato dall’Austria. Contrariamente ai peggiori timori, con la salita al trono dell’imperatore d’Austria Ferdinando I, succeduto al dispotico Francesco I, pare ad Hayez e ad altri suoi contemporanei che la forzata convivenza con gli austriaci possa spingere a una transitoria riconciliazione se non politica almeno culturale. Hayez, pur essendosi ingiustamente attirato le invettive di alcuni critici che lo accusano – come ricorda il professor Fernando Mazzocca, curatore della mostra milanese – di «aver venduto il suo pennello ai carnefici della patria per la gola dell’oro», rappresenta nella grande sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano l’allegoria dell’ordine politico dell’imperatore Ferdinando I d’Austria. Poi realizza il ritratto dell’imperatore; e per lo stesso committente uno dei suoi dipinti storici più belli: I due Foscari (ovvero L’ultimo abboccamento di Jacopo Foscari), tema anche dell’omonima opera in tre atti di Giuseppe Verdi che con Hayez, non a caso, si consulta spesso sulla genitura e sull’allestimento delle scenografie delle proprie opere. Hayez si confronta sovente anche con Bellini e Donizetti. L’afflato politico è intenso. Fino ad arrivare a I profughi di Parga che, come osserva Mazzocca, «resta l’espressione più alta e corale della sua pittura civile, tanto da poter essere accostato al coro del Va’ Pensiero di Verdi per la sua pluralità di voci». Sono, in realtà, gli italiani i veri profughi, di età diverse, ritratti da Hayez; così come lo sono gli ebrei che hanno perso la loro patria, protagonisti del Nabucco di Verdi. «Hayez – osserva Mazzocca – anticipa nella pittura con I due Foscari, con I vespri siciliani, con i disegni per le litografie a corredo del poema I Lombardi alla Prima crociata di Tommaso Grossi, quei temi che Verdi avrebbe reso immortali nella musica e nel melodramma».
Come artista, Hayez si sente comunque al di sopra delle parti, un po’ come il suo maestro e mentore Antonio Canova che aveva lavorato indifferentemente sia per l’imperatore d’Austria sia per Napoleone. Se è pur vero che anche Hayez opera per vari committenti asburgici, tra i quali il ministro degli Interni austriaco, il conte Kolowrat – per cui esegue un altro quadro di soggetto veneziano: La scarcerazione di Vittor Pisani –, è altrettanto vero, come rileva ancora Mazzocca, che «egli ritrae tutti i personaggi chiave del nostro Risorgimento come Rossini, Manzoni (e alcuni protagonisti delle sue opere come il conte di Carmagnola e l’Innominato); oltre che la contessa Maffei, la principessa Belgioioso, Cavour, d’Azeglio, rappresentandoli con un’immedesimazione, anche di carattere psicologico, tipica della sensibilità del romanticismo».
Tra neoclassicismo e cultura pop Alla metà del XIX secolo, il quadro politico si presenta già mutato. E come il vento sia cambiato lo si coglie nel dipinto più celebre di Hayez: Il bacio, realizzato in più versioni, dove due giovani amanti abbigliati, non a caso, con i colori delle bandiere italiana e francese, sono stretti in un abbraccio che è sentimentale e politico a un tempo, e ai quali non sono affatto estranee le origini familiari di Hayez, gli esiti delle aspre guerre napoleoniche combattute nella penisola, e soprattutto della Seconda guerra d’indipendenza che sancisce – questa volta a spese degli austriaci e con il contributo decisivo proprio della Francia – la prima vera unità d’Italia.
Hayez trova ispirazione e conforto negli artisti veneti. Innanzitutto Canova, sul versante della scultura. E poi il cadorino Tiziano, di cui apprezza fin da giovane le opere arrivando a disegnare, figura per figura, il grande quadro de La presentazione della Vergine al tempio, ammirata all’Accademia di Venezia. In Tiziano, e anche in Canova, egli riconosce gli interpreti di quella sensualità femminile che ritroviamo nelle sue opere storiche e sacre. Non gli sono estranei nemmeno Bassano, Veronese e Tintoretto. Ma è in Tiepolo che Hayez scopre i colori tenui ripresi in uno dei suoi quadri più belli: L’incontro tra Esaù e Giacobbe, dove la scena biblica è interpretata con scorci, nuances e trasparenze.
Da questi grandi artisti Hayez mutua un’altra tendenza tipica di quella stagione pittorica: quella che in gergo televisivo e cinematografico si chiama «cameo», frutto di una lunga tradizione che va da Hitchcock a Tarantino. Come Tiziano, Veronese e Tintoretto quando rappresentavano i soggetti storici, anche Hayez, infatti, dà ai volti ritratti le sembianze dei suoi contemporanei. Spesso inserisce se stesso nei dipinti, dapprima per impersonare ruoli secondari e, successivamente, prestando il suo volto ai protagonisti assoluti dei suoi dipinti – come il doge Francesco Foscari e il doge Marin Faliero –, per rendere più avvincenti e attuali le scene che raffigura e, probabilmente, anche per assecondare, come tutti gli artisti, il suo narcisismo. Hayez è, al contempo, genio e sregolatezza. Dote e vizio spesi in una vita lunga e prolifica. Non i suoi soggetti storici, come egli immaginava, ma piuttosto i suoi nudi e i suoi ritratti lo hanno consacrato nella posterità. Più di tutti, appunto, Il bacio, sintesi e simbolo di un secolo intenso. Un’immagine imitata, sfruttata e reinterpretata anche con forme espressive e in epoche diverse, come nella celebre foto del bacio di Robert Doisneau o nella scena del bacio tra Farley Granger e Alida Valli nel film Senso di Luchino Visconti. Il bacio è divenuto un’icona pop – alla stregua della Gioconda di Leonardo – in virtù della sua innata capacità di adattarsi ai tempi, come se i soggetti ritratti fossero persone vive, e non sagome inerti. Ciò che resta insoddisfatto in Hayez sono le sue aspettative risorgimentali. Come Fattori, del movimento dei Macchiaioli, egli rimane deluso dal fatto che l’unità d’Italia non realizza quella giustizia sociale e quella società civile in cui lui aveva creduto e per le quali si era battuto. Lo manifesta chiaramente in alcune sue lettere, riferendosi a quei suoi tempi tristi dalle cui ambasce si risolleva trovando conforto nella lettura delle opere del commediografo Carlo Goldoni. Un po’ come accade al Pulcinella di Tiepolo, che sbeffeggia imbelle l’amaro destino di una Venezia decadente. Antidoto contro il veleno della dissoluzione. Perché una risata seppellisce, pur sempre, ogni dolore! INFOHayez Gallerie d’Italia Piazza Scala, Milano Fino al 21 febbraio 2016Tel. 800 167619sito www.gallerieditalia.com