«Mai arrendersi»

Mamma, moglie, attrice e produttrice. Da quando bucò lo schermo, nel 1994, al fianco di Massimo Troisi, Maria Grazia Cucinotta non si è più fermata. L’attrice messinese svela il segreto del suo successo.
26 Maggio 2011

«C’è una storia nella vita di tutti gli uomini», scriveva in punta di penna Shakespeare. E la storia di Maria Grazia Cucinotta è indissolubilmente legata a una figura: quella del postino. Il postino, infatti, non è solo il titolo del film che l’ha consacrata attrice e icona dell’italianità nell’immaginario collettivo nazionale e internazionale. «Postino è mio padre, postini sono mio fratello e mia sorella».

Msa. Quindi il suo destino era legato a questa parola?
Cucinotta. Assolutamente sì. Pensi che uno dei primi ricordi di quando ero piccola è il cappello da lavoro del mio papà. Mi piaceva giocarci: indossandolo, fingevo di consegnare la posta nelle cassette dei vicini. La prima cosa che ho imparato a scrivere è stato l’indirizzo di casa mia sulla busta da lettere. E mio fratello controllava che indicassi il codice di avviamento postale: «Senza quello – diceva – (la lettera ndr) non arriverà mai a destinazione».

Quando ha fatto il provino per il film, ha raccontato a Massimo Troisi questa coincidenza?
Gliel’ho raccontata un giorno, poco prima di girare una scena. Sembrava divertito.

Ha accennato alla sua famiglia «di postini». Che importanza ha per lei la famiglia?
Per me è un valore da salvaguardare. Me l’hanno insegnato i miei genitori, siciliani, persone semplici, ma genuine. In famiglia siamo in sette: ho tre sorelle e un fratello a cui sono molto legata. Oggi però sono orgogliosa e felice della famiglia che ho costruito con mio marito Giulio e nostra figlia Giulia.

Che mamma è Maria Grazia?
Sono un po’ ansiosa, ma credo sia normale perché tutto ciò che ami inevitabilmente ti crea preoccupazione. La nascita di Giulia, però, mi ha fatto capire che cosa sia l’amore vero. L’ho percepito in sala parto, non appena ho sentito il suo pianto. È lei la sublimazione dell’amore assoluto, l’unico per cui daresti la vita senza pensarci un attimo. È per questo che non temo di dire che dipendo da Giulia: quando lei ride, io rido, quando lei è triste, lo sono anch’io. E ha il potere di riuscire a frenarmi, impresa impossibile per chiunque altro.

Che moglie è Maria Grazia?
Spero una brava moglie. Di certo sono una moglie molto fortunata. Con Giulio c’è un’alchimia perfetta, condividiamo gli stessi valori, ma siamo due opposti che si completano. Io sono un’irrequieta che non sa stare ferma, una viaggiatrice solitaria – prendo due o tre aerei la settimana – mentre Giulio è un sedentario. A lui piace stare a casa ad aspettarmi, a me sapere che ci sarà lui ad attendermi al rientro dal viaggio.

Ha mai fatto follie per amore?
«Se non ricordi che amore t’abbia mai fatto commettere la più piccola follia, non hai amato» (Shakespeare, Come vi piace, II, 4, ndr). Le follie più assurde, però, le ho fatte per Giulia: non ho lavorato per due anni dopo la sua nascita perché volevo dedicarmi solo a lei, vederla crescere. Anche se mi offrivano ruoli importanti. Una volta ho preso un volo Roma-Los Angeles solo per darle un bacio, trascorrere qualche ora insieme e poi ripartire. Da quando sono diventata mamma faccio mettere sui contratti una clausola: ovunque sia il set dove si gira, devo poter tornare a casa ogni set­timana. Non posso stare più di sette giorni lontano dai miei affetti.

Come fa a coniugare il suo lavoro, che la porta spesso lontano da casa, con il suo ruolo di mamma?
Posso contare su Giulio, è il miglior padre che si possa desiderare. È con lei sempre: la porta a scuola, le fa fare i compiti, la accompagna ovunque, sceglie per lei i film da vedere. E poi c’è mia sorella, che vive nel mio stesso palazzo.

Come concilia invece il lavoro con il suo essere moglie?
Occorre fare ogni giorno esercizio di rispetto, di ascolto dell’altro, di comprensione. E non pretendere mai di cambiare l’altro, di stravolgere la sua natura. Il matri­monio con mio marito dura dal 1995, credo sia questo il segreto.

Parliamo del suo lavoro. Da parecchi anni è passata dall’altra parte dell’obiettivo: che regista è?
Sono una rompiscatole. Ho avuto la fortuna di lavorare e imparare molto dai grandi maestri, come De Sica e Antonioni. Andavano a cercare i protagonisti dei film tra la gente comune. Sceglievano i volti in base alla sceneggiatura che dovevano girare. E poi sapevano come farli recitare, anche se erano attori improvvisati. Curare la regia significa trasmettere la propria visione delle cose e della realtà, mostrarle agli altri per come le si vedono. Il cinema è una forma d’arte in grado di abbattere ogni barriera sociale: non bisogna per forza aver studiato per confron­tarsi con le emozioni e il bello delle immagini. Ecco perché è fondamentale il ruolo del regista: perché veicola questa «magia».

Meglio fare l’attrice o la produttrice?
Da quando sono diventata titolare della Italian dreams factory e della Seven dreams, produrre film è per me un’attività a tutti gli effetti, che mi coinvolge e mi piace molto. Lavoro anche fuori dall’Italia. Tra poche ore ho un volo per Los Angeles. In ballo c’è un progetto molto interessante, ma non ne voglio parlare per scaramanzia. Da altri Paesi, come la Cina, poi, assorbo energia positiva: questa nazione, infatti, è in forte crescita anche nel settore cinematografico.
Tornando a me, sia recitare che produrre sono la mia professione e la mia passione. Certo, devo ammettere che la produzione ha un vantaggio in più: mi permette di gestire meglio i tempi di lavoro e, quindi, di stare più vicina a Giulia e a mio marito.

