Madre Teresa santa perché donna

La «burocrazia» vaticana sta accelerando i tempi per portare sugli altari l’angelo dell’inferno di Calcutta. Ripercorriamo qui la sua coraggiosa avventura umana, alla ricerca della fonte del suo coraggio e del suo fascino. Da alcuni anche contestati.
06 Novembre 2001 | di

Coraggiosa avventura umana. È sufficiente definire così l`€™esistenza di madre Teresa? È sufficiente per spiegare da dove traesse il suo coraggio e la sua determinazione e che cosa affascinasse in lei fino a lasciare tracce indelebili in tutti, dalla principessa all`€™ultimo dei derelitti?

La vocazione di essere donna. Certo, Agnès Ganxhe Bojaxhiu (leggi Gonge Boià giu, n.d.r.), la futura suor Teresa, era dotata di un carisma eccezionale. Insomma, aveva la stoffa della leader. Era nata per diventare qualcuno. E poi era ricca di talenti: intelligenza brillante, spirito arguto, dialettica incantatrice e, non da ultimo, una gran bella voce. Talenti che non poteva nascondere. E allora? Allora disse sì. Non alla carriera e all`€™affermazione personale. Disse sì a Dio Padre che quei talenti le aveva donato.

Non le fu facile, certo, perché anche lei, come i suoi coetanei, sentiva il richiamo del mondo. Ma disse sì. E in questa sua risposta sta la chiave di lettura della sua esistenza. Una donna di Dio. Un dono di Dio talmente luminoso da brillare di luce propria. Nessun segreto se non quello rivelatoci da Gesù: «In verità  vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l`€™avete fatto a me» (Mt 25,40).

Disse sì e lo disse come donna e in quanto donna. Perché prima ancora della vocazione religiosa Agnès Ganxhe aveva sentito la vocazione di essere donna. Vale a dire di vivere la propria femminilità  a tutto tondo, come ricorda il Papa nella Mulieris Dignitatem: «Dio affida alla donna in un modo speciale l`€™essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo affidamento riguarda in modo speciale la donna `€“ proprio a motivo della sua femminilità  `€“ ed esso decide in particolare della sua vocazione».

Donna nella mente e nel cuore. Donna negli atteggiamenti. Chi non è rimasto almeno un po`€™ colpito dalla foto che ritrae la suorina dalle mani ossute e forti, mentre stringeva al petto un bimbo di colore? O ancora da quella in cui prende per mano il Papa `€“ sì, proprio lui, un altro gigante della fede `€“ per condurlo all`€™interno del Nirmal Hriday dove le missionarie raccolgono e assistono i moribondi? Immagini che si sono moltiplicate nel corso della sua vita. Cento, mille, diecimila bambini. Cento, mille, diecimila lebbrosi, moribondi, derelitti, abbandonati e strappati dal marciapiede fosse anche solo per morire poco dopo. E ancora fino a perderne il conto. Uomini, donne e bambini di Dio a prescindere dal ceto, dalla razza, dalla religione, dall`€™intelligenza e dalla simpatia.

Hanno scelto per lei tanti appellativi diversi. Uno solo fra tutti li comprende: madre. Suor Teresa è stata una madre. E ha amato i «suoi» figli `€“ figli di Dio `€“ di quell`€™amore spontaneo e disinteressato proprio della madre per il figlio, a lei «affidato» dal Padre celeste. L`€™amore che dà  dignità  a chi ama e a chi è amato.

Madre nella mente e nel cuore. Come Drane, sua mamma, di cui era orgogliosa. «Se mia madre non mi avesse amato, sono convinta che non avreste nessuna madre Teresa».

Come Maria, la mamma di Gesù. Non è un caso che suor Teresa abbia preso i voti perpetui il 24 maggio, festa della Vergine Ausiliatrice. Una grazia di Dio, per lei, consacrarsi definitivamente nel mese di maggio.

