Madres maestras a Panama
Gerusalemme, Giudea: la grande pietra è rotolata a chiudere la tomba. Pesante come la morte, sembra sigillare definitivamente i sogni, le attese, le speranze e le parole di Gesù di Nazareth in una piccola tomba prestata. Proprio adesso che sembrava giunto il momento di portare a compimento la sua opera. Imprevedibile Gesù di Nazareth, a volte incomprensibile: quando le folle lo osannano si nasconde, quando fa miracoli dice di non raccontarlo. Lui che ha sempre avuto una risposta per tutti, adesso sembra non averla per sé. Tre anni d'insegnamenti, tre anni di promesse di un regno imminente, di una liberazione vicina e adesso, in poche ore, l'amaro epilogo: la cattura, la condanna, la croce e la pietra che rotola`¦
Tutto un equivoco? Tutta un'illusione? Per tanti è tristezza e amarezza, ma per una persona è tragedia infinita: per Maria non è solo il dolore indicibile di una madre alla quale uccidono il figlio, è qualcosa che non quadra con la sua stessa vita e soprattutto con le parole dell'angelo oltre trent'anni prima. «Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo- aveva detto -, e il suo regno non avrà fine». Maria se le ricordava bene quelle parole, e non quadravano affatto con quella tomba chiusa e quella pietra rotolata. Delle due l'una: o erano state un'illusione le parole dell'angelo e tutto il resto, o era sbagliata quella pietra.
Era sbagliata quella pietra.
Tre giorni dopo, la pietra sarebbe stata trovata rimossa e la tomba vuota. Tre giorni dopo qualcuno avrebbe ricominciato a udire le sue parole e i suoi insegnamenti. Tre giorni dopo, Maria ha la certezza (ma ne aveva mai dubitato?) che l'angelo non le aveva mentito: il suo Gesù è vivo, è risorto! Adesso è la morte a non fare più paura perché è stata sconfitta, si è aperta una breccia nel muro che sembrava insuperabile: da oggi la morte è solo un momento della vita.
Nel Paese dei due Oceani
Fin qui il mistero «contemplato». Maria insegna la strada: credere sempre che le cose possano cambiare anche quando tutto sembra indicare il contrario, anche quando le pietre sembrano definitivamente rotolate a schiacciare la speranza. E ci sono donne che questo insegnamento di Maria l'hanno capito e l'hanno tradotto in fatti concreti. Questa volta siamo a Panama, istmo del Centro America: l'Atlantico e il Pacifico sono così vicini che un canale li collega. Un canale così importante che non si sa più se è il Paese a dare il nome al canale o viceversa. Panama non è solo lo scintillio notturno di Panama-City o il porto franco dove vengono fin dal Nicaragua e dall'Ecuador a comprare computer e fotocopiatrici. Panama è anche un gruppo di donne coraggiose e generose - le «Madres Maestras» - che, gratuitamente, da anni, offrono volontariamente il loro tempo e le loro capacità per far risorgere la speranza laddove sembrava «rotolata» la pietra della disperazione, della povertà senza via d'uscita, della dignità negata.
Las Palmas, Santa Fé, Cagnazas e tanti altri villaggi dell'entroterra di Panama sono testimoni delle fatiche di migliaia di Madres Maestras che riescono ad essere appunto «Madri» e «Maestre» per chi avrebbe dovuto fare a meno di queste figure fondamentali.
A Panama è difficile riuscire a mandare a scuola il proprio figlio se prima questo non ha potuto frequentare i corsi pre-scolari che non tutti possono permettersi: l'azione delle Madri Maestre serve anche a questo. Con l'aiuto delle diocesi, con pochi locali a disposizione e tanta disponibilità si istituiscono corsi, si seguono i singoli bambini, si riaprono orizzonti preclusi.