La recitazione, però, è il suo primo amore...
Ce l’ho nel cuore. Ma è iniziato tutto per caso. Da piccola non sognavo una carriera da attrice, ma solo di poter lavorare per aiutare i miei genitori perché ero stufa di vederli fare sacrifici. A Messina non c’era niente, non c’erano prospettive, l’unica possibilità era andarmene.
A fine luglio del 1987, pochi giorni dopo aver compiuto diciott’anni, sono partita alla ricerca di un’opportunità che speravo il Nord mi potesse offrire. Così mi sono trasferita a Brescia, a casa di mio fratello che aveva lasciato Messina qualche anno prima di me. Ho trovato subito un lavoro da modella a Milano: facevo la tratta Milano-Brescia tutti i giorni in treno, perché non mi potevo permettere l’affitto. Poi con Indietro tutta, la trasmissione di Arbore, ho cominciato a guadagnare. E non mi sono più fermata. Da Milano mi sono trasferita a Roma, Parigi, Madrid e di nuovo a Roma. Dopo la morte di Massimo (Troisi ndr), ho deciso di lasciare l’Italia e di trasferirmi in America per crescere professionalmente. Il postino, infatti, mi aveva dato la notorietà, ma qui in troppi mi consideravano una miracolata. Così in America ho ricominciato da zero, frequentando corsi di dizione, recitazione, sceneggiatura e pro­duzione. La mia filosofia di vita è proprio questa: non arrendersi mai, non dire mai «non ci riesco».

Come hanno reagito i suoi genitori alla sua decisione di lasciare Messina?
Da veri siciliani non l’hanno presa bene. Mio padre, quando me ne sono andata di casa e ho cominciato a lavorare nel mondo della moda, non mi ha parlato per anni. E non è stato felice nemmeno quando ho iniziato a fare cinema. Le amiche di mia mamma, quando la incontravano per strada, le dimostravano la loro solidarietà dicendole: «Graziella, poverina», alludendo all’imbarazzo di avere una figlia attrice. La loro concezione del cinema era, ma forse lo è ancora oggi, legata a un mondo dominato dalla perdizione, dal peccato. Io, che l’ho vissuto e lo vivo, posso affermare che non è così. Per me ha rappresentato la salvezza, la possibilità di riscatto.

Peccato e salvezza: lei crede in Dio?
Sono sempre stata molto credente. Sono cresciuta dove non c’erano spazi per i giovani, eccetto una chiesa. Quella, sebbene piccola, è diventata il punto di ritrovo per me e i miei amici finché ho vissuto a Messina. Così si è forgiata la mia fede. Poi, crescendo, c’è stato un momento nel quale mi sono allontanata da Dio, forse anche per colpa di alcune persone sbagliate. Credo ci siano uomini di Chiesa che abbiano la capacità di avvicinarti alla religione, ma anche altri capaci di fartene prendere le distanze. A volte perché sono persone troppo rigide, che hanno perso il contatto con la realtà. Non si rendono conto che la società è cambiata. Ma sono casi rari, esistono infatti sacerdoti bravissimi, veri missionari di Cristo. Uno su tutti, monsignor Vincenzo Paglia che mi ha aiutata a riavvicinarmi alla fede. Lui sa ascoltare e non giu­dica, ma poi, con poche parole, risolve dubbi e insicu­rezze. Io mi definisco «una credente a modo mio», ma ho il dono della fede: credo e prego spesso.

C’è un santo al quale è particolarmente devota?
Sicuramente sant’Antonio. È il santo a cui mi sono affidata fin da piccola e con cui sono cresciuta. Un’eredità di mia madre, che quando nacqui prematura fece voto a sant’Antonio: aveva già perso due bambini e gli chiese la grazia di farmi vivere. Per i miei primi due mesi di vita mamma mi fece indossare un saio marrone, stretto da una corda sottile. Niente tutine, ma la veste di sant’Antonio. Quindi come posso non essergli devota? Ho trasmesso questo sentimento anche a mia figlia Giulia, che ho portato a Padova a vedere la Basilica. Ancora oggi, se perdo qualcosa, dico una preghiera a sant’Antonio perché me la faccia trovare. E, puntualmente, la ritrovo.       
 
 
La scheda

Maria Grazia Cucinotta nasce a Messina il 27 luglio 1969. Diplomata in analisi contabile, a diciott’anni si trasferisce a Brescia, muovendo i primi passi da modella sulle passerelle milanesi. Nell’87 è la valletta di Renzo Arbore nel programma Indietro tutta. Compare in qualche commedia italiana, ma raggiunge il successo nel ‘94, interpretando la fidanzata del portalettere Mario, alias Massimo Troisi, nel film Il postino. È l’inizio di una lunga carriera di attrice. Maria Grazia collabora con il regista e attore Leonardo Pieraccioni, con Raoul Bova, Diego Abatantuono, Ricky Tognazzi e Gigi Proietti. Nel 2000 sbarca a Hollywood nel cast di Ho solo fatto a pezzi mia moglie, con Woody Allen e Sharon Stone. Cinque anni più tardi inizia l’attività di produttrice con il film All the invisible children. Nel 2009 è madrina al Festival del cinema di Venezia. L’ultimo ruolo da attrice la vede a fianco dell’attore Anthony Hopkins nella pellicola Il rito, uscita lo scorso marzo. Dal ’95 è sposata con Giulio Violati con cui ha avuto una figlia, Giulia, nata il 10 settembre del 2001.
 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017