E a Maria `€“ alla Madonna del santuario di Letnice, non lontano da Skopje, sua città  natale `€“ chiese la benedizione prima di partire missionaria, quando i suoi desideri di ragazza `€“ scrivere poesie, diventare una brava insegnante e, perché no, sposarsi `€“ avevano lasciato posto alla vocazione religiosa.

Non è neppure casuale che lo stemma delle missionarie della Carità  rappresenti insieme alla croce di Cristo adagiata sull`€™India, un rosario attorno al globo terrestre. Il loro motto: «Tutto per Gesù. Tutto a Gesù per mezzo di Maria». Ecco perché a madre Teresa nulla appariva impossibile: «Non faccio nulla di speciale: amo perché sono amata da Dio. E voglio essere la presenza dell`€™amore divino fra gli uomini».

Il piccolo fiore. Agnès disse sì e scelse il suo nome religioso per amore del piccolo fiore Teresa di Lisieux. Dai primi voti a quelli perpetui si firmava: «Ganxhe `€“ Piccola Teresa di Gesù Bambino». C`€™è dunque un legame profondo che va oltre la devozione per la santa francese. Suor Teresa come lei desiderava abbandonarsi fiduciosa al suo Dio; come lei desiderava restare «piccola» affinché egli potesse usarla liberamente per compiere la sua opera.

È probabile che nella scelta del nome abbia influito il fatto che santa Teresina era molto popolare negli anni Trenta (Agnès Ganxhe riceve i voti temporanei nel 1931 e quelli perpetui nel 1937): era stata appena canonizzata e proclamata patrona delle missioni pur non essendosi mai mossa dal Carmelo. Ma essere missionaria significa servire e contemplare Gesù. È un amore trascinante per il Figlio di Dio quello di santa Teresina, e la giovane Agnès lo assume come modello di vita.

Così, durante il noviziato legge gli scritti di santa Teresina affascinata di ritrovarsi in quell`€™amore e in quell`€™ansia missionaria che l`€™avrebbero portata a lasciare il suo mondo giovanissima. Come lei, avrebbe servito e contemplato Gesù pur vivendo una vita attivissima.

Narcisista e astuta politicante? Insinuazioni di chi le rimproverava di combattere una battaglia persa, perché i poveri restavano comunque una moltitudine, e perché la sua opera si limitava a intervenire sui «sintomi» non sulla «causa» del malessere. Madre Teresa replicava con la sua proverbiale, semplice concretezza. «È vero `€“ diceva `€“ ciò che facciamo non è che una goccia nell`€™oceano. Ma se questa goccia non fosse nell`€™oceano, vi mancherebbe». E poi erano sì importanti un tetto, un letto e un pasto caldo, ma più importante era l`€™attenzione dedicata ai più poveri fra i poveri: «Fate per loro le piccole cose: quelle per cui nessun altro ha tempo». Perché il servizio delle missionarie della Carità  non è un servizio di assistenza sociale. «L`€™assistenza sociale mira a uno scopo `€“ ripeteva instancabilmente `€“ l`€™amore cristiano mira a una persona». E i suoi poveri le erano riconoscenti soprattutto di venire trattati da esseri umani, di ricevere in dono la loro umanità  perduta.

Insinuazioni di chi non accettava un riconoscimento universale alla suorina dal sari più famoso del mondo. Un personaggio scomodo e controverso, facile bersaglio dei suoi «flagellatori». Che cosa le contestavano? La sua abilità  organizzativa e manageriale, gli atteggiamenti spregiudicati o servili con i potenti della terra, la concretezza che le ha permetterà  in poco più di trent`€™anni di fondare centinaia di istituti di carità ; e anche il suo senso innato della potenza dei media (tanto da essere definita «la santa mediatica»). Così è stata perfino paragonata a dittatori che agivano solo per ambizione e vanità  personale. Non solo, nel programma L`€™angelo dell`€™inferno mandato in onda dalla Bbc negli anni Ottanta, è stata accusata di usare i fondi della carità  internazionale per un`€™impresa multinazionale retta con metodi dittatoriali e condotta da suore plagiate. «Non mi importa da dove vengono `€“ diceva a proposito dei fondi che riceveva `€“ so dove vanno».