Da qualche mese, un'Organizzazione Non Governativa italiana, il COMI (Cooperazione per il Mondo in via di Sviluppo), si è affiancata alle Madres Maestras per sostenere il loro lavoro, migliorarne la qualità , moltiplicarne i mezzi e differenziare gli ambiti d'intervento. Oltre all'istruzione pre-scolastica anche l'agricoltura, la sanità e l'habitat stanno diventando campi di miglioramento per i bambini e per le loro famiglie. Con l'assistenza di tre volontari del COMI e un co-finanziamento del Ministero degli Esteri italiano è anche prevista - a breve - la nascita di piccole cooperative che garantiscano nel tempo il mantenimento e l'incremento dei benefici.
Il coraggio di alcune donne sta cambiando la situazione: non saranno tre giorni, ma anche questa volta ci sarà una «risurrezione», anche questa volta una tomba risulterà vuota e una voce di speranza tornerà a consolare: «Non mi riconoscete? Sono io!».
Insieme contro solitudine e ingiustizia
A Panama o si è molto ricchi o si è molto poveri, schiacciati dal peso di una miseria particolarmente ingiusta - se mai è possibile che possa essere giusta la miseria - perché convive con una ricchezza sfacciata. E perché seppellisce chi ne è schiacciato ai margini di una società che non sostiene e non fornisce nessuna assistenza. Ancora una volta una periferia machista, con uomini assenti, che vivono di espedienti, e ai quali facilmente si perdonano tradimenti e divagazioni sul tema. A tenere le fila di famiglie numerosissime, con anche dieci e più figli, spesso di padri diversi, sono le donne, che devono lavorare anche fuori casa per contribuire al bilancio familiare. Anzi, spesso è più facile che sia solo la donna a portare a casa uno stipendio. Ciononostante, quella stessa donna è costretta a chiamare il marito el seà±or. È una storia di donne sole, abbandonate anche dalle istituzioni, che non le aiutano nella gestione dei loro bambini quando devono andare a guadagnare quanto serve a mantenerli. Ma è anche una storia di mamme, il cui amore per i propri figli è sconfinato.
Da questi presupposti nasce l'ìidea di aiutare le donne panamensi in difficoltà , ad organizzare il tempo dei loro figli, di età dai tre ai sei anni, in giardini d'infanzia, in cui si alternano e diventano le famose «Mamme Maestre». Non hanno una grande preparazione (anche se la formazione e un'impostazione spirituale sono i perni di questa iniziativa), ma sono mosse dal grande valore che istintivamente danno all'infanzia e dalla mistica che «ogni madre è maestra». A sostegno di questi asili, arriverà nell'estate del 2003 il progetto del COMI, finanziato per il 50% dal Ministero degli Esteri italiano, per diversificare le attività infrastrutturali, ma soprattutto per dotarle di maggiori conoscenze in campo sanitario e didattico.
Oggi sono donne che hanno imparato il valore della solidarietà , che hanno unito le loro solitudini per superarle, per andare oltre. Non è stato facile. In un primo momento si sono sentite disorientate, ma hanno resistito, anche quando lo Stato, minacciato dalla loro autonomia, ha cercato di farle desistere, tentandole con piccoli stipendi. Insieme sono diventate più forti, più indipendenti, hanno colmato quei vuoti lasciati dai propri uomini e dal mondo che ha i mezzi, ma che le ignora. Qualcuna incomincia a non voler più chiamare el seà±or il proprio marito. Uno di quei mariti che, nella migliore delle ipotesi, rinnegano il valore dell'impegno di queste donne, defraudati di un tempo che pretendevano dover essere esclusivamente della casa.
Non mancano però storie edificanti in cui anche gli uomini hanno preso parte attiva all'organizzazione, e qualcuno ha scelto addirittura di essere un «padre maestro». Chi di loro ha deciso di condividere questa esperienza, di ispirazione fortemente religiosa, ha conosciuto un dialogo diverso e si è trasformato. Oltretutto le attività agricole, quelle di miglioramento degli habitat degli asili e la falegnameria, che fanno parte del progetto triennale del COMI, riguarderanno soprattutto loro: gli uomini che le loro donne hanno incominciato ad educare.