Risposte semplici e concrete. Segno della presenza di un Altro. D`€™altronde se fosse stata davvero una cinica narcisista non avrebbe retto alle tentazioni che inevitabilmente l`€™avrebbero afferrata dopo il premio Nobel. Una fra tutte proprio il narcisismo, cedere alla lusinga delle lodi, ritenersi indispensabile. E invece no. «I poveri sono gente da amare», aveva detto ricevendo il premio, e lei continuò ad amarli insieme alla sue consorelle. Perché non toccava a loro combattere le cause della povertà  cercando di affrontare i problemi che ne derivavano. No, loro aiutavano chi di questi problemi soffriva. E quando l`€™accusavano di contribuire con la sua «assistenza» a mantenere le cose così come stavano, rispondeva con una serenità  d`€™animo disarmante che nel povero, in ogni povero, vedeva Gesù in persona. Non avrebbe potuto tirare dritto senza soccorrerlo.

 

 

L`€™ABC DI MADRE TERESA

A  

L`€™amore prende tutto e dà  tutto.

L`€™amore è innanzitutto abbandono totale di sé a Dio, perché Dio ha dato se stesso a noi. Se Dio no ci deve niente ed è pronto a darci nientemeno che se stesso, possiamo noi a nostra volta dargli soltanto una parte di noi?

Come saremmo poveri se Dio no ci avesse dato il potere di dare noi stessi a lui! E come siamo ricchi ora! La moneta con cui Dio paga il nostro abbandono è lui stesso.

Le persone che si amano autenticamente e realmente tra loro sono le persone più felici del mondo. Gesù non ha detto: «Amate il mondo intero», ma ha detto: «Amatevi l`€™un l`€™altro». Non si può amare che uno per volta. Se uno guarda la quantità , si perde. E mentre si ferma a parlare della fame, qualcuno al suo fianco sta morendo. Se si vuole fare qualcosa di bello per Dio, bisognerebbe badare all`€™intimità  della propria famiglia e ai poveri che ci circondano.

B

Non sapremo mai tutto il bene che può fare un semplice sorriso. Noi parliamo del nostro Dio buono, clemente e comprensivo. Siamo una prova viva di questo? Coloro che soffrono possono percepire in noi questa bontà , questo perdono, questa comprensione viva?

Che nessuno venga mai a noi senza andarsene migliore e più felice. Tutti dovrebbero vedere la bontà  sui nostri volti, nei nostri occhi, nel nostro sorriso. Nei quartieri poveri siano la luce della bontà  di Dio ai poveri. Ai bambini, ai poveri, a tutti coloro che soffrono e sono abbandonati date sempre un gioioso sorriso. Date a loro non solo le vostre cure, ma anche il vostro cuore.

C

La Chiesa vive tempi difficili. Non vi dovete turbare dei pettegolezzi. Sentirete parlare di sacerdoti o di religiose che abbandonano il loro posto, di focolari distrutti.

Non dimenticate che ci sono migliaia e migliaia di sacerdoti, di religiose, di famiglie fedeli.

Questa prova purificherà  la Chiesa dalle malattie umane, perché possa riemergere più bella e più autentica. Se arriveremo a renderci conto che noi religiose siamo le serve del Signore, come lo fu la Vergine Maria, il futuro della vita religiosa sarà  santo. Noi religiose siamo come il cuore della nostra madre Chiesa. Noi lavoriamo con tutti e per tutti, senza nessuna distinzione, per avvicinare la gente fra di loro, per far conoscere Dio come Amore. Quando verrà  l`€™amore, allora avremo anche l`€™unità  della Chiesa, del mondo.

(tratto da: Annalisa Borghese, La donna delle beatitudini. Madre Teresa di Calcutta, pag.135-136).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017